CGIL: un direttivo in mare aperto

Resoconto del primo direttivo nazionale della CGIL dopo il congresso di Bari (Roma, corso Italia, 24 giugno 2019).

Il XVIII congresso della CGIL si è concluso a Bari cinque mesi fa (25 gennaio 2019). Tutti sappiamo anche come si è concluso, con una difficile ricomposizione al fotofinish dopo le acute tensioni autunnali all’interno della larga maggioranza congressuale, a partire dalla candidatura di Landini e la successiva esplicitazione della candidatura alternativa di Vincenzo Colla. Una ricomposizione che ha però mantenuto vaghi diversi nodi, tenuti rigorosamente sotto il tappeto da un documento ambiguo in molti passaggi (dal salario minimo all’unità sindacale) e dall’accurato evitamento del voto in plenaria su qualsivoglia emendamento o ordine del giorno di merito che avrebbe potuto dividere la maggioranza (dalla Tav al welfare).

Da allora il massimo organo dirigente dell’organizzazione non è praticamente mai stato riunito. Si è convocata una volta l’Assemblea Generale CGIL all’inizio di marzo, per approvare le indicazioni per la primavera (sciopero generale rimandato all’autunno, contrasto del governo categoria per categoria secondo i propri temi, tempi e modi; interlocuzione con Confindustria per proseguire e rinnovare il patto di fabbrica). Un organismo di oltre 300 componenti (più numerosi invitati) ha dovuto comprimere confronto e votazioni tra le 11 e le 17 (tanto che la Landini non ha tenuto delle conclusioni, ma semplicemente letto l’odg finale), senza alcun reale approfondimento. Ai primi di maggio si sono riuniti unitariamente gli organismi statutari di CGIL, CISL e UIL a Matera, in una sorta di evento-convegno sulla Cultura e l’Europa. Nonostante in questi mesi si sia affrontato il cambio di assetti nell’apparato di corso Italia, l’implementazione di un complesso piano di risanamento finanziario, il proseguo del confronto con Confindustria sul patto di fabbrica, le elezioni Europee (con il varo dell’inedito Manifesto sull’Europa insieme a Confindustria), il rilancio del percorso di unità sindacale (dall’intervista di Landini il primo maggio alla definizione di un percorso di incontri degli esecutivi unitari), l’avvio di un difficile confronto con il governo (rinnovo e corteo dei pubblici, mobilitazione e poi intesa della conoscenza, scioperi degli edili e dei metalmeccanici), la segreteria nazionale non ha mai sentito il bisogno di un confronto o un’indicazione del Direttivo.

Il Direttivo nazionale della CGIL del 24 giugno, allora, è stato intasato. Sia di compiti ed obblighi burocratici, sia di temi, discorsi da svolgere e spunti di confronto da dispiegare. Lo dimostrano i 15 interventi che non si sono potuti teneri a causa dei tempi (praticamente la metà degli iscritti a parlare), lo dimostra la scelta di avviare una discussione politico sindacale di carattere generale, per il momento senza nessun documento e nessun voto, rimandando l’approfondimento ed eventuali scelte alle prossime riunioni (una probabilmente già nel corso del mese di luglio).

LA MATTINATA È STATA OCCUPATA DA UNA LUNGA SERIE DI ADEMPIMENTI di carattere gestionale e congressuale: l’elezione della presidenza del direttivo, degli ispettori, degli organismi dell’INCA e dalla Fondazione di Vittorio, l’approvazione del bilancio consultivo, la conferma delle Delibere regolamentari e il nuovo regolamento delle Commissioni di Garanzia. Noi come area programmatica RT! abbiamo sostanzialmente approvato organismi di garanzia, passaggi amministrativi-gestionali e questioni regolamentari che non hanno messo in discussione profilo e diritti dei pluralismi statutari della CGIL, mentre ci siamo astenuti sulla definizione di tutti gli organismi che hanno un qualche carattere politico-operativo (espressione della maggioranza congressuale).

