Assemblea nazionale. Sogna partecipa lotta!
La relazione introduttiva di Eliana Como
L’assemblea, partecipatissima (la sala era stracolma), si è aperta con questo video sulla nostra partecipazione alle piazze dell’8 marzo: #RIBelleciao! Dopo la discussione e oltre 30 interventi, l’assemblea si è chiusa approvando a maggioranza i criteri proposti su coordinamento e esecutivo nazionale (che a breve pubblicheremo) e riconfermando Eliana Como come portavoce dell’area.
Questa è la prima assemblea nazionale dopo il congresso. La prima di fatto dell’area che, come da statuto, abbiamo formalmente costituito alla prima AG il 4 marzo (video della prima parte).
Prima di iniziare, lasciatemi comunicare i risultati del rinnovo Rsu alla SAME di Treviglio, chiuso ieri sera: su 930 voti, la Fiom di fabbrica ne ha presi 813, pari all’84%. 19 delegati su 22. E tutti della nostra area!
Essendo la prima assemblea dopo il congresso, ho anche modo di poter ringraziare tutte e tutti dell’impegno straordinario messo in questo congresso. E della capacità che avete avuto di tenere testa alle angherie che ci hanno fatto, soprattutto durante le assemblee di base. Non è stato facile, lo sapete, soprattutto per chi è stato nelle CG. Lo abbiamo denunciato al direttivo nazionale, ancora ricordo il silenzio spettrale in questa sala quando dicevo che non ci facevano entrare nelle fabbriche a fare le assemblee. In alcuni territori, come a Brescia, abbiamo fatto anche conferenze stampa. A Bergamo quasi andavamo alle mani per quei maledetti scatoloni di cartone.
Ma credo – lo dico con grande convinzione – che ne sia valsa la pena.
1. Perchè abbiamo portato il nostro punto di vista a tanti lavoratori e lavoratrici. E perchè abbiamo difeso la possibilità stessa che in questa organizzazione ci fosse un altro punto di vista, con tutte le difficoltà che pure ci sono e ci saranno. Se non lo avessimo fatto noi, non lo avrebbe fatto nessun altro.
2. Perchè ovunque siamo riusciti a andare, con le nostre poche forze e quasi nessuna agibilità, abbiamo di fatto avuto più consenso di quello che pensassimo. Tant’è vero che alcune categorie – soprattutto ma non solo la Fiom – hanno fatto di tutto per ostacolare la nostra presenza nelle assemblee di base. Segno che la nostra sola voce li metteva in crisi, e altrettanto segno che, se c’è una alternativa, la rassegnazione non passa fino in fondo, nemmeno tra i lavoratori. Certo, non mi sfugge la scarsa – scarsissima partecipazione. A volte non c’erano in assemblea nemmeno i delegati. Segno di una difficoltà palese che ha questa organizzazione. Una difficoltà che, purtroppo, ci dà ragione, non torto.
3. Perchè possiamo ben dire di essere usciti a testa alta da questo congresso. Sì, con il nostro piccolo 2%, rivendichiamolo, perché potrà pure sembrare poco, ma è tantissimo, considerando interi territori dove non siamo riusciti nemmeno a presentare il documento. Intere categorie, quasi. Da cui arrivavano montagne di verbali senza mezzo voto al secondo documento e con percentuali di votanti triplicate. Eppure, laddove ci siamo e abbiamo possibilità di radicamento, il nostro consenso è molto maggiore. Rivendichiamolo. Anche perché abbiamo cmq avuto il coraggio (forse l’incoscienza) di portare fino in fondo le nostre idee, nelle assemblee di base e poi in tutti i livelli congressuali successivi, ai tanti delegati che vi hanno partecipato. Lo abbiamo fatto sempre con trasparenza e con coerenza, dichiarando subito che non avremmo appoggiato né Landini né Colla (come abbiamo deciso al coordinamento nazionale a Bologna a dicembre). Fino all’ultimo, quando a Bari si contavano l’uno con l’altro i delegati e le poltrone, fino a mezz’ora prima della fine, quando si sono accordati come sapete. È stato uno scontro avvilente di nomi e nomenclatura, che con il merito, fin dall’inizio, c’entrava poco o niente. Noi siamo stati capaci di starne fuori. E siamo stati gli unici. E non ci credevano che avremmo fatto esattamente quello che dichiaravamo, tanto sono abituati a non farlo loro.
Per questo dico che abbiamo attraversato il congresso a testa alta. Io ne sono francamente orgogliosa, spero/chiedo lo siate tutti. In fondo, ce lo riconoscono in tanti anche nella maggioranza. Magari non sono d’accordo con noi, anzi non lo sono, ma sanno che siamo trasparenti, coerenti e sì, facciamo quello che diciamo. Siamo orgogliosi di questo, perché ne avremo bisogno per andare avanti.
