Vda, crisi di sistema e ’ndrangheta.
Intervento al Comitato Direttivo della CGIL Valle d’Aosta del 20 dicembre 2019
Come a livello nazionale, anche questa Regione vive un tempo sospeso. Non solo, ovviamente, perché è parte di una realtà complessiva in cui il vecchio sta morendo, ma ancora non si decide a lasciare la scena, ed il nuovo ancora non riesce a nascere (una gestione capitalistica della crisi neoliberista è incapace di riavviare il ciclo, una gestione capitalistica della crisi nazionalista stenta ad imporsi, un’alternativa di sistema fatica anche solo ad emergere). Viviamo in questa Valle in un particolare tempo sospeso perché il sistema valdostano è da tempo in un’evidente crisi strutturale, ma ancora si trascina nonostante il suo progressivo disfacimento senza che riesca a svilupparsi nuova vita.
L’ultima indagine della magistratura sull’ndrangheta ha però calato un sipario. Non solo è oramai un fatto l’esistenza di una locale nella Vallée (come è emerso quasi un anno fa con l’indagine Geena: l’arresto e la reclusione al 41bis di un consigliere regionale conseguente all’intreccio tra settori di potere, circuiti affaristici e ambienti criminali). Sono state anche portate alla luce, con le foto e le intercettazioni dell’indagine Egomnia, la relazioni tra settori dell’ndrangheta e importanti politici della regione (tra cui il presidente, l’assessore alle opere pubbliche e al territorio, l’assessore al turismo ed il commercio, il capogruppo dello partito autonomista storico della VdA). Certo, è ovvio, sarà l’inchiesta e saranno soprattutto i processi (di primo, secondo e terzo grado) a darci una conferma sui reati e l’eventuale colpevolezza degli imputati. Sino ad allora, come ricordato da molti in questa discussione, sono tutti innocenti.
Il problema però non è giudiziario, è politico. Le intercettazioni e le foto ci sono. Sono pubbliche e in ogni caso sono un fatto politico. Indicano con evidenza un sistema di relazioni e un intreccio tra circuiti politici, clientelari e criminali. Per anni però qualcuno, tra cui la CGIL, ha denunciato pubblicamente la presenza dell’ndrangheta in Valle e molti hanno negato. La richiesta dell’istituzione di un Osservatorio sulla criminalità organizzata è stata a lungo negata. Anche da chi oggi è presente in queste inchieste. E presidente ed assessori sapevano di questa inchiesta da settimane, forse da mesi: sono stati convocati per risponderne ai magistrati, ma sono stati silenti nelle istituzioni e nei confronti della popolazione. Ed allora, davvero, le dimissioni immediate erano dovute e impossibili da evitare. E, al di là della conclusione giudiziaria ed anche di possibili assoluzioni (o persino dell’assenza di eventuali rinvii a giudizio), il giudizio politico deve esser netto.
È doverosa anche l’apertura di una riflessione sull’autonomia regionale. Piero ci ha ricordato, di fronte all’odierna messa in discussione politica ed istituzionale delle funzioni prefettizie esercitate dal presidente della regione Valle d’Aosta, l’opportunità di difendere questa particolare caratteristica dello Statuto valdostano. Non sono d’accordo. L’autonomia regionale è infatti oggi definita intorno alla centralità dell’istituzione regionale e del suo presidente. Non era e non è però scontato che sia così.
Nella fase cruciale della definizione dell’attuale autonomia, tra il 1943 ed il 1947, altri modelli ed altre ipotesi si erano affacciate. Da quella cattolica dell’abate Stévenin che individuava la competenza regionale come residuale e fondava l’autonomia sulla centralità dei consigli comunali, a quella del PSIUP, dalla parte del lavoro, che tracciava un’autonomia come forma di autogoverno anche economico-sociale.