LA RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE È STATA QUINDI LUNGA ED ARTICOLATA (oltre un’ora e mezza di durata). Molteplici infatti sono stati i temi e i nodi portati nella discussione.
Il percorso unitario e le prospettive future. La relazione ha sottolineato come in questi mesi si è svolto un percorso con CISL e UIL, aperto con il corteo del 9 febbraio, vissuto in primo luogo dalle categorie (mobilitazioni, scioperi, intese e rinnovi contrattuali), rilanciato oggi dalla manifestazione del 22 giugno a Reggio Calabria. Un corteo molto partecipato per Landini, che ha reso evidente la capacità sindacale di riempire le piazze: non era scontato parlassimo al paese, questo è successo e ha spaventato governo e 5 Stelle, che per questo reagiscono invitandoci (Salvini) o attaccandoci (5 Stelle) [qui, come in altri interventi, è stato sottolineato il successo di piazza del 9 febbraio e del 22 giugno con un’enfasi forse un po’ troppo sopra le righe. I (probabilmente) centomila partecipanti a Roma e i (forse) più di diecimila a Reggio, se mostrano una capacità di mobilitazione del sindacato, ne evidenziano anche i limiti nel coinvolgere la larga massa di lavoratori e lavoratrici: non si sono portate a Roma le centinaia di migliaia dai luoghi di lavoro, non si sono visti a Reggio neanche le decine di migliaia di attivisti sindacali che potevano esser coinvolti tra gli 800mila iscritti della sola CGIL nei territori limitrofi].
[In ogni caso] ora siamo ad uno snodo: nei prossimi mesi individueremo e verificheremo la piattaforma per l’autunno, baricentrata sulla questione fiscale (da una parte la defiscalizzazione dei salari, dall’altra l’inserimento di una patrimoniale). Se questo passaggio regge, lo si vedrà a luglio con la riunione congiunta delle segreterie, a settembre si può pensare ad una riunione unitaria dei direttivi CGIL CISL UIL e quindi la costruzione di un percorso di mobilitazione, “sino allo sciopero generale”.
Un bilancio delle elezioni. Il segretario ha sottolineato che il voto europeo sul continente, come poi anche quello amministrativo in Italia, ha mostrato una nuova avanzata delle destre. Si sono consolidate soprattutto in alcuni paesi (Polonia e Ungheria, ma anche Gran Bretagna, Francia e Italia). Il dato evidente è che le forze tradizionali, PPE e PSE, non hanno più una maggioranza nel Parlamento Europeo e sono alle corde anche in molti paesi centrali per la UE (vedi CDU e SPD in Germania), con la crescita anche di nuovi soggetti come i Verdi. In Italia evidente l’esplosione della Lega (da 1,5 a 9,5 milioni di voti), il crollo 5S e il recupero, ma solo percentuale, del PD. Risaltano in questo quadro i 19 milioni di astenuti: tra loro 7,5 milioni di pensionati, 5 milioni di dipendenti, 1,5 milioni di precari. Una parte del nostro mondo. In ogni caso, dal 2008 hanno cambiato voto 20 milioni di persone: è evidente un cambiamento che travolge identità e appartenenze tradizionali. Tra gli iscritti CGIL, il 50% si colloca in quella che potremmo definire sinistra, ma si conferma un ampio consenso per le forze oggi al governo (anche qui, tra noi, con un calo 5stelle e un aumento significativo dei voti alle Lega). Questo voto, cioè, conferma e consolida la rottura di legami e identità politiche tradizionali; ci consegna la necessità di una rigorosa coerenza e di sviluppare azioni concrete, perché nulla è più scontato.