Il tema di oggi è esattamente questo. Andare avanti.
Abbiamo formalmente costituito l’area Riconquistiamotutto il 4 marzo (video della seconda parte). Era un passaggio più o meno obbligato, dal punto di vista statutario, anche per avere l’agibilità formale per questa assemblea. Ma soprattutto è stata una scelta politica e altra non poteva essere: abbiamo presentato un documento alternativo, sfidando tutto e tutti, perché siamo e vogliamo continuare a essere un punto di vista alternativo, radicalmente alternativo. Non potevamo che costituirci in area di opposizione, fuori dalla maggioranza, per continuare a praticare la nostra linea, con l’agibilità che ci spetta ma che, come sapete, non è mai scontata e dovremo sempre difendere, con le prepotenze che conosciamo (da Brescia in giù..). L’area che abbiamo costituito è di derivazione congressuale. È stato quasi naturale darle lo stesso nome che abbiamo deciso insieme per il documento. Nome che sia stato credo anche molto efficace dal punto di vista della comunicazione. Però altrettanto credo che non dobbiamo lasciare indietro l’esperienza che ci ha portato qui, tante e tanti di noi, cioè quella del sindacato è un’altra cosa. Per questo abbiamo annunciato – e ripropongo a questa assemblea – di continuare a usare anche questo nome, a partire dal sito. Il problema ovviamente non è come ci chiamiamo, ma cosa e come lo facciamo.
Abbiamo di fronte un quadro diverso dal precedente, per ovvie ragioni: che ci piaccia o meno, il segretario è Maurizio Landini; che ci piaccia o meno, in un certo settore di militanti e delegati questo genera delle aspettative. Molto meno tra i lavoratori, credo. Ma resta un dato di fatto. E penso che passeremo i prossimi mesi (forse anni, non so) a fare i conti con queste aspettative. Credo che sbaglieremmo a demonizzare Landini, credo convintamente che sarebbe un errore farlo prima di avergli lasciato il tempo di disattenderle da solo quelle aspettative, in preda alle sue mille contraddizioni.
Anche per questo credo che abbiamo fatto bene a criticare nel merito la manifestazione del 9 febbraio, ma senza disertarla. Quella piazza era piena, non credo ci fossero centinaia di migliaia di lavoratori, ma piuttosto tanto apparato e cmq centinaia, migliaia di delegati, anche tanti che nonostante la pensino più o meno come noi su tante cose (sull’unità sindacale, sul patto con i produttori, sulle delegazioni di Confindustria in corteo, persino forse sulla TAV), erano lì con la speranza (o l’illusione) che con Maurizio Landini tutto cambi.
Credo che noi dobbiamo provare a parlare anche con quelle delegate e delegati, continuando a fare quello che abbiamo fatto in questi anni: stare nel merito, sindacale e politico, con trasparenza e coerenza. Questo non significa arretrare sulle posizioni, non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo di certo ora. Ma portare alla luce e smascherare le contraddizioni, una a una, non per partito preso, ma nel merito delle scelte. Dimostrare che non soltanto non cambierà niente, ma che l’illusione e la disillusione dopo farà ancora più danni (un film, peraltro, già visto nei metalmeccanici).
Nostro compito è anche denunciare il leaderismo che sta dietro a un fenomeno mediatico come quello di Landini, e nelle pieghe del leaderismo, denunciare il rischio – persino peggiore – di una deriva populista. Avete visto il titolo dell’intervista all’Espresso: “la mia Cgil tornerà alle origini”. Dobbiamo dire con forza che non esiste la Cgil di Maurizio Landini: non è la SUA Cgil. La Cgil non è del suo segretario più di quanto non lo sia di ognuno di noi. E non si capisce perché dovrebbe tornare alle origini, peraltro, se fin qui, per essere eletto, ne ha condiviso tutte le scelte.
La prima contraddizione è la TAV, non soltanto nel merito. Anche per quel passaggio (per me davvero infelice) della sua intervista alla Annunziata, la prima da segretario generale, che più o meno diceva “come segretario della Fiom sono stato contrario alla Tav, ma ora sono segretario della Cgil e prendo atto che la maggioranza dell’organizzazione ha un’altra opinione”. Qualcuno mi ha detto che questa è prova di rispetto dell’organizzazione. No, è lavarsi le mani e scaricarsi la coscienza. Apri piuttosto una grande discussione, diffusa, dal direttivo nazionale in giù. Da segretario generale prova a convincere l’organizzazione delle tue idee sulla TAV (ammesso siano le tue). Solo dopo, allora sì, ne prendi atto e rispetti l’organizzazione. Ma altrimenti, è come dire: io sarei contro la TAV, ma è la maggioranza della Cgil che non me lo permette. Scusate, eh, sono soltanto il segretario generale e questa è la MIA Cgil soltanto per i comizi su stampa e tv.
