Patto per la scuola: tante promesse e qualche veleno.
La scuola italiana ha vissuto una pesante primavera, segnata dalla terza ondata e da una continuità di gestione rispetto ai mesi precedenti. Dopo la disastrosa conclusione dello scorso anno scolastico, Conte e Azzolina avevano prodotto tante parole e provvedimenti al limite del ridicolo: nessuno smezzamento delle classi (come chiesto da esperti e CTS), l’affollamenti dei mezzi pubblici, il metro statico tra rime buccali, mascherine inadeguate, la farsa di milioni di banchi e banchi a rotelle, la conferma del precariato strutturale e l’aggravamento del problema per la scelta di aggiornare le GPS; l’inserimento di un organico straordinario ridotto (meno del 7% del personale), iper precario e a lungo senza alcuna tutela; l’assenza di ogni presidio sanitario e di ogni serio sistema di tracciamento. Con il nuovo governo, nulla è realmente cambiato nelle scuole (a parte un piano vaccinale lento, confuso e schiacciato dalle speculazioni delle multinazionali),: non sono state trovate nuove risorse, non sono state riviste disposizioni e organizzazioni, non sono nemmeno stati rivisti i protocolli di sicurezza (nonostante l’evidente inadeguatezza di distanze e DPI).
Draghi e Bianchi, anzi, hanno continuato l’azione antisindacale di Azzolina e Conte. Nonostante il diverso profilo del nuovo Ministro, e le ripetute parole sull’importanza del confronto sindacale, la prassi primaverile è stata infatti diversa. Lo si è visto in molteplici atti.
- L’assenza di ogni interlocuzione sulla revisione dei protocolli di sicurezza (nonostante questi siano stati rivisti per i settori privati) e, forse non casualmente, le dimissioni dopo appena un mese e mezzo del nuovo responsabile ministeriale sull’emergenza (Agostino Miozzo, in arrivo dal CTS).
- La definizione del decreto annuale sulla mobilità del personale, con un atto unilaterale come era avvenuto l’anno precedente con la Ministra Azzolina (dopo che per qualche settimana si era addirittura temuto il tentativo inedito di congelarla per un anno).
- La conferma dell’organico della scuola, senza alcun confronto con il sindacato e senza nessun intervento di recupero sulla dinamica degli ultimi due anni scolastici (cercando realmente di colmare diseguaglianze e ritardi per la pandemia): non è cioè prevista nessuna reale diminuzione degli studenti per classe, nonostante che le classi pollaio affliggano la scuola dai tagli operati più di un decennio fa da Moratti e Gelmini.
- Il Piano estate, definito dal Ministero con un colpo di mano, rivolto concretamente a pochi studenti, e con un’impostazione che come abbiamo recentemente sottolineato confonde pubblico e privato, spazi scolastici e dimensioni ricreative.
A fronte di questa prassi, il Ministero dell’Istruzione si è attivato per raggiungere con le organizzazioni sindacali un patto per la scuola. Dopo la realizzazione a marzo del Patto per il pubblico impiego, schiacciato su una visione brunettiana della pubblica amministrazione ma che tralasciava le specificità di istruzione e ricerca, le organizzazioni sindacali avevano a lungo insistito per aprire un fronte di discussione sui problemi del settore (a partire da sicurezza, bassi salari, classi pollaio ed enorme incidenza del precariato, con quasi il 20% del corpo docente composto da supplenti). Per settimane il Ministero ha latitato, mentre imponeva i suoi provvedimenti senza alcun confronto (dalla mobilità al Piano estate). Nel volgere di pochi giorni ha improvvisamente aperto alla scrittura di un testo, di cui sono rapidamente circolati i punti principali. La firma da parte del governo si è però fatta attendere a lungo: con un crescente nervosismo sindacale, il testo si è infatti perso nelle stanze della Presidenza del Consiglio, che evidentemente faticava a validare le promesse che vi erano contenute. Alla fine, improvvisamente, il testo è emerso dai meandri del Palazzo ed è stato firmato nel tardo pomeriggio di giovedì 20 maggio 2021.