L’Italia e il governo nel quadro della crisi mondiale. La relazione ha evidenziato come il nuovo rallentamento in corso metta in discussione la strategia economica del nostro paese dell’ultimo decennio. Questo rallentamento, infatti, è segnato dalla nuova era Trump: una nuova fase della globalizzazione caratterizzata da un nuovo capitalismo di stato (India, Giappone, Cina, ma anche Germania e Francia), nel quadro di un riequilibrio tra le diverse potenze del mondo e una loro aperta competizione (dazi). In questo paese qui, che dal 2008 ha ridotto di un quarto la capacità produttiva e l’ha focalizzata sulle esportazioni nel quadro di permanenti politiche di austerità, questo cambio di fase travolge ogni assetto. Prendiamo l’auto: siamo nel pieno di un cambiamento epocale che modifica il prodotto (elettrica, IA) e rilancia la concentrazione per i necessari e colossali investimenti, con possibili blocchi continentali e un ruolo centrale del pubblico (vedi il ruolo e la competizione per il controllo delle batterie). FCA è impallata (FIAT ha solo Panda e 500, tutto il gruppo motori a benzina e diesel). È a rischio, senza significative politiche industriali, larga del nostro sistema produttivo. Tanto più davanti una possibile ripresa dell’inflazione, in grado di travolgere tutto. 5 Stelle e Lega (da Ilva a FCA, dalle politiche economiche all’Europa) si stano dimostrando incapaci anche solo di cogliere questo quadro complessivo. Tanto più che in questa nuova globalizzazione, l’orizzonte non può che esser quello dello sviluppo di una forte Europa sociale, in grado di competere in questo nuovo scenario [e qui, quello che sorprende, è una lettura della crisi e delle sue dinamiche tutta geopolitica, senza nessun riferimento alle contraddizioni ed ai conflitti tra capitale e lavoro, potremmo dire perfettamente in linea con il Manifesto per l’Europa firmato da CGIL CISL e UIL insieme con Confindustria].
Centralità delle politiche fiscali. Landini, in questo quadro, ha indicato al centro del percorso unitario e dell’azione rivendicativa della CGIL la questione fiscale. Non solo il classico terreno redistributivo (cioè uno strumento per alzare redditi e salari del lavoro), ma uno strumento per una diversa politica economica e un nuovo protagonismo pubblico: per rilanciare l’espansione della domanda e una ripresa degli investimenti, con un nuovo ruolo dello Stato. Una politica di investimenti che è possibile: è vero che siamo un paese ad alto debito, ma abbiamo anche un alto risparmio interno che deve esser messo a frutto per rilancio del paese: un risparmio privato (conti correnti, titoli, rendite), ma anche costituito da patrimoni e fondi previdenziali [!!??!! Cioè ha indicato i fondi previdenziali non come salario differito, ma come una riserva di capitale da utilizzare per il rilancio del sistema produttivo]. Servono quindi nuovi strumenti pubblici e bancari per mettere di nuovo in gioco questo risparmio: un passaggio che nella relazione è stato ulteriormente esplicitato tramite un esempio, quello della Fillea che ha avanzato riflessioni a partire dalla bassa capitalizzazione delle grandi imprese edilizie e infrastrutturali italiane, oggi messe in ginocchio e in larga parte in amministrazione controllata [cosa si intende concretamente? Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, nel quadro della piattaforma dello sciopero del 15 marzo, hanno chiesto l’istituzione di un Fondo nazionale di garanzia creditizia per salvare dal fallimento le grandi imprese di costruzione in crisi (Condotte, Astaldi, Cmc, Glf, ecc). Un fondo che si vorrebbe “alimentato da Cassa Depositi e prestiti e da investimenti da parte di fondi di previdenza complementare, per mettere in condizione le imprese di portare a termine i cantieri aperti, rispettare le scadenze e continuare a competere in Italia e nel mondo”, con la disponibilità “anche a partecipare con una piccola quota con il fondo Prevedì, il fondo pensione dei lavoratori edili”. Cioè, in conclusione, Landini in un passaggio incidentale della relazione, sembra proporre che i Fondi previdenziali dei lavoratori e delle lavoratrici (quindi fondi salariali differiti) siano utilizzati come quote di capitale per supportare le imprese italiane nella competizione mondiale: il salario del lavoro al servizio degli interessi dell’impresa? Non sembra proprio un sindacato di strada..]
