Per difendere il PIL: non scuola, sicurezza e diritti!

#Italyisrunning: contro le scelte padronali dell’esecutivo Draghi, nella scuola e non solo.

Il governo Draghi, nei mesi scorsi, ha deciso di non preparare scuola e università alla quarta ondata della pandemia. Un nuovo impennarsi della curva era infatti nell’ordine delle cose, con una variante molto più contagiosa anche se con meno ricoveri e morti: è veloce ed intensa, con milioni di casi, un probabile picco a gennaio/febbraio e poi un rapido calo. Il rischio di un collasso sanitario è comunque significativo. Il governò però non ha usato il tempo a disposizione per intervenire sui limiti della scuola, conosciuti sin dall’estate 2020 e che abbiamo più volte sottolineato anche in quest’anno scolastico: la numerosità se non il vero e proprio sovraffollamento delle classi, la necessità di consistenti assunzioni di personale docente e ATA per smezzare le classi e gestire le bolle, il ritorno al distanziamento (superato irresponsabilmente dal Dpcm di agosto), l’assenza di dispositivi di sicurezza adeguati (come le mascherine FFP2) e la totale mancanza di strumenti di controllo e areazione degli ambienti (centraline di monitoraggio per CO2 e sistemi di ventilazione, di cui è stata dimostrata l’importanza anche nella scuola, su cui si poteva focalizzare le risorse anche al posto degli inutili banchi a rotelle).

Tantomeno si è interventi su due servizi universali fondamentali anche per la scuola: traporti e sanità. In questi mesi non si sono infatti rafforzati i trasporti pubblici, anzi, il contenimento del contagio è stato usato proprio per tornare alla cosiddetta normalità pre pandemica, negli affollamenti come nei disservizi. In questi mesi, soprattutto, non sono state cambiate le politiche sanitarie di questo paese: non si è scalfito il più generale indirizzo neoliberista di privatizzazioni delle prestazioni e non si è voluto nemmeno impegnarsi sulle strutture territoriali pubbliche, con personale e risorse, per permettere da una parte una gestione puntuale dei tracciamenti, dall’altra lo sviluppo di una campagna di promozione vaccinale, pervasiva e partecipativa.

Una scelta politica. Draghi e la sua compagine hanno agito consapevolmente, non per incompetenza. Le grandi risorse a disposizione, nel PNRR (210 miliardi di euro) e in una legge di bilancio espansiva (33 miliardi di euro) le hanno investite su altro: soprattutto, per sostenere le riconversioni (con bonus, superbonus e finanziamenti), una riforma fiscale regressiva, una finalizzazione del pubblico amministrazione alle esigenze dell’apparato produttivo. Così, sul fronte della sicurezza, si è deciso di affidarsi unicamente a politiche liberali e individuali di promozione del vaccino, come abbiamo sottolineato colpendo lavoro e diritti.

Così, il governo è intervenuto tardi e male, di fronte ai centinaia di migliaia di casi giornalieri, al ritorno di centinaia di morti quotidiani, al rischio di saturare nuovamente terapie intensive e strutture ospedaliere.

Così si è scelto di introdurre una vaccinazione obbligatoria parziale e indefinita. Il decreto, infatti, la limita solo a chi ha più di 50 anni (una soglia che sembra scelta più per ragioni di astratta mediazione politica che per altro, tra chi chiedeva 40 e chi 60 anni), senza chiarire da quando quest’obbligo è previsto e soprattutto che sanzione sia prevista (fonti di stampa riferiscono 100 euro, cioè una multa di cento euro [!!]). Una scelta che ha quindi più il sapore ideologico di una vaga affermazione di un principio che quello concreto di una reale azione di sanità pubblica.