Altra contraddizione. Lo sciopero dell’8 marzo. Per fortuna che la Cgil con Landini segretario doveva essere più movimentista. Compagne (lo dico soprattutto a voi), abbiamo fatto bene l’8 marzo a costruire lo sciopero. Abbiamo fatto un lavoro enorme, non solo durante tutto il congresso nella discussione interna, ma poi nella pratica, che è poi quello che conta di più, organizzando lo sciopero ovunque siamo riuscite. Tante compagne di NUDM ci riconoscono che siamo forse quelle che più ci hanno creduto di più. E abbiamo fatto bene, benissimo, a non chiuderci in un teatro (o quel che era) venerdì scorso, ma manifestare nelle piazze, forti della nostra posizione e, anche in questo caso, con la coerenza con cui abbiamo costruito lo sciopero, nonostante la Cgil (a volte con vere e proprie forzature di alcune strutture, penso a Bologna, per esempio). E lo abbiamo fatto – anche in questo caso – parlando anche a settori della maggioranza che non necessariamente stanno con noi, ma sui quali siamo riusciti a influire. La FP e la FLC qui a Roma, la Fiom a Parma e a Trieste, per esempio, le tante delegate che hanno firmato l’appello di Savina Ragno. In quello slogan #RIBelleciao! ci siamo riconosciute in tante (e in tanti), non soltanto perché siamo ribelli per natura (uomini e donne) altrimenti non saremmo qui, ma perché è stato un modo di dire alla Cgil che non basta Belle ciao!
Non basta la contrattazione di genere, non bastano i convegni e le belle parole, non basta, soprattutto, la lotta per il potere alle donne. Anzi, non soltanto non basta: fa danni. È stato davvero brutto che al congresso della Fiom sia stata invitata una imprenditrice a parlare del rapporto con le sue collaboratrici! Avvilente, sentire intervenire al congresso dello SPI una madamine SI TAV. Peggio del patto dei produttori, c’è solo il patto delle produttrici.
Le rivendicazioni femministe che ci hanno portato a sostenere e costruire lo sciopero dell’8 marzo sono per noi imprescindibilmente di classe. Il nostro femminismo è quello del 99% delle donne, non quello dell’1% (cito un libro “Il femminismo del 99% che consiglio a tutte e che a me ha regalato la nostra compagna Delia, che ringrazio). È il femminismo delle operaie, delle impiegate, delle precarie, delle insegnanti, delle infermiere, delle pensionate, delle studenti. Non quello delle donne di potere. Il problema non è il tetto di cristallo (o cmq non prioritariamente). Il nostro problema sono i salari di chi sta sotto il tetto di cristallo. Il problema sono le condizioni di lavoro. Il problema è il mobbing e le molestie (e ben venga che finalmente lo denuncino le star di hollywood che hanno più visibilità di noi) ma il problema è l’operaia molestata per essere assunta, la cassiera infastidita dal cliente, l’infermiera molestata dal medico, dal collega e anche dal paziente, l’estetista che non si capisce perché deve essere giovane, magra e di bella presenza (ma persino la cantante lirica, come mi insegna la nostra compagna Pierina del Regio di Torino).
Allora Belle ciao, da un lato non basta, perché non ha saputo raccogliere la sfida del movimento sullo sciopero, l’ha rifiutata e anche boicottata e si è chiusa con cisl e uil in una sala piena di apparato. D’altro sbaglia proprio, perché dimostra di preferire l’interlocuzione con le donne di potere e di una certa politica invece che confrontarsi con il movimento, con le tante giovani e giovanissime precarie che erano insieme a noi nelle piazze dell’8 marzo.
Lo so bene che a volte il rapporto con il movimento di NUDM non è facile. Non lo è sempre nemmeno per noi: abbiamo linguaggi e pratiche a volte diverse. D’altra parte, è così anche con i sindacati di base: non è sempre semplice il rapporto, eppure, dove riusciamo, resta un nostro obiettivo quello di provare a costruire vertenze comuni sui posti di lavoro. Con NUDM abbiamo spesso anche opinioni diverse, a cominciare dal reddito di autodeterminazione. Io preferisco parlare di riduzione dell’orario a parità di salario, un’altra politica salariale, il rispetto della sicurezza, il controllo sui ritmi e i tempi, il contrasto ai part time involontari, alla precarietà e al lavoro domenicale e festivo. Ma anche per questo è importante esserci in quel movimento, con la nostra autonomia anche, ma nel reciproco rispetto. Ed è un errore (o meglio una scelta sbagliata) il fatto che non ci sia la Cgil.