La proposta fiscale si propone quindi di rilanciare l’intervento pubblico, attraverso una defiscalizzazione degli aumenti salari (riduzione delle tasse sul lavoro) e una nuova patrimoniale (tassazione della rendita e dei patrimoni, in grado di recuperare risorse e ridurre le disuguaglianze).
Autonomia differenziata.
Il segretario, in un passaggio, ha quindi sottolineato l’importanza di difendere i servizi pubblici universali e di contrastare, direttamente ed esplicitamente, il progetto di autonomia differenziata in corso. Ed ha sottolineato come in questo quadro Reggio Calabria (il corteo, le dichiarazioni in quell’occasione ed i titoli di giornali successivamente) abbiano rappresentato un passo in avanti. È emersa cioè per Landini una posizione netta che anche per la CGIL è un fatto nuovo.
Il salario minimo.
Nel quadro del nuovo intervento pubblico, nel quadro dell’azione del governo e della maggioranza, Landini ha indicato anche la questione del salario minimo. Da tempo c’è una discussione sindacale su questa iniziativa. La posizione della CGIL, per il segretario, è chiara: i minimi salariali devono esser difesi attraverso un rafforzamento della contrattazione, anche per via legislativa da una parte con la definizione della vigenza del CCNL erga omnes e dall’altro con una legge sulla rappresentanza, che chiarisca chi ha il potere di firmare questi contratti. Così e solo così, dando attuazione contemporaneamente agli art 36 e 39 della Costituzione [art 36: retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa; art 39: rappresentanza sindacale per stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce] si riuscirebbe a difendere il salario complessivo (che non è semplice retribuzione oraria, ma è composto da componenti derivate e differite – come tredicesima, TFR, ferie, ecc). Se questo è vero, dobbiamo però esser consapevoli che i contratti pirata e l’art 8 di Sacconi (CCSL FCA è un contratto pirata) pongono però la necessità di un intervento legislativo urgente sul salario. Come c’è urgente bisogno di una verifica e una riparametrazione degli attuali confini contrattuali (visto che anche tra i nostri ccnl c’è competizione e dumping). In questo quadro, è forse possibile prevedere un intervento legislativo che stabilisca l’obbligo erga omnes dei ccnl e un minimo salariale contrattuale, ma che non sia solo il trattamento economico orario (tabellare) ma comprensivo di tutte le componenti salariali (cioè non il TEM, ma il TEC: il trattamento economico complessivo, comprensivo di tredicesima, TFR, ferie, malattia come di altre componenti non monetarie del salario, ad esempio il welfare contrattuale).
Una discontinuità nella CGIL. Il segretario ha quindi marcato la necessità di una profonda discontinuità nelle prassi e nell’organizzazione della CGIL, per affrontare questa nuova fase ed i suoi problemi. Sarà argomento della prossima conferenza di organizzazione [2020 o 2021? Questo appuntamento è sempre più atteso quasi messianicamente come il momento in cui da una parte precipita e si chiarisce l’incerto equilibrio prodotto dal congresso di Bari, dall’altro dovrebbe finalmente inverarsi il nuovo profilo landiniano della CGIL]. Nel frattempo, però, visto la necessità da una parte di preparare percorso e discussione, dall’altra di iniziare ad affrontare alcuni nodi che abbiamo di fronte, è in elaborazione un documento, che sarà varato nei prossimi mesi e portato in discussione in tutte le Assemblee generali territoriali e di categoria [un po’ come nella preparazione del documento congressuale]. Per Landini, è un modo per iniziare a marcare coerenza tra il profilo generale, le cose che si dicono e quelle che si fanno. La necessità invocata è quella di superare steccati e modalità categoriali, riconnettendosi alla concreta realtà dei luoghi di lavoro e dei processi produttivi, costruendo sia strutture organizzative, sia piattaforme (e quindi una vertenzialità ed una contrattazione) di sito, con tutte le diverse professionalità, tipologie e categorie coinvolte. In modo che a tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici siano garantiti trasversalmente almeno alcuni diritti e condizioni di base (come l’accesso ai servizi presenti in azienda, le agibilità sindacali, elementi di welfare integrativo, ecc). Una contrattazione da estendere e allargare anche territorialmente, con la contrattazione sociale e l’estensione di strumenti di welfare territoriale o aziendale. Ricostruire così una prassi ed un’organizzazione generale del lavoro, provando a sperimentare in ogni territorio da qui alla conferenza d’organizzazione almeno qualche esperienza. Ed affrontando così, per il segretario, anche il problema dell’erosione progressiva degli iscritti (solo tre categorie e altrettanti territori, di cui alcune/i molto limitate/e, aumentano iscritti; 500mila deleghe arrivano dai servizi).
