Cd CGIL: il congresso è finito.
Un punto sul direttivo nazionale della CGIL del 3 e 4 febbraio 2020 ed il percorso che lo ha determinato.
Più o meno un anno fa a Bari si concludeva il XVIII congresso della CGIL. Un congresso dagli esiti incerti quasi sino all’ultimo giorno, come poche volte nella storia della confederazione. Nei mesi precedenti si era costruito un documento di amplissima maggioranza (ad eccezione della ridotta opposizione di RiconquistiamoTutto!), che aveva in qualche modo storicamente ricomposto le tensioni degli ultimi anni con la FIOM e alcuni settori della sinistra sindacale. Nel 2010 infatti il XVI congresso era stato segnato da un largo fronte alternativo alla Camusso (la cgilchevogliamo). Nel 2014 il XVII congresso si è dipanato sulla rottura tra Camusso e Landini (oltre al documento alternativo del sindacatoaltracosa), apertasi all’avvio delle assemblee di base e precipitata a Rimini, con le liste contrapposte per il direttivo nazionale e i drammatici passaggi finali sugli organismi collaterali (che prolungavano di diverse ore la conclusione del congresso).
Il XVIII congresso, invece, si era aperto nel segno di una larga ricomposizione con l’entrata di Landini nella segreteria confederale e, pochi mesi dopo, la sua candidatura a segretario generale avanzata dalla Camusso. Nel frattempo, però, era maturata un’altra candidatura, quella di Vincenzo Colla, intorno ad un’asse che raccoglieva i settori più moderati della CGIL. Una molteplicità di candidature che ha rapidamente assunto una dinamica di contrapposizione (i direttivi nazionali di ottobre/novembre 2018), aprendo una spaccatura intorno a due diverse interpretazioni della linea espressa nel documento di maggioranza. Un documento, Il lavoro si fa strada, che lasciava non casualmente aperti diversi nodi, frutto di una commissione politica tenutasi dopo una prima discussione in territori e categorie che aveva esplicitamente evitato il confronto ed anzi lo aveva forcluso ogni qualvolta era per caso emerso, come sull’alternanza scuola-lavoro o sul salario minimo.
Roberto Ghiselli, della segreteria confederale, tracciò esplicitamente sul Diario del lavoro l’interpretazione dei settori che avevano candidato Colla: una CGIL che nella sua autonomia avrebbe dovuto sentirsi pienamente parte del campo progressista e quindi farsi carico della sua ricostruzione; una CGIL che, nel rapporto con questo campo progressista, si sarebbe dovuta quindi focalizzare sull’azione sindacale (superando così sia il protagonismo politico della campagne referendarie e identitarie dell’ultima Camusso, sia le ipotesi di sviluppare un campo largo di alleanze con associazioni e movimenti della coalizione sociale di Landini); una CGIL che, in questa sua azione sindacale, avrebbe dovuto coltivare la sua funzione generale, chiamata nei momenti di crisi ha svolgere un ruolo di responsabilità per l’insieme del paese (nuovo patto dei produttori e sostegno alle grandi opere); una CGIL, infine, che in questo quadro avrebbe dovuto perseguire l’unità in direzione di una fase costituente per un nuovo sindacalismo confederale.
Sappiamo tutti come è finita a Bari: la candidatura di Vincenzo Colla, pur raccogliendo ampi consensi (ben oltre il 40% dei delegati e delle delegate), non è stata nemmeno in grado di fermare quella di Maurizio Landini, eletto allora nel quadro di una ricomposizione unitaria della maggioranza (con la vicesegreteria a Colla e Fracassi, oltre che un riconoscimento delle diverse sensibilità in segreteria e nella lista unitaria per il direttivo).
Eletto il nuovo segretario, rimaneva da affrontare l’articolazione congressuale e soprattutto da dispiegare una linea di azione intorno a cui riorganizzare la maggioranza. L’elezione di Landini aveva infatti generato ampie aspettative, in particolare nel corpo dell’organizzazione e più in generale nel campo della sinistra. Il risultato delle elezioni 2018, con il tracollo del PD e più in generale della sinistra, avevano infatti lasciato una CGIL sostanzialmente immobile, stupefatta dalla dinamica in corso ed incapace di affrontare le inconcludenze della sua strategia: il proseguimento di una gestione continentale neoliberista, con la conseguente contrazione di investimenti e servizi pubblici, poco discutibile nel quadro di un’opzione europeista; le ripetute offensive padronali (da Marchionne in poi), con la conseguente riduzione degli spazi per quella gestione condivisa della crisi esperita nelle occasioni precedenti; la disintermediazione di tutti gli ultimi esecutivi, con la conseguente impossibilità di dispiegare uno scambio di matrice concertativa o neo-corporativa; le ristrutturazioni dei processi produttivi con la contrazione, anche attraverso l’uso capitalistico della tecnologia, degli spazi di contrattazione dei tempi e dell’organizzazione del lavoro, indebolendo quindi il ruolo del sindacato nella produzione.