Quando Landini dice che vuole fare il sindacato di strada, cosa intende esattamente. Premesso: che la Flai sia per strada, nei campi della raccolta, con i furgoni, lo capisco. Se penso alle categorie dell’industria, ma anche quelle dei servizi e del commercio, che stiano nei posti di lavoro che è meglio. Escano dalle sedi della Cgil, dove ormai si sta in fila con il numeretto, nemmeno fosse l’INPS. E se vogliamo fare il sindacato di strada, come altro farlo se non andando nelle piazze, come quella dell’8 marzo di NUDM, come abbiamo fatto noi. Uno dei primi passi del sindacato di strada che ritorna alle origini è chiudersi in un teatro, mentre le piazze sono piene di quelle giovanissime e giovanissimi che diciamo di non saper rappresentare. Allora, noi abbiamo fatto bene a esserci. Abbiamo fatto il sindacato di strada.
E credo – lo propongo qui – sia anche il momento, finalmente, di trovare uno spazio di discussione delle compagne, su questi temi. Proviamo a organizzare delle discussioni, magari prima territoriali, come abbiamo già fatto a Torino, per provare poi a darci un appuntamento nazionale e nel frattempo, anche degli strumenti di comunicazione.
Il prossimo appuntamento credo che debba essere quello del 30 marzo a Verona, per la contro-manifestazione di NUDM al convegno di 3 giorni, organizzato dalla lobby anti-abortista omofoba e sessista che è al governo (con il patrocinio peraltro del governo). La nostra presenza lì è centrale (c’è già una adesione anche da parte della Cgil).
Non soltanto contro il ddl Pillon e contro l’idea miserabile di famiglia che hanno questi personaggi medioevali (miserabile e anche piuttosto noiosa), ma anche perché uno dei temi centrali della loro discussione è che la causa del calo della natalità in Italia sono le lavoratrici, perché da qualche decennio pretendiamo di andare a lavorare invece che restare a casa a sfornare figli.
Su questo, eccome se abbiamo cose da dire. La prima è che il lavoro (brutto o faticoso che sia, infatti lottiamo per renderlo migliore) è stato uno strumento di liberazione e emancipazione delle donne. Secondo, che decidiamo noi se avere figli e per fortuna non siamo mucche da latte. Terzo, se tante lavoratrici rinunciano o posticipano la maternità è colpa della precarietà, del ricatto, degli asili che mancano, delle condizioni di lavoro pesanti e dei ritmi che danneggiano i corpi e la salute riproduttiva, del fatto che i salari sono così bassi che uno per famiglia non basta più, anche volendo (ammesso e non concesso). La colpa allora non è delle donne che lavorano. La colpa è dei padroni e dei governi. Tanto più questo, che da una parte santifica il feto, dall’altra ci espone al ricatto di lavorare fino al 9° mese di gravidanza. Per questo credo importante essere a Verona e provare a portare questa discussione in Cgil.
Ancora prima, il 23 marzo saremo in piazza a Roma alla manifestazione, alla quale abbiamo già aderito, per il clima e contro le grandi opere.Il segretario generale ha cambiato idea sulle grandi opere e sulla Tav in particolare. Noi no, su nessuna: Tav Muos Tap Terzo valico ora persino il Ponte sullo Stretto. Oggi la Fillea ha scioperato unitariamente per lo sblocco dei cantieri delle grandi opere. Tra le varie rivendicazioni, questa era la prima. Incredibile: un po’ come la Filctem che ha scioperato contro la ripubblicizzazione dell’acqua pubblica. E incredibile che si scelga proprio il giorno dello sciopero internazionale per l’ambiente per rivendicare la TAV, mentre centinaia di migliaia di giovanissime e giovanissimi studenti stanno riempiendo le piazze. Diciamo che si potevano trovare motivazioni un po’ più ambientaliste del sostegno senza se e senza ma alle grandi opere.
Noi saremo alla manifestazione del 23 marzo (ben venga, ci sarà anche la Fiom), per dire che l’occupazione non può mai venire prima del rispetto dell’ambiente e di chi lo abita, né a Taranto né a in Val di Susa, perché il nostro sacrosanto diritto a rivendicare occupazione deve andare insieme a una nostra idea di sviluppo, che passa anche dalla difesa dell’industria siderurgica del paese (svenduta e abbandonata pezzo a pezzo, vedi Piombino e Taranto) e dal suo rilancio attraverso gli investimenti che permetterebbero di produrre inquinando meno.
E dai cantieri certo, ma non quelli delle grandi opere, interesse dei capitali e dei grandi costruttori, occasione di corruzione, malavita e giro di grandi capitali finanziari. Altro che rilancio e sviluppo dei territori le grandi opere passano sempre sulla testa delle popolazioni e senza il loro consenso, come dimostrano le lotte decennali in val di Susa e in Sicilia, solo per fare alcuni esempi).