Ultima cosa, la Gravidanza per Altri. Landini ha ricordato le polemiche scoppiate intorno ad un convegno-seminario organizzato dal Dipartimento Diritti, insieme a varie associazioni e comitati, su un eventuale regolamentazione legislativa della gravidanza per altri [qui un resoconto della vicenda, con alcune interviste in video tra cui la nostra portavoce]. Il segretario, in ogni caso, ha rimarcato che qualunque discussione è possibile, ma impegna l’organizzazione solo se sono coinvolti gli organismi dirigenti. I temi affrontati sono comunque delicati e personali, di carattere etico e come tali difficilmente assumibili dall’organizzazione nel suo complesso, tanto più a fronte di posizioni radicalmente diverse in tutti i soggetti politici e sociali (compreso il movimento femminista).
In conclusione, il segretario generale della CGIL ha tenuto una relazione ampia e poliedrica, in cui comunque è spiccato un’asse politico programmatico centrato sull’intervento e la contrapposizione nei confronti del governo, mentre è sfumato sino a scomparire ogni riferimento al capitale e ai conflitti nella produzione. È mancato cioè ogni riferimento alle ragioni e le dinamiche della grande crisi che stiamo vivendo da più di un decennio, come all’azione del padronato per tagliare il salario globale aumentando lo sfruttamento e l’estrazione del plusvalore assoluto (orario di lavoro) e relativo (intensità dei ritmi). Oltre a riaffermare una serie di orizzonti vaghi e indistinti, in cui si evoca una trasformazione epocale della CGIL e della sua prassi di cui non si coglie esattamente la sostanza (dall’unità sindacale al sindacato di strada).

IL DIBATTITO DEL DIRETTIVO. Diciassette gli interventi [Sgrò, Pedretti, Megale, Viafora, Sposato, Genovesi, Fammoni, Sinopoli, Sorrentino, Falcinelli, Summa, Como, Colla, Re David, Gabrielli, Botti, Lattuada], mentre ben quindici componenti non hanno potuto parlare per ragioni di tempo [Valfre’, Solari, Malorgiu, Brotini, Ricci, Giove, Sgalla, Ferrari, Quagliotti, Scacchi, Mininni, Mammoliti, Schiavella, Barbaresi, Borghesi]. In un dibattito così ampio e poco focalizzato gli interventi hanno spaziato largamente, riprendendo ora questo ora quell’altro tema di riferimento. In ogni caso, un dibattito in cui sono emersi toni e accenti diversi.
Il sindacato e la sinistra. Alcuni [ad esempio anche esponenti tra loro diversi come Pedretti, Sgrò e Botti] hanno sottolineato la necessità per il nostro sindacato di impegnarsi anche nella ricostruzione di un campo della sinistra politica. Per loro, la difesa del sindacato generale e di un sindacato confederale avviene infatti anche nel quadro del rilancio e della ricostruzione di un’identità ed un’appartenenza valoriale di lavoratori e lavoratrici, della ricostruzione di un rapporto tra lavoro e sinistra.