È un documento di vaghi impegni politici, senza scadenze e senza esigibilità. In prima battuta, ricorda l’intesa sulla scuola del 24 aprile 2019, raggiunta dai sindacati di settore con il ministro Bussetti e il premier Conte, che si focalizzava sulla stabilizzazione del precariato (con una procedura semplificata), le risorse per il contratto (si disse un aumento a tre cifre), un argine all’autonomia differenziata (le auliche dichiarazioni sulla scuola del paese). Noi avevamo subito detto che quell’intesa era scritta sull’acqua e così è stato: il percorso semplificato di stabilizzazione, con un accidentato percorso parlamentare, si è trasformato nell’infinito concorso selettivo della Azzolina (che si deve ancora chiudere e che porterà in cattedra molto meno dei 35 mila docenti previsti); l’aumento a tre cifre, a distanza di due anni, non è arrivato ed anzi le risorse previste nell’ultima legge di Bilancio sono pari a soli 85 euro medi; il cosiddetto argine all’autonomia differenziata è stato facilmente aggirato e travolto oltre che dalle realtà (l’imprevedibile prassi che abbiamo visto in questi mesi con la pandemia) da una Bozza Boccia che ha confermato la diversificazione dei sistemi regionali di welfare (una legge, ricordiamo, che il DEF di Draghi conferma nei collegati alla Legge di Bilancio e quindi ancora pendente sui nostri destini, anzi rilanciata dalle ipotesi di completamento del federalismo fiscale esplicitamente posti nel PNRR).
Questo nuovo patto presenta lo stesso impianto, ripercorrendo per molti versi lo spartito del 2019. Al di là di una lunga introduzione, i suoi punti principali prevedono infatti:
• nuove procedure di reclutamento finalizzate ad assicurare la presenza di ogni figura professionale al primo settembre di ogni anno, rendendo le procedure di reclutamento regolari e semplificate…e attraverso una procedura urgente e transitoria di reclutamento a tempo indeterminato [al di là della vaghezza sulle procedure non è indicato neanche algebricamente un numero: in ogni caso possiamo vedere dai giornali come questi impegni si stiano concretizzando, con concorsi semplificati previsti nel DL sostegni BIS che strutturalizzano le selezioni a crocette dell’Azzolina (almeno 70 punti su 100) e con una stabilizzazione che, oltre ai circa 26 mila vincitori del concorso straordinario in corso, già decisi, prevede l’inserimento di poco più di ventimila vincitori di concorsi passati e solo 18mila precari triennalisti, coprendo quindi una quota complessivamente ridotta delle oltre 150mila cattedre strutturalmente vacanti, e quindi continuando a perpetuare il problema del precariato].
• garantire la sicurezza degli ambienti scolastici…con un ampio intervento di riqualificazione del patrimonio edilizio dedicato alle attività di istruzione nell’ambito del PNRR [neanche si citano i protocolli di sicurezza, neanche si prevede un radicale cambiamento di spazi e strutture, rifacendosi unicamente a quanto previsto dal PNRR già deciso dal governo e votato dal Parlamento];
• prevedere efficaci politiche salariali… per la valorizzazione del personale.. tramite le risorse di cui al Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale [cioè, al di là della vaghezza della formulazione, non si prevedono risorse aggiuntive per il CCNL, ma di destinare alla scuola quanto già previsto dal patto per il lavoro pubblico];
• prevedere, in un’ottica pluriennale, risorse aggiuntive in uno specifico fondo del MOF [previsto all’art. 1, c. 592, della legge 7 dicembre 2017, n. 205], cioè nella contrattazione di secondo livello che avviene nelle istituzioni scolastiche[anche qui, si destinano risorse ulteriori senza stabilire quanto e in quanti anni].
Sui punti determinanti di questo patto (salari, precari e sicurezza) è cioè evidente l’indeterminatezza degli impegni assunti. Anche se, rispetto al Patto del pubblico impiego, dobbiamo sottolineare che non sono previsti obbiettivi, logiche o provvedimenti forieri di derive aziendaliste (come invece, su produttività e precariato, abbiamo rilevato nel testo di marzo). Anzi, qualche obbiettivo, sebbene declinato vagamente nel testo del patto [aprire un confronto sulla mobilità del personale scolastico e della dirigenza], sembra lo si stia anche concretamente portando a casa (ritornando nel Dl sostegni bis ad un obbligo di permanenza triennale].
