Un maggio di piazza contro guerra e carovita
Lo sciopero CGIL e UIL dello scorso 16 dicembre [10 dicembre per la scuola] doveva esser il primo atto di una ripresa più generale del conflitto: solo l’inizio si è infatti detto allora, con un percorso che avrebbe dovuto continuare con altre iniziative di mobilitazione già da gennaio, perché vi era una domanda di partecipazione inascoltata, la necessità di una svolta. Quello sciopero avrebbe cioè dovuto dare avvio ad una mobilitazione politica per cambiare questo Paese, contro una politica economica e sociale (quella definita dal governo Draghi con la legge di Bilancio 2022) che sosteneva imprese e redditi maggiori (bonus e revisione IRPEF), in cui non si segnava nessun cambio di passo su scuola, sanità, lavoro e pensioni.
Le ragioni di quello sciopero non solo rimangono, ma si sono moltiplicate. L’invasione russa dell’Ucraina ha avviato una guerra aperta, nella quale si dispiega una progressiva contrapposizione che stringe il mondo in blocchi e alleanze militari, travolgendo quei popoli con distruzioni, disperazione e povertà; innescando una devastante strozzatura su beni alimentari per aree già fragili; rilanciando una pericolosa corsa al riarmo; precipitando ovunque processi di mobilitazione nazionale e militarizzazione sociale. La guerra sta quindi ridefinendo anche le strategie di gestione della crisi, nel mondo e in Italia. Il Def (il documento di politica economica) delinea infatti un’economia di guerra, in cui le politiche di controllo dei conti pubblici saranno comunque dirette al riarmo, al sostegno delle imprese (la produttività totale dei fattori del PNRR), a tagliare la spesa sociale (a partire da sanità e scuola) e a implementare l’autonomia differenziata. La guerra ha poi esacerbato un’inflazione già innescata dal rimbalzo post-pandemico e dagli squilibri della grande recessione (con un debito oggi tre volte il PIL mondiale e interventi delle banche centrali per oltre 30mila miliardi di dollari): in USA già nel 2021 era oltre il 7%, in Italia è oggi al 6% ma impatta ben di più sui bassi salari (impiegati a coprire i costi di alimentari, elettricità, metano e carburante, che vedono aumenti ben più ampi). Le strutture salariali sono oggi totalmente indifese da questa dinamica: gli stipendi bloccati dalla lunga concertazione ed erosi dalla crisi hanno visto la scomparsa di ogni meccanismo automatico di rivalutazione (scala mobile), l’imposizione dell’IPCA (l’adeguamento contrattato al netto dei costi energetici), il prolungamento dei contratti (molti fermi da anni, nel pubblico rinnovati alla fine del triennio, in diversi settori anche con 4 o 5 anni di vigenza). Contro guerra e carovita è allora sempre più urgente costruire un’opposizione sociale.
La scuola sciopera il 30 maggio, con un’iniziativa promossa da tutte le principali organizzazioni di categoria (FLC, CISL, UIL, GILDA, SNALS e ANIEF). Il rilancio e la radicalizzazione della BuonaScuola decisa dal recente DL sul PNRR (percorso ad ostacoli su reclutamento, centralizzazione formazione, salario premiale basato sulle performance), proprio al piede di partenza del rinnovo del CCNL, ha infatti stimolato un’immediata e giusta reazione. Questo provvedimento sul terreno della scuola rende evidente quella radicalizzazione neoliberale e bonapartista che la guerra ha in realtà impresso a tutte le politiche del governo Draghi.
La scuola però è sola a scioperare. La FLC CGIL ci arriva comunque in ritardo, dopo aver creduto all’illusione del patto per la scuola, aver scommesso sulle risorse del PNRR, aver lasciato passare questi mesi attraversando i movimenti (25 e 26 marzo), ma senza mobilitare la categoria. Gli altri settori rimangono fermi, la confederazione latita, lo sviluppo di uno sciopero generale manca. Lo abbiamo denunciato all’ultimo direttivo della CGIL e nell’Assemblea nazionale a Firenze. La prevista iniziativa CGIL a Roma il prossimo 18 giugno (un’assemblea nazionale di delegati/e, in piazza), arriva tardi (all’inizio dell’estate) e soprattutto male (un comizio incapace di coinvolgere e mobilitare l’insieme del lavoro; soprattutto incapace di far male e rispondere a governo e padronato). Lo sciopero di dicembre allora è stato isolato, reso occasionale e sporadico, di fatto semplicemente dimostrativo, una pura attestazione di esistenza in vita del sindacato: uno sciopero cioè teatrale, schiacciato sull’istantaneità della comunicazione e delle collocazioni congiunturali (rischiando così di instillare e diffondere solo diffidenza tra lavoratori e lavoratrici). L’unica realtà che si è fatta carico di convergenza e sviluppo è stato il Collettivo di fabbrica GKN, dal corteo fiorentino del 26 marzo all’assemblea del 15 maggio a Campi Bisenzio, con iniziative che hanno cercato di dialogare, attraversare e relazionarsi con le diverse lotte aziendali, le mobilitazioni sociali, Friday for future, i movimenti studenteschi e quelli contro la guerra.
Così, questa primavera di guerra è stata ancora segnata dalla divisione del lavoro. La crisi ha da tempo amplificato differenze e segmentazioni. I due anni di pandemia, una gestione sanitaria liberale, la persistente divaricazione nella struttura dei salari hanno così amplificato queste dinamiche, segnando anche in questi mesi scollamenti e fratture fra le diverse componenti del lavoro, le loro attivazioni e i loro conflitti.
Le ragioni di una convergenza e di una generalizzazione della mobilitazione si moltiplicano, ma la CGIL ne resta estranea. Il prossimo venerdì 20 maggio è stato convocato uno sciopero generale da parte di un articolato fronte del sindacalismo conflittuale. Questo sciopero ha saputo trovare e ritrovare momenti di convergenza e unità, allargando progressivamente il fronte dei promotori, delle adesioni e dei sostegni nell’insieme del sindacalismo di base, ma anche a coordinamenti e associazioni del mondo del lavoro, realtà sociali e pacifiste oltre che larga parte della sinistra politica. Il 20 maggio sarà quindi segnato da molte piazze. Uno sciopero contro la guerra e il carovita, che non a caso sarà aperto dallo slogan fuori dalla guerra, aumentare salari e spese sociali. Gli scioperi generali sono comunque processi, non occasioni: sono infatti il risultato di percorsi di convergenza e generalizzazione, che a loro volta possono innescare nuovi allargamenti e approfondimenti delle lotte.
Le iniziative di sciopero e di piazza del 20 maggio sono allora una tappa e un’occasione di questa ripresa di attivazione, convergenza e iniziativa della classe lavoratrice e dei movimenti sociali in questo paese. Per questo ci auguriamo che queste iniziative trovino la maggior adesione possibile ed invitiamo quindi RSU e delegati/e a convergere su questa giornata di mobilitazione. Come area sindacale saremo in quelle piazze di lotta e conflitto, mentre siamo impegnati con convinzione per la riuscita dello sciopero della scuola il 30 maggio, anche perché diventi occasione per riaprire in autunno la dinamica dei contratti nazionali del pubblico impiego e per costruire concretamente le condizioni per arrivare finalmente ad uno sciopero generale della CGIL contro guerra e carovita. Perché sappiamo che la strada della convergenza e del conflitto sarà lunga e difficile, da compiere passo a passo: proprio per questo, però, sappiamo che deve iniziare sin da subito.
#RiconquistiamoTutto
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