Il salario minimo. Diversi [ad esempio Genovesi e Fammoni] hanno sottolineato l’importanza di tenere insieme art 36 e art 39 (difesa del salario, rappresentatività sindacale e validazione erga omnes dei contratti) perché la struttura del salario in Italia è complessa (tabellare, indennità, tredicesima, TFR, ferie, ecc) e quindi c’è differenza tra ore retribuite e ore lavorate, tra paga oraria e paga complessiva. In questo quadro, il problema non è solo se il salario minimo per legge è quello inserito nei contratti, ma anche quello di un’indicazione precisa, una cifra, nella legge (siano o meno i nove euro).
Sul rinnovamento delle prassi sindacali ed il tesseramento alcuni [in particolare Genovesi] hanno sottolineato il ruolo della differenziazione delle condizioni salariali nei diversi ccnl, che entrano in diretta competizione tra loro. Per gli edili, il salario è intorno ai 16 euro all’ora, per i metalmeccanici ai 14 euro, per multiservizi agli 11 euro: negli ultimi anni ad esempio più di 150mila edili, che fanno ancora lo stesso lavoro, sono passati a multiservizi. Il tasso di sindacalizzazione degli edili è intorno al 60-70%, per la cassa edile: vuol dire che la FILLEA, la CGIL, ha perso in questa operazione circa 40mila iscritti. Una strada? Estendiamo a tutti i settori la pratica delle casse e degli enti bilaterali, magari affidandogli come in altri paesi anche la gestione del rapporto tra domanda e offerta [cioè, Genovesi ha proposto, per rafforzare il sindacato, di rafforzarne la funzione sussidiaria: non il semplice sindacato dei servizi individuali – il Caaf e l’INCA, ma quello di categorie chiamata ad una gestione diretta della forza lavoro a supporto della produzione, dalla formazione all’integrazione reddittuale, dal welfare alle assunzioni. Tutt’altra cosa dal sindacato di strada…]
Autonomia differenziata. In più di un intervento [ad esempio Pedretti, Sinopoli, Summa, Sposato] si è richiamata l’importanza del passo in avanti compiuto nel contrastare nettamente il progetto in corso di realizzare delle intese. Alcuni sottolineando come la regionalizzazione, oltre che una differenziazione dei servizi universali, oggi vorrebbe dire spazzare via anche la tenuta dei ccnl e quindi del sindacato confederale. Altri sottolineando come il federalismo solidale, in ogni caso, non è questa cosa e non bisogna parlarne ora, perché ora il punto è quello di dire no e sconfiggere questo processo politico.
Nuova globalizzazione e capitalismo di Stato. Forse inusualmente, un segretario confederale è intervenuto nel dibattitto [Vincenzo Colla], con un contributo molto determinato ma tutto sul versante analitico generale. Colla ha sottolineato in particolare la nuova fase mondiale di competizione multipolare, segnata dal rinnovato protagonismo statale, dalle guerre monetarie e commerciali, dai conflitti industriali attraverso lo sviluppo di campioni continentali. La Cina si muove con nuova forza e agilità in questo quadro, arriva a conquistare infrastrutture centrali del nostro paese, come porti e linee elettriche. Per stare su questa competizione, oggi come mai è fondamentale l’Europa. Per salvaguardare il nostro sistema produttivo serve uno stato forte, con una significativa politica industriale, in grado di giocare nel quadro europeo. Oggi invece siamo sempre più fuori dalla cabina di regia UE (mentre è entrata la Spagna), con il rischio di una progressiva emarginazione.
La complessità del quadro e della dinamica. Altri interventi infine, nel riconoscersi completamente ed esplicitamente nella relazione introduttiva [ad esempio, Sinopoli e Re David] hanno sottolineato la complessità della situazione e della dinamica in cui ci troviamo di fronte. Da una parte, come per l’intesa del 24 aprile su scuola e conoscenza, nella divergenza fra prospettive politico-valoriale e obbiettivi rivendicativi; dall’altra, come nel prossimo rinnovo metalmeccanico, tra respiro unitario generale (anche in categoria, come nello sciopero del 14 giugno) e verifica della tenuta di questo rapporto.