Così si è esteso agli ultra 50enni il cosiddetto super green pass, sostanziando così l’obbligo solo per alcuni/e lavoratori e lavoratrici, usando procedure eccezionali al di fuori dalla normativa del lavoro sulle sanzioni e dalle prassi contrattuali. Un intervento, tra l’altro, operativo solo dal 15 febbraio, quando il picco sarà probabilmente superato. La Messa ha però voluto l’obbligo per università e AFAM, un’estensione di quello previsto per la scuola. Non se ne capisce la logica: introdurlo dove larga del lavoro è amministrativo e di ricerca (relativamente isolato), ma non in altri servizi (pubblici e privati) dove i contatti sono serrati e costanti.

Però, con l’obbiettivo di salvaguardare PIL e ripresa (#italyisrunning), come esplicitamente ricordato da Draghi, il governo ha preso anche altri provvedimenti: non sono esattamente nella direzione di ridurre il contagio!

Nella scuola son state allentate le norme sulla quarantena: sono stati cioè eliminati i vincoli sul tracciamento (i tamponi obbligatori su tutta la classe) e sono state innalzate le soglie per potere stare a scuola (a due positivi nella primaria e nella prima classe della superiore di primo grado, addirittura a tre casi nelle altri classi). Cioè, a fronte di un picco nelle prossime settimane, di una variante molto contagiosa, si è deciso di allentare e non di rafforzare le misure di quarantena! Allentare e non rafforzare! Qual è il senso? Ovvio, sacrificare la salute e la sicurezza in nome della produttività dei genitori: non bloccare cioè nelle prossime settimane a casa lavoratori e lavoratrici che devono comunque andare a produrre e non intralciare la ripresa del PIL!

Non solo: alle superiori si prevede la DAD solo per non vaccinati. Questo provvedimento, oramai si sa, non ha alcun senso didattico: tempi, ritmi, modalità della didattica in presenza e di quella on line sono diversi e quindi una lezione divisa sacrifica inevitabilmente qualcuno (chi è on line, che diventa semplicemente uditore, o chi è in presenza, travolto ed escluso dalle interazioni on line). Questo provvedimento, inoltre, introduce nelle classi, in un ambiente cioè cooperativo e inclusivo che è alla base del processo di apprendimento comunitario della scuola italiana, una divisione basata su scelte sanitarie, che non sono nemmeno proprie dei soggetti coinvolti (minorenni). Una dinamica che introduce impropriamente fratture e tensioni, stravolgendo così proprio quella che è la funzione principale della scuola. Una dinamica, tra l’altro, parallela alla scelta di alcune regioni di introdurre presidi vaccinali nelle scuole e in orario scolastico, portando cioè i conflitti sull’atteggiamento rispetto alle vaccinazioni direttamente nell’ambiente educativo, rendendo così gli studenti irresponsabilmente terreno di questo conflitto, agito da famiglie e istituzioni.

Nel contempo, si sono mantenuti stretti limiti allo smartworking. Contro ogni logica, Brunetta ha voluto confermare nel pubblico impiego che il lavoro ordinario deve esser in presenza, con procedure e vincoli all’attivazione del lavoro agile: nell’università, nella ricerca e in molte amministrazioni (dove ci sono strumenti e possibilità di starci in modo massivo ed eccezionale per alcune settimane senza incidere sulle attività) se ne rende quindi impossibile la sua sostanziale estensione quando invece servirebbe.

Così, il governo ha deciso di non intervenire dove poteva esser utile e necessario, per non incidere appunto sulla produzione: i mezzi pubblici mantengono la stessa capienza, a breve o a lungo (da tempo tornata di fatto al 100%), continua la serie A (con stadi al 50%) e si confermano fiere, congressi e varie amenità.

Le ragioni dello sciopero del 10 dicembre stavano anche qui, nella priorità politica di questo governo per il PIL, nella scelta di non investire sulla scuola e la sanità pubblica, nell’assenza di ogni intervento su organici e precariato (a partire da un reale piano di stabilizzazione). Di fronte a queste politiche economiche e sociali, di fronte a questa gestione della pandemia, è tanto più necessario confermare oggi la mobilitazione sindacale, costruire una stagione di conflitti e di scioperi per ribaltare questo indirizzo di fondo, assunto da Draghi e dalla sua larghissima maggioranza parlamentare!

#RiconquistiamoTutto nella FLC

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