Il ruolo della FIOM nel contrasto pubblico a Marchionne, l’esperienza della coalizione sociale, la concretezza degli interventi mediatici di Landini avevano infatti acceso la speranza che la sua elezione potesse segnare un nuovo protagonismo della CGIL: un sindacato di strada e di movimento in grado di affrontare queste inconcludenze e rilanciare il suo ruolo, difendendo salari, diritti e tempi di vita, tanto più a fronte del governo 5Stelle e Lega, del suo profilo reazionario e del protagonismo sempre più pesante di Salvini. In diversi ambienti si sperava cioè nell’attivazione della CGIL in un sindacato al contempo capace di protagonismo politico e di riconquistare spazi di contrattazione.
La segreteria Landini, però, nei mesi successivi al congresso ha dispiegato una piena continuità con la precedente stagione della Camusso, tenendo conto che il suo sostegno in CGIL e anche nella segreteria confederale è sostanzialmente espressione di quell’esperienza. Di più: sentendo il peso e l’influenza di un contrasto così significativo alla sua elezione, risolto con una difficile mediazione a poche ore dalla chiusura del congresso, Landini ha provato a far proprio almeno una parte del profilo proposto per la CGIL dai settori che avevano sostenuto Colla. Così, il corteo del 9 febbraio e la successiva primavera (interventi, documenti e interviste) sono stati segnati dalla rivendicazione delle grandi opere e dalla proposta di rilanciare l’unità sindacale. Inoltre, e forse soprattutto, l’assemblea generale di marzo ha definito la prosecuzione di una linea attendista e inconcludente, cercando di evitare lo scontro con il governo e di rimandarlo all’autunno successivo. In pratica, sono state previste solo ed esclusivamente mobilitazioni parziali (che si concretizzeranno poi negli scioperi degli edili, dei metalmeccanici sulla crisi del paese e della conoscenza che poi sarà ritirato, oltre che nelle iniziative di pubblici e pensionati). Nel contempo è stata ribadita una linea tesa alla cogestione della crisi con padronato e, se possibile, governo (anche quello reazionario di Salvini, Conte e Di Maio): focalizzata su grandi opere e defiscalizzazione dei salari, attenta alle richieste delle aree produttive del paese come sull’autonomia differenziata, disponibile ad ogni tipo di incontri e tavoli con esponenti dell’esecutivo (anche quelli strumentali e inopportuni di Salvini).
Non che le articolazioni e le tensioni congressuali fossero superate in CGIL. L’assemblea generale del 4 marzo è stata riunita solo in una giornata (chiudendola entro le 17 ed evitando le conclusioni, trasformate nella lettura di un documento evidentemente concordato nelle virgole), riunendo il meno possibile il direttivo (solo a fine giugno) oppure riunendolo ma senza farlo votare (per tutto l’autunno). Nelle discussioni, infatti, risuonavano ancora ragionamenti e accenti diversi: sul rapporto della CGIL con il campo progressista; sull’opportunità di segnare una contrapposizione generale al governo reazionario di Salvini e Conte; sul salario minimo e l’interlocuzione con i relativi percorsi parlamentari; sulle priorità da definire come anche sull’avvio della stagione contrattuale e le rispettive pratiche (un avvio di stagione, in particolare, segnato dalla perimetrazione nelle logiche IPCA nei settori pubblici, dal loro superamento in chimici e bancari, dal loro stravolgimento nei metalmeccanici con la richiesta di un aumento di oltre l’8% sul tabellare).
