AG CGIL. La necessità di una contrapposizione netta a Landini e a una linea inconcludente.
Una riflessione di Luca Scacchi, direttivo nazionale CGIL
Lunedì 4 marzo 2019 si è tenuta a Roma la riunione dell’Assemblea generale della CGIL. Dopo il congresso di Bari, era la prima volta che si riuniva il principale organismo dirigente della confederazione. La prima volta quindi in cui il nuovo segretario generale, Maurizio Landini, proponeva una linea d’azione contingente. La prima volta in cui si affrontava una discussione generale dopo le contrapposizioni e le difficili mediazioni della maggioranza della CGIL in quel congresso. La prima volta in cui quindi si metteva a verifica quell’assetto e l’impianto politico che da quell’assetto consegue.
Nel mio intervento, che potete sentire/vedere qui, ho provato a sottolineare alcune critiche di fondo a quanto proposto nella relazione di Maurizio Landini. L’assenza di una chiara strategia complessiva nell’avviare un percorso di mobilitazione categoria per categoria. La necessità al contrario di centrare la nostra iniziativa sulla questione salariale (per aumenti stipendiali certi, monetari e nei CCNL, in grado di redistribuire la ricchezza prodotta) e contro l’autonomia rafforzata (non sulla base della difesa dei LEP, i Livelli Essenziali di Prestazione, che subordinano i diritti sociali universali alla logica dell’efficienza e della sostenibilità finanziaria). L’importanza di sviluppare su queste lotte e resistenze una vertenza generale, in grado di coinvolgere e auto-organizzare lavoratori e lavoratrici, per una reale ripresa del movimento operaio e del lavoro nel suo complesso.
Proprio per questo, non ho condiviso la scelta di astenersi sul documento conclusivo. Non l’ho condivisa per una valutazione di merito, non l’ho condivisa per una valutazione più generale sulla segreteria Landini e la sua azione.
In primo luogo, una valutazione di merito. Il documento conclusivo riprende, esplicitamente nel suo incipit (si approva la relazione) e politicamente in tutto il suo ragionamento, l’introduzione del segretario generale. Come è sottolineato non solo nel mio intervento, ma anche in quelli della compagna Eliana Como e del compagno Iavazzi, si propone sostanzialmente una primavera di mobilitazione frammentata tra le diverse categorie. Soprattutto, la si propone su un impianto non condivisibile. Non solo insufficiente, ma a mio parere proprio non condivisibile. Come è stato detto nella relazione, come è esplicitato nel documento, si propone infatti (e non casualmente) di proseguire e sviluppare la mobilitazione del 9 febbraio sulla base di quella stessa impostazione. Di più, si stabilizza e approfondisce quell’impostazione. Non è solo il problema dell’unità con CISL e UIL, del suo profilo astratto e burocratico, con le conseguenti inevitabili mediazioni su tempi e forme di lotta oltre che sulle specifiche rivendicazioni con organizzazioni che hanno diversi obbiettivi e diversa natura (la difesa della forza lavoro non dell’autonomia del lavoro, come mostra anche in questi giorni la vicenda FCA). È l’asse proposto dalla stessa CGIL che ritengo sia sbagliato. Un asse che mi appare costruito concretamente su due pilastri principali. Da una parte (come ho sottolineato in un altro contributo che analizzava la discussione sulla TAV in CGIL) sulla centralità dello sblocco dei cantieri come principale strumento anticiclico contro la recessione incipiente. Dall’altra su una proposta salariale che, nella conferma di fatto dell’accordo con Confindustria dello scorso anno, indica il terreno della defiscalizzazione e della riduzione dell’IRPEF per il lavoro dipendente come la strada principale, se non l’unica, per conquistare reali aumenti di stipendio. Non sono elementi accessori o di dettaglio: è l’asse su cui oggi si propone di impostare l’azione della CGIL. Non a caso la mobilitazione viene lasciata per la primavera alle singole categorie (dagli edili sulle grandi opere alla scuola sull’autonomia rafforzata). Perché il momento dell’eventuale offensiva viene prospettato per l’autunno, con una proiezione tutta focalizzata sulla prossima legge di bilancio. Quest’asse rivendicativo infatti è tutto sbilanciato sul versante politico, nella costruzione di un confronto (eventualmente anche di uno scontro) per una trattativa con il governo. Non ci si propone di organizzare e sviluppare rivendicazioni e conflitto nella produzione e nel lavoro. Cioè, non solo non ci si propone di ricostruire su queste rivendicazioni e questo conflitto un’identità e una coscienza di massa, in grado di spezzare l’egemonia reazionaria sulle classi subalterne. Non ci si propone neanche di provare a sviluppare una resistenza diffusa e radicata nei posti di lavoro, ma solo di dispiegare un confronto politico tra governo e organizzazioni sindacali unitarie. Altro sarebbe necessario. Come ho sottolineato nel mio intervento, da una parte bisognerebbe focalizzarsi su una battaglia salariale vera (servirebbe cioè una svolta salarialista per la CGIL), per strappare al padronato aumenti reali, monetari e per tutti, redistribuendo quindi la ricchezza a spese del capitale e della rendita (non della fiscalità generale). Dall’altra, bisognerebbe sviluppare un’opposizione di massa all’autonomia rafforzata delle Regioni, contro lo smantellamento dei diritti e dei servizi sociali universali, contro la divisione contrattuale e del lavoro che inevitabilmente ne seguirebbe. Una battaglia che non dovrebbe esser di questa o quella categoria, di questo o quel territorio, ma di tutta la CGIL. Questa primavera, quindi, non dovrebbe esser segnata dall’impegno su resistenze e lotte parziali nella prospettiva di una lotta autunnale sulla legge di bilancio (investimenti e defiscalizzazione salariale). Dovrebbe esser invece segnata dal sostegno e dalla diffusione delle mobilitazioni settoriali su cui sviluppare una vera e propria vertenza generale. Una vertenza cioè in grado di ricomporre la moltitudine del lavoro, coinvolgendo in assemblee territoriali e nei luoghi di lavoro lavoratori, lavoratrici, pensionati e pensionate, precari/e e disoccupati/e. Una vertenza quindi capace di innescare e sostenere un movimento di massa e la sua necessaria autorganizzazione, a partire da assemblee e coordinamenti di delegati/e.