Che rivendichino giustamente gli edili di avere lavoro, siamo e saremo con loro. Rivendichino di mettere in sicurezza le case, le strade, le scuole, le infrastrutture. Rivendichino di liberare le nostre città da un po’ di cemento, piuttosto che metterne su di nuovo. Vivo in una regione, la Lombardia, che è martoriata da capannoni abbandonati, lasciati cadere pezzo a pezzo, come parte del nostro sistema industriale. Li smontino, invece che costruirne di nuovi. Non è archeologia industriale, magari lo fosse! E se anche lo fosse, andrebbe restaurata. Sempre di lavoro “edile” si tratta.
A proposito, si rivendichi finalmente anche la difesa e la messa in sicurezza del patrimonio artistico: Pompei, i fori e gli altri siti archeologici cascano a pezzi a ogni temporale (tanto più quelli meno noti, che in alcune aree del paese sono quasi abbandonati). Si restaurino e si mettano in sicurezza quelli. Che la nostra industria dell’arte, come quella della cultura, del teatro, dello spettacolo potrebbero eccome creare lavoro. Basterebbe tirare fuori i soldi invece che condannare chi ci lavora a gavette infinite, al lavoro gratuito e al volontariato, con buona pace tanto dei diritti che della qualità di quello che questo paese potrebbe offrire da questo punto artistico e culturale. Lo dico anche perché la Cgil, insieme a Cisl e Uil, hanno promosso una iniziativa a Matera a maggio su questi temi. Credo che noi dovremmo andarci e pretendere di far vivere il nostro punto di vista, anche perché la nostra compagna Pierina Trivero del Teatro Regio di Torino, è, con altri, una delle animatrici del movimento intersindacale che ha portato lo scorso 6 ottobre alla prima manifestazione nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici dell’arte e della cultura, trasformando finalmente in rivendicazioni e in una piattaforma di lotta la loro tutela, i loro diritti, i loro salari, così come la gestione dei teatri, dei musei e delle fondazioni.
Altro tema: l’autonomia differenziata. La Cgil sta dicendo NO e a giugno è in programma una mobilitazione (unitaria) sul Sud. Bene. L’autonomia differenziata è la fine stessa del principio costituzionale di solidarietà, dalla modifica del titolo V della Costituzione in poi. E lo è tutta l’autonomia differenziata, quella lombarda e veneta come quella dell’Emilia Romagna, su cui invece lo stesso segretario regionale si permette dei distinguo. Allora, anche in questo caso, la Cgil deve fare chiarezza e soprattutto deve mobilitarsi. La FLC sta lavorando allo sciopero. Bene, ma il tema non riguarda soltanto la scuola. Riguarda perlomeno tutti i servizi pubblici e le infrastrutture e riguarda la confederalità intera, perché il rapporto tra il nord e il sud del paese e la difesa dello stato sociale universale riguarda tutti. A cominciare dalla sua difesa. Contro le privatizzazioni (come stanno facendo i lavoratori di Farmacap) e dal contrasto al welfare contrattuale e aziendale, tanto più alla sua detassazione. Allora ben venga il no della Cgil all’autonomia differenziata, ma non basta delegarne la lotta a una categoria. Tanto meno si può contrastare il welfare regionale e poi accettare quello aziendale.
Ancora: il tema dei contratti nazionali. Si è aperta una nuova stagione contrattuale. Diranno le compagne della Filcams sul ccnl della GDO e su quello della cooperazione. Mi limito a dire che chiamare “rinnovo di un ccnl” quello della coop, che di fatto è un accordo ponte sul salario (1 anno, a 65 euro e una tantum dopo anni di ritardo) è un errore, di senso e strategico. Meglio sarebbe chiamarlo con il suo nome (accordo ponte) e valutare al limite se era una condizione da accettare (farlo votare ai lavoratori poi meglio ancora).
Il punto però è più sottile: in parlamento sono depositati 2 disegni di legge sul salario minimo (M5S e PD). La Cgil deve fare attenzione perché rischiamo l’ennesima campagna di propaganda del M5S che propone il salario minimo a 9 euro l’ora. Attenzione: paga lorda complessiva. E aumento automatico con l’IPCA. Al tempo stesso riconoscimento dell’erga omnes dei ccnl (quello che la cgil ha sempre chiesto) e applicazione degli accordi interconfederali sulla rappresentanza. Dietro “paga lorda complessiva” non c’è lo SMIC francese ma il cavallo di Troia per smontare quel che resta del ccnl. Ma altrettanto credo che saremo in difficoltà a dire NO all’ipca dopo che lo abbiamo accettato in tanti ccnl e nel patto per la fabbrica. E andremo in difficoltà in alcuni settori dove 9 euro l’ora sono considerati tanti, quegli stessi settori che fanno dumping contrattuale agli altri senza che la Cgil riesca, aldilà di dirselo a ogni occasione, a lanciare su questo una iniziativa generale e vertenziale. Rischiamo di trovarci in difficoltà su questa proposta. Mi stupisco, davvero mi stupisco, della superficialità con cui nell’ultimo direttivo si è affrontato questo tema, indicando la questione salariale come “riduzione del cuneo fiscale” (che è altro dalla rivendicazione di aumenti salariali) e relegando il tema del dl sul salario minimo a fine direttivo, come un’ansa letta lì per lì dal segretario. D’altra parte, anche la nota unitaria uscita l’altro ieri sul salario minimo è generica e quasi minimizza la questione.