L’autonomia della Valle d’Aosta imboccò poi una strada diversa e quando arrivò nei primi anni ottanta anche la piena autonomia finanziaria, si sviluppò rigogliosamente intorno all’istituzione regionale ed al suo presidente. Un’autonomia cioè centralizzata sul bilancio ipertrofico della Regione, che controlla direttamente o indirettamente quasi tutta l’economia della Valle, e focalizzata sul ruolo del presidente nella Giunta e nel complesso delle istituzioni regionali. Così, in questo quadro, abbiamo avuto un presidente prefetto, presidente dell’Università, presidente del Forte di Bard e di quant’altro: un vero e proprio dominus della politica e delle istituzioni valdostane. Un modello centralizzato che, nel quadro dell’atrofia di altre istituzioni (dall’assenza della provincia alla subordinazione dei Comuni), ha facilitato la costruzione e lo sviluppo di un pervasivo sistema clientelare, a sua volta terreno fertile per l’infiltrazione ed il protagonismo della criminalità organizzata.
Qualche riflessione su questa autonomia centralizzata è allora forse utile aprirla. Come anche sembra utile approfondire la discussione su quelle ipotesi di ulteriore centralizzazione sulla figura del Presidente, che rischiano di emergere con una revisione della legge elettorale imperniata sull’elezione diretta dello stesso Presidente. La CGIL potrebbe allora proprio cogliere l’occasione di organizzare momenti seminariali di confronto e discussione sull’autonomia e suoi limiti, più che difendere acriticamente le strade percorse nel passato e che hanno avuto questi esiti.
Il sistema Valle d’Aosta è infatti oggi ad un punto morto. Poca allora la consolazione di esser chiamati, come CGIL, a qualche tavolo di confronto sulla legge di Bilancio regionale o nella definizione di alcune politiche concrete di settore. Dopo anni di esclusione e marginalizzazione, questi tavoli si aprono proprio per la debolezza e l’asfissia di questo quadro politico. E, in fondo, si aprono perché oggi contano poco e nulla.
Certo, dopo il baratro degli anni scorsi, il bilancio regionale ha conosciuto una relativa ripresa. Però l’esplosione del sistema politico sulla questione dell’ndrangheta è conseguente ad una fase di frammentazione e instabilità (cinque presidenti in due anni, con maggioranza composite che si reggono su pochi voti di differenza con l’opposizione, se non con uno solo), a sua volta innescata dallo sfaldamento di un sistema economico e sociale. La crisi del 2007/08 ha colpito pesantemente la Valle d’Aosta e da allora sono mancati anche i timidi segnali di ripresa avvertiti a livello nazionale. Non solo: all’atrofizzazione del sistema produttivo regionale si è accompagnata la messa in discussione di rilevanti finanziamenti esogeni (garantiti prima dal trasferimento statale sostitutivo dell’IVA di importazione e poi dalla tassazione in Valle di alcune imprese, in particolare Heineken). Tutto l’equilibrio regionale si è andato quindi sfaldando. E scendendo la marea, sono emerse con evidenza le fragilità di questo territorio. Fragilità che nelle precedenti stagioni di abbondanza tendevano a compensarsi o, comunque, a sparire nell’insieme. E così oggi, come ci ha detto Pietro, in USL e nel servizio socio-sanitario non solo si presenta il problema di reggere servizi avanzati (come le micro-comunità o il reparto oncologico in una realtà di 120mila abitanti), ma mancano le docce per il personale. Così, come ho ben presente nel mio settore, non solo si fatica a limitare la dispersione o sviluppare modelli scolastici adeguati alla complessa società contemporanea, ma praticamente nessuna scuola superiore ha la palestra e la maggior parte nemmeno l’aula magna.
Anche in Valle d’Aosta, poi, sta incubando una svolta reazionaria. In un territorio con profonde radici antifasciste, in cui la destra e anche il centro destra hanno sempre avuto un consenso limitato se non marginale, dove la Lega non superava il 3% e non aveva mai eletto rappresentanti in Consiglio regionale, oggi Casapound ha un consigliere comunale, la Lega ha un nutrito gruppo regionale e ha raggiunto il 40% alle europee. La conquista del consenso da parte di forze reazionarie e razziste non è più un problema solo della pianura. In una regione di 120mila abitanti dove la CGIL ha più di 12mila iscritti/e, è un nostro problema, che probabilmente ci attraversa.