In secondo luogo, una valutazione sulla segreteria Landini. È vero che la sua ascesa al vertice della CGIL ha innescato molte aspettative. Il corteo del 9 febbraio stesso lo ha mostrato. Però queste aspettative pur essendo molte, sono limitate: concentrate in particolare in alcuni settori. Da una parte, in quel poco che rimane del cosiddetto popolo della sinistra (quel poco che rimane sia da un punto di vista numerico, sia da un punto di vista di una sua coscienza politica oramai svuotata da un’identità di classe e dalla prospettiva del superamento di questo modo di produzione). Dall’altra, nello stesso corpo della CGIL (dirigenti, delegati/e e attivisti). Un corpo certo imponente (centinaia di migliaia di compagni e compagne), ma comunque delimitato. Invece nel più ampio strato di classe, nella classe operaia centrale come nel precariato, in ampi strati della stessa avanguardia di fabbrica e di azienda, penso sia più diffusa una certa indifferenza. Tanti e tante delegati/e e dirigenti CGIL sono venuti a Roma il 9 febbraio, tra i più di 180mila dell’organizzazione. Nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici dominava invece la freddezza: talvolta l’ostilità, spesso il disinteresse. Mi sembra importante cogliere questa differenza, questa contraddizione, tra aspettative di massa e aspettative delle componenti più attive. Non è però solo questo. La segreteria Landini, questa proposta e questa prospettiva di mobilitazione, non sta innescando o cogliendo un vento di resistenza diffuso, dandogli forma e rappresentazione (come fu la FIOM nello scontro in FCA, nel 2010 e nei due anni seguenti). Al contrario, oggi Landini prova a gonfiare le vele per uno scivolamento fuori dal conflitto nel lavoro, nel quadro di un tentativo delle burocrazie sindacali di ritrovare una centralità politica nel confronto con il governo. Il problema allora per noi, per le componenti più conflittuali e classiste della CGIL, non è quello di evitare di esser “pregiudiziali” nei confronti di questa nuova gestione. La nostra prima preoccupazione dovrebbe esser invece quella di indicare con nettezza, nella CGIL e nei posti di lavoro, il profilo e le prospettive sbagliate di questa linea unitaria; per continuare invece, testardamente ed in direzione contraria, a sviluppare una linea conflittuale e classista in CGIL e nei luoghi di lavoro.
Per queste ragioni, per entrambe queste ragioni, non ho condiviso la scelta compiuta, pur rispettandola. Come ho sottolineato nel confronto con i compagni e le compagne di riconquistiamotutto in Assemblea generale, avrei ritenuto utile e necessario presentare un documento alternativo. Una nostra proposta di percorso e mobilitazione, che incrociando e sostenendo i passi avanti di lotta che la CGIL prova a compiere (dalla ripresa degli scioperi in FCA alla costruzione di un ampio fronte contro l’autonomia differenziata nell’istruzione e ricerca), sia nel contempo in grado di tener ferma la barra sulla necessità di un’alternativa strategica a questa linea di maggioranza. Comprendendo la difficoltà, di tempi e di percorso, per presentare un documento alternativo in questa Assemblea generale (in un momento in cui l’area programmatica congressuale sta costituendosi), ritenevo però indispensabile un voto contrario motivato.
L’ho sottolineato nel nostro confronto in Assemblea Generale. Lo ribadisco qui. Perché i diversi punti di vista e le diverse ragioni che costituiscono la nostra esperienza plurale sempre devono confrontarsi con chiarezza, con trasparenza e con reciproco rispetto.
Luca Scacchi
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