Quest’anno scade anche il ccnl dei metalmeccanici. La segretaria generale della Fiom ha detto al Comitato Centrale che i padroni non vorranno darci i soldi. Ma guarda, non avrei mai detto! Pensavo che avendo risparmiato in buoni benzina in questi anni, ora ci restituivano quello che non ci hanno dato. Pensavo che dire che il nostro era un modello contrattuale sperimentale, avrebbe indotto i padroni a metterlo in discussione alla sua scadenza, visto che gli è costato così poco: se va bene, con il prossimo anno andiamo a 40 euro lordi di aumento in 4 anni.
Bene hanno fatto i pensionati/e a protestare per il blocco di parte delle rivalutazioni di quest’anno, altro che pochi spicci o l’Avaro di Moliere, come ha detto Conte. Sempre meglio avrebbe fatto lo SPI a mobilitarsi contro il blocco totale delle rivalutazioni del governo Renzi… Ma detto questo, resta sempre il fatto che in questo paese i metalmeccanici in questi anni hanno preso un aumento inferiore ai pensionati! Perché il nostro aumento è sull’IPCA, ex post e a giugno. Quindi se i pensionati l’aumento lo prendono (sull’inflazione) a gennaio, noi lo prendiamo a giugno dell’anno dopo. 18 mesi dopo! Sull’ipca. Non a caso Conte ve lo ha anche detto: vi lamentate voi pensionati, ma la Cgil che fa che i metalmeccanici prendono meno di voi!
Peraltro, come abbiamo visto, il ccnl unitario dei metalmeccanici non è servito nemmeno a riportare dentro FCA e tanto meno a ristabilire normali relazioni sindacali in quella fabbrica. Bene ha fatto la Fiom a non firmare il ccsl FCA (che pure recupera una parte degli aumenti, ma lascia invariato l’impianto delle relazioni sindacali, la manomissione del diritto di sciopero e la impossibilità di controllo sui tempi e sulle condizioni di lavoro). E totale solidarietà ai lavoratori che hanno scioperato nelle scorse settimane, con la sola Fiom e contro quei vergognosi comunicati di FIM UILM e FISMIC che invitavano alla “responsabilita”. Però non credo che sia sufficiente. Ben altra autocritica dovrebbe fare la Fiom su un ccnl unitario che non ha portato a casa i soldi, ha peggiorato i diritti e non ha nemmeno retto sul piano dell’unità sindacale, a partire da FCA, dove il ccsl di nuovo non si vota e Fim e Uilm fanno i cani da guardia dell’azienda invitando a non scioperare. Davvero, ben altra autocritica prima di arrivare a dire: eh i padroni, guarda un po’ non vogliono darci i soldi.
Così come, ben altra critica dovrebbe fare la Cgil (avrebbe dovuto fare durante il congresso) nel rapporto con il nuovo governo. Quota 100 non è l’abolizione della Fornero (anche se qualcuno in pensione ci andrà pure prima, inutile negarlo). Così come il blocco dello scatto di gennaio di 5 mesi ce lo riprendiamo con i 3 mesi di finestra.
E ci hanno rimesso dentro opzione-donna (vai prima, ma tutto in contributivo, bell’affare, soprattutto per chi, come le donne, ha già pensioni da fame). E il decreto dignità non è l’abrogazione del Jobs act (a proposito: che la Cgil dica chiaramente che le deroghe al decreto dignità non vanno bene! Perché altrimenti nei posti di lavoro le chiedono, scaricando il ricatto della mancata conferma dei precari ai delegati. E ognuno fa quel che crede o, in buona fede, quel che può. A cominciare dal ccnl dei somministrati, di cui poi magari ci diranno meglio i compagni di Nidil).
E guardate, non è impossibile spiegare questo ai lavoratori, nemmeno che quota 100 non è quello che si aspettano (abbiamo fatto il volantino, ne faremo altri con quel taglio). Non è impossibile spiegarlo, ma basta farlo, però.
Il segretario generale ha proposto al direttivo una grande campagna di assemblee nei posti di lavoro. Bene, la sento da sempre questa cosa, poi non si fa mai. Ma bene, è necessario andare dai lavoratori a spiegare. Meglio ancora sarebbe stato farlo prima della manifestazione del 9 febbraio. Il punto, però, è che credo che dai lavoratori ci dobbiamo andare con chiarezza: dire che sì, abbiamo sbagliato a non fare niente quando queste leggi venivano approvate. Altro che referendum e carta dei diritti. Abbiamo proprio sbagliato. Ma siccome questo governo non sta mantenendo le promesse su cui quei partiti hanno preso i voti, e siccome è anche un governo razzista xenofobo e sessista, ora finalmente ci mobilitiamo.