In questo contesto, ho pienamente condiviso il comunicato della segreteria regionale della CGIL che chiamava alle elezioni immediate. Non sono d’accordo con le prudenze e le osservazioni di Piero. Non è compito della CGIL farsi carico della tenuta di questo quadro politico. Non si può pensare che per evitare derive reazionarie possa esser tenuta insieme una compagine traballante anche con l’appoggio sindacale. E soprattutto, è giusta la richiesta di segnare una rottura netta con un sistema, una logica, un mondo che ha raggiunto questa degenerazione ed ha impresso questa deriva a questo territorio.
Non solo. Io credo che questo comunicato non possa esser un semplice ed isolato grido di dolore. È necessario che la CGIL Valle d’Aosta si faccia carico di un’iniziativa straordinaria ed eccezionale. Proprio per questo sfaldamento di sistema, per la penetrazione della degenerazione clientelare e criminale, per il rischio di una deriva reazionaria che è presente nel consenso alla Lega.
Credo sia necessario ed impellente definire quattro o cinque assi rivendicativi. La difesa del welfare, del salario sociale e dei diritti sociali universali minacciati dalle politiche neoliberiste di sistema e dal venir meno di quella protezione finanziaria garantita negli anni scorsi dall’autonomia. La centralità del trasporto pubblico: qui, a differenza di quanto ancora proposto da Piero e dal suo ragionamento sul traforo del Monte Bianco, credo che il fulcro sia e debba rimanere quello della ferrovia, dell’elettrificazione e del suo rilancio. La questione dell’ambiente, sempre più centrale non solo sul piano generale del clima, ma anche nel tessuto di questa valle, dai problemi della Cogne alla discarica di Pompiod. La necessità di una politica produttiva ed industriale, in cui si riconquisti salario e occupazione. L’economia della regione è oggi retta da due/tre realtà (la Cogne, con i suoi 1200 lavoratori e lavoratrici; CVA, con i suoi 500 lavoratori e lavoratrici e le centinaia di milioni di utile accumulati; Heineken, con il flusso constante di risorse che ha garantito ed ancora parzialmente garantisce). È un’enorme fragilità che tante risorse umane e finanziarie siano concentrate su così poche realtà. Fuori di esse, fuori dall’impiego pubblico, cresce precarietà e povertà. Nella sinistra e nel campo progressista c’è chi tratteggia un futuro di turismo e piccole produzioni auto-sostenibili: è un mondo immaginario, nel quale rischierebbe di dominare povertà e sfruttamento.
Dobbiamo cioè tessere una vertenza generale, in grado di difendere gli interessi del lavoro in questo tempo sospeso. Non dobbiamo però solo elaborarla tra noi, qui in CGIL, mettendo insieme e facendo lievitare uno spirito confederale nelle nostre diverse categorie e nella nostra azione complessiva. Non dobbiamo neanche semplicemente rivolgerci e rivolgerla al mondo politico, al Palazzo, alle istituzioni regionali. Dobbiamo farla crescere soprattutto tra i lavoratori e le lavoratrici, tra i pensionati e le pensionate, nella popolazione. Dobbiamo cioè sviluppare a livello sociale una riposta a questa crisi, una diversa prospettiva ed un diverso orizzonte rispetto a quello proposto dalle forze reazionarie.
Una risposta straordinaria ed eccezionale, dicevo. La CGIL Valle d’Aosta a gennaio, subito dopo la pausa natalizia, deve organizzare assemblee in ogni posto di lavoro e nei territori: nei settori pubblici e nelle aziende private, nelle comunità montane ed a Aosta, a Chatillon come a Pont Saint Martin. Chiamare il lavoro e l’insieme della popolazione a prendere direttamente la parola sulla crisi politica e sociale che la Valle sta vivendo. Discutendo ed integrando i diversi punti di questa piattaforma generale. Chiudendo questo percorso entro l’inizio della primavera, con un’assemblea regionale delle RSU e dei delegati/e, in cui metter definitivamente a punto questa piattaforma. Una piattaforma in cui il lavoro, i suoi interessi ed i suoi diritti, possano esser difesi e salvaguardati: con questa Giunta (o una sua qualunque precaria rielaborazione) come con quella che eventualmente nascesse da eventuali nuove elezioni.
Affinché in questa fase sospesa ed incerta, possa emergere un punto di riferimento inequivocabile per il lavoro, intorno a cui costruire e far crescere un tempo nuovo.
Luca Scacchi
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