La crisi estiva ed il nuovo governo hanno cambiato il contesto e l’azione della CGIL. Hanno anche fluidificato le sue dinamiche interne. L’improvvisa precipitazione delle relazioni nella maggioranza reazionaria ha aperto uno spazio nuovo. Landini e la CGIL hanno assunto, sin da subito e con un ruolo cruciale, una linea di sostegno alla nascita del Conte bis e, nei mesi successivi, hanno accompagnato la nuova maggioranza 5 Stelle-PD-IV-LEU. Il nuovo quadro politico, infatti, ha permesso alla CGIL di affrontare alcune inconcludenze della sua strategia, a partire da un ritrovato rapporto con l’esecutivo (la riconquista di un ruolo del sindacato nella definizione delle politiche economiche) e dalla conseguente possibilità di ottenere risultati sul fronte dei redditi (defiscalizzazione del lavoro dipendente). Anche se alcune inconcludenze di fondo non possono certo esser superate da un semplice cambio del quadro politico e si sono quindi riproposte in tutta la loro evidenza: in primo luogo l’indiscutibilità dei vincoli europei, che hanno impedito qualunque reale politica di ripresa della spesa pubblica e degli investimenti. Anzi, proprio il profilo del nuovo governo, spiccatamente europeista e imprenditoriale, le hanno rese più evidenti. A questi elementi strutturali di difficoltà, se ne sono aggiunti altri congiunturali. A partire dalla frammentarietà e l’instabilità di questa maggioranza parlamentare, debole nel consenso popolare e spesso incapace di delineare risposte per i suoi contrasti interni (dall’Ilva ai precari della scuola). Inoltre, la nuova centralità conquistata dalla CGIL nel sostegno e nell’interlocuzione con il governo ha raffreddato se non ostacolato le relazioni unitarie.
Il dibattito in CGIL, a partire dai direttivi di autunno, ha quindi evidenziato una fluidificazione delle relazioni nella maggioranza. Le linee di faglia tracciate dalla dinamica congressuale, infatti, sono state largamente superate dalla linea effettivamente assunta dalla segreteria Landini e dal nuovo contesto politico. Anche se la stessa fragilità di questo quadro, il rischio di un’improvvisa precipitazione verso nuove elezioni, l’incertezza sugli effettivi risultati ottenibili, la difficoltà di delineare una reale discontinuità (a partire dai decreti sicurezza) come di poter sviluppare una significativa azione critica nei confronti della maggioranza, tenevano aperte diverse letture e propensioni, che potenzialmente avrebbero potuto determinare un riassetto degli equilibri e delle dinamiche congressuali.
La legge di bilancio e le elezioni di gennaio hanno parzialmente stabilizzato queste incertezze. Il direttivo del 3 e 4 febbraio 2020, pochi giorni dopo il voto emiliano, ha quindi sancito una nuova fase. La relazione e anche le conclusioni del segretario generale non hanno introdotto particolari elementi di novità, ribadendo nella sostanza linea e ragionamenti proposti negli ultimi mesi. Però il direttivo ha segnato comunque un passaggio di fase.
Landini, in particolare, nei suoi articolati e complessi discorsi ha focalizzato alcune indicazioni.
L’inversione di tendenza nella manovra di bilancio. Per il segretario, le politiche del Conte bis hanno segnato una prima inversione di tendenza. A partire, in particolare, dalla defiscalizzazione dei salari e dalla sanità. Il bonus Renzi, nella trattativa con il sindacato e per l’azione specifica della CGIl, è stato ampliato (da 80 a 100 euro) e la platea è stata allargata ad altri 4 milioni di lavoratori/lavoratrici. Un inizio, da sviluppare nella revisione degli scaglioni Irpef, nella rimodulazione IVA, come nella diversa tassazione sugli aumenti contrattuali che sarà riproposta dalla CGIL nei prossimi incontri. Sulla sanità, portiamo ad un aumento di 2 mld ai relativi fondi (edilizia e ammortamento tecnologica), come all’abolizione del superticket da settembre. Piccoli segnali, come sulla stabilizzazione dei precari (a partire da scuola anche se ancora non sufficienti), ma che appunto segnano un’inversione. Segnali da verificare e sviluppare nei prossimi tavoli di questi mesi (pensioni, fisco, sud, trasporti e infrastrutture, con l’orizzonte dell’anticipo del DEF ad aprile.
Il problema di un rilancio degli investimenti, in particolare sulla formazione. Il segretario ha sottolineato come nel paese si moltiplicano differenze territoriali e sociali, tra aree centrali e periferiche. Serve un rilancio degli investimenti pubblici: ancora oggi sono il 30% del 2007 (100 mld di euro di differenza). Un rilancio straordinario anche per le sfide tecnologiche e ambientali di questa fase. Investimenti straordinari che devono esser focalizzati in particolare sulla formazione (proprio in questo decennio, però, abbiamo visto un taglio importante su università e ricerca). Le ristrutturazioni in corso per la crisi e per le nuove politiche sostenibili impongono infatti che la formazione assuma un ruolo centrale, capace di garantire occupazione nella riconversione. Servono quindi investimenti su scuola, università e ricerca senza precedenti! Anche cambiando profondamente queste realtà e questi settori: negli anni 70 tramite le 150 ore nei contratti abbiamo cambiato anche la scuola e l’insegnamento, oggi dobbiamo affrontare il problema della formazione continua per tutti, garantendone il diritto. Nuova politica industriale è quindi una nuova stagione di investimenti pubblici, con un’agenzia centrale pubblica al suo centro (questa la nuova IRI), anche con un nuovo sistema di ammortizzatori sociali (che garantisce riconversione e formazioni).