E ancora, sul razzismo e sul fascismo. Bene tutte le iniziative e le manifestazioni a cui la Cgil partecipa, compresa quella di Milano qualche sabato fa. Bene tutti i presidi, i comunicati, le prese di posizione. Ma resta il fatto che il fascismo e il razzismo di questo governo si combattono sul piano del consenso sociale che loro hanno, anche e soprattutto tra i lavoratori. Si combatte prima di tutto riprendendo noi la mobilitazione su pensioni salari e diritti. Peraltro, anche sul piano delle iniziative. Ben venga tutto, ripeto. Ma quando Salvini impedisce alle navi dei migranti di entrare nei porti italiani, continuo a pensare che la Cgil dovrebbe dichiarare sciopero generale dei lavoratori dei porti. Se non possono entrare i migranti, non entrino nemmeno i turisti e tanto meno le merci!
Quindi, questo è il quadro che abbiamo davanti. Gli impegni non ci mancano. Credo nemmeno lo spazio per far vivere il nostro punto di vista, smascherare illusioni e contraddizioni e fare opposizione. Nell’ultima assemblea generale sono state annunciate una serie di iniziative, tutte unitarie, e questa ovviamente è la principale delle contraddizioni, anche alla luce delle dichiarazioni deliranti del segretario generale sul sindacato unico. Mobilitazioni generali (la cultura, il sud, l’autonomia differenziata, in prospettiva la legge di bilancio del prossimo anno) e di categoria (la Fillea ha scioperato oggi, FLC e FIOM hanno annunciato lo sciopero della categoria, lo SPI la mobilitazione dei pensionati).
Delle varie contraddizioni ho già detto e del rapporto con Cisl e Uil anche. La più grave è certamente che manca completamente dall’agenda la mobilitazione che dovrebbe essere la più importante, sulla salute e sicurezza sui posti di lavoro, con i 700 morti dell’anno scorso e il trend che prosegue drammaticamente in questi primi mesi.
Abbiamo deciso, però, di non votare contro al documento che di fatto proponeva l’avvio di questa fase generale di mobilitazione, ribadendo le nostre contrarietà e i nostri dubbi, primo tra tutti sull’unità con Cisl e Uil (qui il mio intervento a quella AG). Ci siamo astenuti. Ci stava anche di votare contro, ovviamente, ma credo che avremmo rischiato di porci come quelli che votano contro a prescindere, anche in una fase che comunque avvia una serie di mobilitazioni. Come ho detto all’inizio, credo che, almeno in questa prima fase, il nostro compito smascherare le contraddizioni nel merito via via che emergono, senza arretrare ma tanto meno disertando e dialogando o provando a dialogare con chi, alla fine, quando passerà – e se passerà – l’illusione di Landini, non la pensa tanto diversamente da noi.
Come abbiamo detto al coordinamento nazionale a Bologna a dicembre, prima dei congressi di categoria: siamo minoranza, vero, ma non è nostra ambizione essere minoritari e chiuderci per forza in un angolino, soprattutto in quei territori e in quelle categorie dove siamo capaci di costruire un radicamento reale, nei posti di lavoro, che va ben oltre il 2% e prova a incidere e determinare una pratica sindacale alternativa. Saremo pure condannati come Cassandra ad avere ragione senza mai essere ascoltati, ma non perdiamo di vista l’obiettivo centrale che abbiamo, che è appunto quello di provare in tutti i modi a essere ascoltati e, chissà, prima o poi capiti.
Questo vale anche nel rapporto con le altre sensibilità più o meno presenti in Cgil. Noi siamo un’altra cosa, tant’è che non ci siamo schierati né con Landini né con Colla. Non credo che sia possibile rimettere insieme tutti i pezzi della sinistra sindacale più o meno detta, soprattutto non con chi si appiattisce sulle posizioni del segretario generale. Ma credo che dobbiamo provare a dialogare anche con loro, nel merito ovviamente delle discussioni, in particolare con D&L, fermo restando il giudizio che abbiamo sulla loro posizione congressuale, che non abbiamo condiviso, a cominciare dalla scelta di non presentare una posizione alternativa e poi schierarsi con Colla. Ci hanno invitato in Sicilia a maggio a discutere con loro a una iniziativa pubblica che fanno ogni anno in occasione dell’anniversario di Peppino Impastato. Io penso che sia giusto andarci e discutere con loro. Penso sia utile anche provare, se riusciremo, ad avere su alcuni temi posizioni comuni, nella consapevolezza però e nella chiarezza delle nostre posizioni, fuori, quindi, dalla logica di rimettere insieme tutti i pezzi, dall’alto, a freddo e in una accozzaglia di idee e di posizioni. Questo l’ha già fatto mille volte la politica, con risultati pessimi. Noi non commettiamo lo stesso errore.