Il problema principale di questo accordo non è la condivisione di impegni sbagliati, quanto piuttosto il rischio di congelare l’iniziativa sindacale in vista del prossimo anno scolastico e del rinnovo del contratto (come dopo l’aprile 2019, quando si sospese uno sciopero già convocato e per molti mesi ogni reale mobilitazione del settore). Non è un rischio ipotetico: già in questi mesi, la prospettiva del patto ha bloccato ogni iniziativa della FLC CGIL, anche a fronte degli enormi problemi di sicurezza, delle risorse insufficienti per il rinnovo del CCNL, di un’azione ministeriale unilaterale (mobilità, organici, piano estate). Questo governo, come quello passato e quello prima ancora, non ha comunque nessun problema a promettere. Il problema non sono le parole, sono i fatti. Il sindacato non dovrebbe allora fermarsi alle dichiarazioni, ma pretendere azioni concrete.
In ogni caso, non è che manchi qualche ambiguità e qualche goccia di veleno, in particolare se si confronta il testo uscito dai meandri di Palazzo Chigi rispetto a quello che è sembrato emergere dal confronto con il Ministero dell’istruzione.
Qualche pericolosa ambiguità: ad esempio si prevede di rafforzare la rete di supporto all’autonomia scolastica nell’ambito delle rispettive competenze tra Stato, Regioni, Enti locali, Autonomie scolastiche [da una parte ribadendo un rafforzamento dell’autonomia scolastica, dall’altra senza entrare nel nodo di quali debbano essere le “rispettive competenze tra Stato, Regioni ed enti locali”].
Qualche veleno: se si confronta il presunto testo iniziale con quello finale, non può sfuggire la sapiente mano del MEF nella riscrittura. Le spese, infatti, sono perimetrate alle risorse già stanziate, mentre gli impegni sono ricondotti alla logica (aziendalista) del Patto di marzo e del PNRR. Ad esempio, i provvedimenti finalizzati all’innalzamento dei livelli di istruzione volti a contrastare gli abbandoni e la dispersione scolastica, invece che esser definiti attraverso la contrattazione, lo sono attraverso le risorse disponibili per la contrattazione…e un utilizzo più efficace delle risorse [la differenza si commenta da sola]. Viene cancellata l’assicurazione della continuità didattica tramite una programmazione pluriennale anche dei contratti a tempo determinato e viene cancellato l’esplicito riferimento al diritto soggettivo in relazione alla formazione del personale, inserendo un più vago riferimento alla coerenza con quanto previsto nel Patto [forse non casualmente, visto che il PNRR prevede un inquadramento molto più rigido e direttivo della formazione per i docenti].
Soprattutto, però, sono tre i punti trasformati nella nuova formulazione.
Primo, le efficaci politiche salariali, devono esser per la valorizzazione del personale [usando una formula ambigua, che può aprire la strada a differenziazioni stipendiali] e soprattutto non con risorse aggiuntive [come richiamato nel testo iniziale], ma tramite le risorse di cui al Patto.
Secondo, i fondi aggiuntivi sul MOF dovranno esser impiegati coerentemente con le politiche relative al personale pubblico di cui al Patto [che ricordiamo, sul secondo livello raccomanda di incentivare la premialità].
Terzo, l’obbiettivo della riduzione del numero di alunni per classe e per istituzioni scolastiche viene ricondotto nel nuovo testo alla luce dell’andamento demografico della popolazione, finalizzando le risorse per migliorare il servizio e favorire la diffusione del tempo pieno: viene cioè ricondotto a quanto è presente nelle schede di accompagnamento del PNRR, dove viene detto che la fine delle classi pollaio sarà a costo zero, in quanto si lasceranno gli organici immutati a quelli del 2020 e negli anni il calo demografico permetterà di ottenere questo obbiettivo (sic!).
Insomma, diversamente dal Patto sul pubblico impiego di marzo, nel testo originario non c’erano elementi negativi (anche se era presente qualche ambiguità). Nel testo definitivo il MEF ha voluto ricondurre le promesse del governo alla logica del PNRR e del controllo della spesa. Il problema, comunque, non è la sua firma, ma la solita linea attendista della FLC (prima di questa firma e, se continua, anche dopo questa firma), anche conseguenza della collocazione generale della CGIL e della sua scelta di aperto sostegno al governo Draghi in questi mesi. Per questo è necessario impegnarsi subito nel riattivare la categoria, definire con lavoratori e lavoratrici una piattaforma rivendicativa, mobilitarsi e scioperare per ottenere sicurezza, organici, stabilizzazioni e salari. Perché quello che si otterrà non sarà per questi impegni o per le promesse del governo, ma quello che sarà ottenuto con la lotta.
RiconquistiamoTutto nella FLC.
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