Contrattazione e necessità di una partecipazione alla gestione. Il segretario ha sottolineato l’obbiettivo centrale del rinnovo dei contratti, a partire da quelli che attendono da molti anni (multiservizi, sanità privata o guardie giurate). Anche se importanti ccnl sono stati rinnovati, come quello dei bancari non solo positivo sul fronte economico ma anche in grado di superare il salario ingresso. In questo contesto, è evidente la difficoltà sui ccnl pubblici, in cui mancano ancora risorse. Questa stagione contrattuale, in ogni caso, deve esser focalizzata non solo sul salario ma anche sull’inclusività, riunificando diritti e intervenendo sul sistema degli appalti. Non si può celebrare i 50 anni dello statuto dei lavoratori per uno statuto che i giovani non hanno più. Nel quadro delle ristrutturazioni e delle riconversioni in corso, diventa anche fondamentale anticipare la contrattazione alla fase delle decisioni strategiche di gestione dell’azienda: un problema non solo di diritto ad accedere a questo livello, ma anche di come si attrezza il sindacato a farlo.
Il rapporto con il campo progressista. Il segretario ha sottolineato come i dati emiliani hanno avuto valenza nazionale, a causa di Salvini e del suo progetto di usarli per ribaltare il governo. Proprio questo tentativo è stato nettamente sconfitto. In Calabria quadro diverso, con vittoria del centrodestra ed entrata della Lega in Consiglio (anche se dimezza i voti sulle europee). Bonaccini vince, con 150mila voti alla sua persona, soprattutto nell’asse centrale e metropolitano della regione: Bologna, Modena, Reggio. Nelle aree periferiche del territorio e della società, rimane profonda la percezione di una rottura del sistema di protezione sociale, di una rabbia contro queste politiche che gonfia la Lega e non solo. Questa dimensione parla e attraversa anche la CGIL, ci pone la necessità di farci carico di questa frattura e di provare a ridurla.
L’unità sindacale dobbiamo sapere che presenta qualche problema. Il segretario, nel confronto con il governo, ha sottolineato anche l’importanza del nodo della legge sulla rappresentanza ed il salario minimo. C’è una possibilità che si riaprano a breve i tavoli su queste questioni. Su questo punto dobbiamo però sapere che non è detto che tutte organizzazioni sindacali pensano lo stesso, per esempio su una legge che prevede erga omnes. Anche per questo, dobbiamo sapere che forse sarà necessario andare avanti da soli.
Che fare? Le iniziative dei prossimi mesi. Il segretario ha quindi ribadito che, nel quadro dei chiaroscuri della legge di Bilancio che segnano comunque un’inversione di tendenza, nelle prossime settimane e sino ad aprile si sarà impegnati nei diversi tavoli di confronto con il governo. Si vedrà al termine se sui capitoli più importanti (dal fisco alle pensioni, dalla rappresentanza ai contratti pubblici) l’inversione di tendenza si rafforzerà o subirà degli arresti. Di conseguenza, ora non è il tempo della mobilitazione, ma quello del confronto con lavoratori e lavoratrici, per presentargli i risultati (defiscalizzazione) e confrontarci con loro sulla situazione. Un grande ciclo quindi di assemblee nei posti di lavoro e attivi territoriali di delegati/e, cercheremo di farli unitari ma non è sicuro.
In questo quadro, servono riflessioni programmatiche [e sfuma nel tempo la conferenza di organizzazione]. Nel quadro dei grandi cambiamenti in corso, il segretario ha quindi posto la necessità di un aggiornamento programmatico. Quindi prima della conferenza d’organizzazione attivare una serie di momenti di elaborazione e discussione, a partire da assemblea generale delle camere del lavoro a fine mese. Serve che la ricerca, la formazione e l’azione siano tra loro connessi, per arrivare quindi a un ripensamento generale del modello organizzativo, in cui il problema non è se conta il livello regionale o di camera del lavoro, ma se spostiamo verso il basso il baricentro dell’organizzazione, verso i delegati e le delegate.