Lo dico anche perché credo che noi dobbiamo anche avere cura della nostra area, perché sarà pure piccola ma è un patrimonio, di coerenza, di militanza, di pratica sindacale.
Averne cura significa anche, come tante volte ci hanno chiesto i compagni di GKN, di mettere a disposizione formazione, competenze e esperienze. Riprendere le discussioni allargate tra delegati nelle categorie o sui vari temi (penso al lavoro dei pensionati sulla sanità). Mettere i delegati in rete tra di loro, soprattutto mettere in rete le vertenze. Partecipare alla costruzione delle vertenze, quelle sui posti di lavoro come quelle territoriali (come fanno i compagni a Piombino) o nel movimento (penso a come tante nostre compagne stanno in NUDM o nei movimenti contro le grandi opere).
Avere cura dell’area significa soprattutto costruire il suo radicamento nei posti di lavoro (come a Torino, a Bergamo, a Modena, solo per dirne alcune). Lì dove, con tutte le difficoltà che ci sono (non è facile da nessuna parte), ma proviamo a fare la differenza nella pratica sindacale e nella costruzione delle vertenze.
Avere cura dell’area significa mantenere alto nei territori tra i compagni/e il livello della discussione, anche oltre la partecipazione ai direttivi, che ovviamente è importante ma non può essere l’unico luogo in cui ci chiudiamo. Allora è importante organizzare le riunioni regolarmente, non soltanto ogni quattro anni per i congressi. In molti territori abbiamo già fatto un giro di assemblee di ritorno, dopo il congresso, per discutere, organizzare il lavoro e le priorità di quel territorio. Facciamolo ovunque perché è anche questo un modo di dare continuità al nostro lavoro e valorizzare quanto abbiamo fatto durante il congresso.
Avere cura dell’area significa seguire le vertenze nazionali, i contratti in particolare, esprimere il nostro punto di vista, tempestivamente, come abbiamo fatto in Filcams per gli ultimi ccnl firmati. Non è facile, perché le forze che abbiamo sono queste e spesso non siamo capaci né di dividerci il lavoro né di assumerci collettivamente le responsabilità. Ma facciamolo, perché davvero è importante.
Avere cura dell’area significa per me anche uscire anche da logiche di intergruppi, quelle per cui si discute ore sulle virgole nei documenti, ma poi non si è capaci di creare iniziativa. Senza niente togliere all’importanza della militanza politica per tanti nostri compagni, anche nella capacità di direzione dell’area. Tanti hanno la loro appartenenza, non è affatto questo in discussione. Ma l’area è un’altra cosa, non può e non deve essere strumentalizzata. Abbiamo costruito il nostro gruppo dirigente diffuso su altre logiche (almeno, per quello che ho potuto, io ci ho provato, probabilmente non è stato ovunque così). Proponiamo oggi, dopo lo spiegherà Aurora, di costruire il coordinamento nazionale e l’esecutivo su quegli stessi principi oggetti di rappresentatività, così come sono usciti dal congresso. Sono tanti nella nostra area, anche negli organismi nazionali, che non hanno una appartenenza politica precisa ma trovano nell’area uno spazio importante di discussione e pratica sindacale. Non riduciamo l’area all’equilibrismo e ai distinguo dei vari partiti e gruppi a cui nostri compagni fanno riferimento, rischiamo di perdere la cosa più preziosa che abbiamo e di fare l’ennesimo fallimento della sinistra radicale, abilissima a discutere sulle virgole ma incapace di costruire una alternativa coerente e soprattutto radicata, per piccola che sia. Per me questo aspetto è centrale. So che non è facile, ma credo che altrimenti, sì, che restiamo minoritari, settari e tendenzialmente inutili. Tanto più, ricordiamocelo sempre, che tanti lavoratori che ci hanno votato e anche tanti che fanno riferimento a noi votano, piaccia o meno, M5S o Lega o non hanno votato proprio. Noi un programma ce lo abbiamo e lo abbiamo condiviso: è il nostro documento. Continueremo, come è naturale, ad avere anche opinioni diverse, come sempre è stato.
Ultima cosa. Per me è stato un privilegio fare la portavoce e mettere la mia firma come prima firmataria su questo documento. Non so se ci sono riuscita, ma ho provato a fare del mio meglio. Sono disponibile a andare avanti, ma se lo volete ovviamente, perché non credono che tra di noi ci siamo incarichi per sempre o mandati di 4 anni in 4 anni. Quindi ascolterò da voi nella discussione che facciamo oggi, se volete che vada avanti oppure no.
Eliana Como
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