IL NOSTRO INTERVENTO, COME AREA PROGRAMMATICA RT!. ELIANA COMO ha sottolineato la necessità di far emergere con più chiarezza, e con maggior forza, un asse di ragionamento e di proposta che pare un po’ perdersi nella complessità della situazione e della relazione. La necessità di esser realmente coerenti e conseguenti su alcuni temi, dal contrasto dell’autonomia (dopo lo sciopero revocato della FLC, c’è una mobilitazione della CGIL?) al salario minimo (il problema principale è che oggi la proposta dei nove euro trova senso perché molti ccnl che abbiamo firmato si collocano sotto questa soglia: vogliamo aprire finalmente un reale fronte di lotta salariale in questo paese qui?). Ma tutto questo lo possiamo fare se lanciamo veramente una nuova stagione di lotte, superando le contraddizioni di un’unità sindacale evocata e sbandierata, ma difficile da fare con le bandiere SI Ponte, con le ambiguità sulla regionalizzazione, con i problemi nei metalmeccanici ad assumere l’obbiettivo di un reale aumento salariale. E su coerenza e identità, forse non è il caso di accettare un eventuale incontro con Salvini al Viminale, senza nessun apparente titolo e titolarità, con un ministro che chiude i porti e manganella gli operai). E se la CGIL è laica per Statuto, dovremmo affrontare liberamente e laicamente la discussione sulla gravidanza per altri, ascoltando e confrontandoci senza posizioni ultimative in un senso o in un altro, a prescindere dai toni apocalittici che usa la destra. Ed anzi, riaffermando la centralità dell’autodeterminazione del corpo femminile e la centralità della battaglia femministe, magari incontro meno il Papa che rivendica la lotta contro l’aborto e confrontandoci finalmente con NUDM, a partire dal tentativo che loro hanno fatto e a cui non abbiamo nemmeno risposto.

LE CONCLUSIONI DEL SEGRETARIO GENERALE, SONO STATE COME OVVIO INTERLOCUTORIE MA NEL CONTEMPO HANNO TRACCIATO ALCUNI INDIRIZZI CON PIU’ CHIAREZZA CHE NELL’INTRODUZIONE. Sull’unità sindacale, ha ribadito il percorso proposto (incontro di luglio e verifica, non scontata, su piattaforma fiscale). Come ha sottolineato l’importanza di procedere ai rinnovi, prima dell’avvio della successione a Boccia (che rischia di rallentare tutto). E ribadito il contrasto all’autonomia differenziata, per difendere servizi universali (anche se questo può creare qualche problema a CISL e UIL, in loro settori, come d’altra parte anche a noi in alcuni territori). Due però i temi su cui si è concentrato.
Sul rapporto tra sinistra e sindacato. Landini ha ricordato che molti iscritti CGIL hanno votato Lega o 5 stelle. Però hanno partecipato allo sciopero dei metalmeccanici, al corteo nazionale dei pubblici, alla manifestazione dello SPI, allo sciopero degli edili, alle diverse mobilitazioni di questi mesi. Loro non vi hanno ancora visto una contraddizione. Anche se una contraddizione c’è, perché i valori generali del sindacato generale, del sindacato confederale unitario, sono comunque antifascisti e antirazzisti (prescindendo da ogni ulteriore identità e appartenenza specifica della CGIL). Il nostro lavoro però è quello di focalizzarci sul lavoro: sui suoi interessi, sulla sua identità, sulla sua appartenenza. Questo è il percorso dell’unità sindacale: la ricostruzione di una cultura generale e confederale del lavoro, non di una sinistra. Certo, come sindacato, e come sindacato confederale, ci muoviamo anche come soggetto politico. Lo facevamo nel passato, quando c’erano partiti espressione del movimento del lavoro. Oggi avviene nel quadro dell’assenza di soggetti politici radicati nel lavoro, in cui il sindacato pare esser l’unico soggetto organizzato del lavoro. Ma il nostro compito è appunto di esser soggetto generale del lavoro, non di ricostruire un campo della sinistra.