Il passaggio di fase di questo direttivo, più che dalla relazione è stato però segnato dal dibattito e dal voto. Dal dibattito, dove diversamente che nei direttivi passati non si sono alzate nella maggioranza voci dissonanti, precisazioni o particolari articolazioni di linea. Tutti gli interventi si sono posti nel solco della relazione, del suo impianto e delle sue prospettive. Anche se, ovviamente, alcuni hanno spiccato più di altri: chi per l’assenza del suo intervento (il segretario dello SPI), chi per il silenzio e l’attenzione con cui è stata seguita (la segretaria della Funzione pubblica), chi per l’esplicita rivendicazione di appartenenza e di diretto sostegno al campo progressista (il segretario dell’Emilia Romagna, siamo autonomi non neutri). Un’impressione rafforzata da un antefatto: la riunione del direttivo sulla situazione politico sindacale è stata preceduta da una sessione seminariale, introdotta da una relazione di Susanna Camusso, Nathalie Tocci (Istituto Affari Internazionali) e Lucio Caracciolo (Limes). Il seminario doveva concludersi verso le 17, ma nel dibattito ci sono stati solo sei interventi (di cui due della nostra area, uno di Lavoro e Società e uno di Gianni Rinaldini). Le conclusioni di Landini, assorbite nella relazione introduttiva alla parte politico-sindacale, di fatto non ci sono state: l’impressione evidente è cioè stata quella di uno scarso coinvolgimento, se non una grande disattenzione, da parte di tutto il direttivo. Diversamente dai direttivi scorsi, infine, la riunione si è conclusa con il voto su un dispositivo proposto dalla segreteria, che ha visto 4 voti contrari (i nostri di RT! con una dichiarazione di voto) e 1 astenuto (Democrazia e Lavoro, per l’insufficienza dell’iniziativa e perplessità sulla proposta della defiscalizzazione degli aumenti contrattuali).
Noi, come area programmatica RiconquistiamoTutto!, siamo infatti interventi in entrambi i momenti del direttivo. Nel dibattito sulle questioni internazionali, da un punto di vista femminista e classista con un intervento di Eliana Como (in particolare sulle lotte nel mondo delle donne) e uno di Mario Iavazzi (in particolare sul ruolo della crisi e dei conflitti interimperialistici). Nel dibattito politico sindacale, con un intervento di Eliana Como (in particolare su cuneo fiscale, pensioni e la necessità della lotta) ed uno di Luca Scacchi (in particolare su impianto della legge di bilancio, relazioni con il governo, defiscalizzazione degli aumenti, crisi e necessità di una mobilitazione ora).
In conclusione, il congresso ci pare proprio finito. La fluidificazione delle articolazioni della maggioranza emerse al congresso hanno segnato un ulteriore passo avanti. Maurizio Landini, che si è impegnato in prima persona nel sostegno e nell’accompagnamento di questo governo, raccoglie dietro di sé e dietro la sua linea tutta la maggioranza. Una maggioranza CGIL che ha fatto pienamente sua la linea del posto a tavola. In questo quadro, sfumano quindi (definitivamente?) le diverse appartenenze congressuali e, certo per caso, diventa però significativo che proprio il giorno successivo al direttivo Vincenzo Colla abbia annunciato il proprio abbandono dai ruoli della CGIL e l’entrata nella Giunta Bonaccini. Come risulta altrettanto casuale, ma sicuramente emblematico, che il ritorno di una relazione al direttivo della precedente segretaria generale (nella sua nuova veste di responsabile delle relazioni internazionali), ne segni anche in qualche modo una relativa marginalità nella discussione dell’organizzazione.
In questo quadro, in questo nuovo afflato unitario sotto il segno del Conte bis e del nuovo campo progressista, sembrano sfumare temi e tempi della conferenza organizzazione. Landini pone cioè oggi, con maggior chiarezza ma ancora grande indeterminatezza, la necessità di un ulteriore aggiornamento programmatico, di una riflessione politica più ampia prima di approcciare quella organizzativa: annunciando, fra le righe e non solo, l’obbiettivo di un cambio radicale non solo di modello organizzativo, ma anche del profilo complessivo della CGIL. Quasi richiamando alla memoria quel doppio passaggio di trent’anni fa, la conferenza di programma a Chianciano in aprile e la conferenza di organizzazione a Firenze in novembre, in cui la CGIL rivide il suo profilo e la sua composizione politico-programmatica (sindacato dei diritti, scioglimento delle componenti, definizione delle aree programmatiche e della loro articolazione anche per documenti alternativi). E, in questo quadro, emerge anche nella prossemica di un dibattito unitario qualche segno di tensione sulle prospettive e gli assetti futuri (a partire da quelli della segreteria confederale). Emblematiche, a questo proposito, le inusuali dichiarazioni della Camusso a un quotidiano locale. Un congresso è sicuramente finito. Che se ne stia aprendo un altro?
Luca Scacchi
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