Sul salario minimo. Il segretario ha sottolineato che in termini generali, come detto nell’introduzione, la CGIL è per l’affermazione concatenata dell’art 36 e dell’art 39: difesa del salario e rappresentanza. Il problema però è valutare concretamente dinamica e possibilità del contesto odierno. Oggi l’art 39 (la legge sulla rappresentanza) non la chiede e non la vuole nessuno in Parlamento. E anche altre forze sindacali non hanno particolare intenzione di spendersi per essa. Non solo. Lo stesso Testo Unico del 2014, a cinque anni di distanza, è ancora inapplicato e rischia di diventare inapplicabile (non solo INPS non pare molto disponibile ad implementare nuove convenzioni, ma probabilmente pensa di rimuovere le poche attuali alla sua scadenza). In questo quadro, di fronte a contratti pirati ed articolo 8 di Sacconi, se c’è una legge che stabilisce una tenuta minima sull’art 36, su un salario sufficiente per una vita libera e dignitosa, nel quadro della contrattazione e del ccnl (come sembra ci siano gli spazi), possiamo esser contrari come sindacato? Certo, sarebbe meglio, proprio per confermare e consolidare importanza della contrattazione, che nel testo non ci fosse un riferimento preciso ad una cifra oraria. E se ci fosse una cifra solo riferita al tabellare, che rischierebbe di legificare un salario nudo, senza la struttura che oggi abbiamo costruito in tutti i ccnl, sarebbe un problema esiziale. Ma se ci fosse una cifra comprensiva, una cifra TEC, perché opporci nettamente? Ci darebbe spazio per rivendicare di alzarla, per estendere la contrattazione e lavorare a quell’inclusione che stiamo provando a tracciare nel documento che discuteremo a breve. E, invece, una nostra opposizione non sarebbe compresa in primo luogo dal nostro mondo, da lavoratori e lavoratrici, che vedrebbero questa legge come una garanzia minima effettiva di difesa delle loro condizioni.

IN CONCLUSIONE. Dopo mesi di silenzio, che hanno permesso a Landini di insediarsi alla guida della CGIL, le ambiguità e le fratture del congresso di Bari non paiono ancora superate. Un Direttivo intasato perché mai riunito ha evidenziato confusioni e contraddizioni della maggioranza CGIL, un sindacato oramai in mare aperto e che naviga a vista su troppi fronti (dalla contrattazione all’unità sindacale, dal salario minimo al welfare contrattuale). In questo mare si prospetta una stella polare da seguire: quello di un nuovo patto dei produttori per un rilancio dell’intervento pubblico e degli investimenti, a partire dall’obbiettivo (dopo la riapertura di tutti i cantieri) di ottenere tramite la politica fiscale più risorse per i salari (pagati dalla fiscalità generale, cioè dal taglio dei servizi). Senza disdegnare, all’occorrenza, addirittura un sostegno salariale al capitale in difficoltà (l’utilizzo dei Fondi integrativi, del salario differito del lavoro, per sostenere investimenti e rilanci delle imprese in crisi). Per noi, è una stella sbagliata che rischia di portare il lavoro ad infrangersi sugli scogli della crisi, subordinandosi ancora una volta agli interessi del padronato. Sarebbe invece proprio ora di tracciare una rotta diversa e di seguirla con determinazione [come alcune capitane coraggiose ci hanno recentemente ricordato]: la strada dell’autonomia del lavoro, in primo luogo dal capitale, e della ripresa di una vertenzialità e di una conflittualità diffusa e radicale.

[Luca Scacchi]

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