Ccnl istruzione. E’ ora di lottare: cambiamo le condizioni della trattativa!

La trattativa per il rinnovo del contratto conoscenza (scuola, università, ricerca e Afam) è oggi probabilmente ad un punto di svolta, dopo lo stallo delle ultime settimane.

L’Aran (l’agenzia che sta trattando per conto del governo) vorrebbe impostare il nuovo CCNL sulla falsariga di quello delle Funzioni centrali (i cosiddetti “statali” e affini). Da una parte la piena assunzione delle disposizioni della “Brunetta-Madia” (particolarmente inaccettabili nei settori dell’istruzione, come le prerogative di Amministrazioni e Dirigenti su orari e organizzazioni del lavoro, compresi i PTOF e la definizione degli impegni didattici nella scuola), dall’altra aumenti salariali limitati al 3,48% (75 euro medi sul comparto) e per di più suddivisi tra salario tabellare e accessorio secondo le proporzioni attuali (sia quando l’accessorio è costituito da indennità fisse, uguali per tutti, come nella scuola; sia quando è totalmente variabile, con una sua distribuzione disequilibrata su lavoratori e lavoratrici, come nell’università). Ed infine, ad abundantiam, vorrebbe ridurre gli ambiti di contrattazione (con l’ambiguo “Organismo paritetico per l’innovazione” o la riconfigurazione del “confronto” come semplice scambio di pareri senza nessun impegno), inserire nuovi compiti obbligatori (ad esempio nella scuola il tutoraggio per l’alternanza scuola-lavoro) o aumentare il potere dei dirigenti (ad esempio nei provvedimenti disciplinari sino a 10 giorni di sospensione).

Le organizzazioni sindacali hanno sino ad oggi considerato questo impianto insufficiente ed inaccettabile. La trattativa che secondo i media con il muovo anno si sarebbe dovuta concludere in pochi giorni, se non in poche ore, si è infatti prolungata nel tempo. Ancora oggi non è chiaro il contenuto del nuovo Atto di indirizzo (le indicazioni del governo all’Aran su come condurre la trattativa, sia sul salario sia sulla parte normativa), reso necessario sia dall’approvazione definitiva della Legge di bilancio 2018, sia da alcune precise richieste sindacali (come quella di inserire tra le risorse contrattuali tutte quelle destinate ai lavoratori e alle lavoratrici del settore, a partire dal bonus premiale e dalla card docenti della Legge 107, oltre che dai fondi per la formazione, in totale più di 600 milioni di euro). Sino a rendere praticamente certo che l’erogazione degli aumenti e degli arretrati sarà in ogni caso successiva alla prossima scadenza elettorale, non essendoci oramai più i tempi tecnici per provvedervi entro il 4 marzo.

Gli stalli, però, non si possono mantenere indefinitamente. La trattativa è destinata a concludersi nelle prossime settimane: o arrivando alla rapida definizione di un nuovo contratto, o interrompendosi con la rottura tavolo e l’apertura di una stagione di mobilitazioni. La Legge di bilancio 2018 ha predisposto per i settori dell’istruzione due strumenti contrattuali aggiuntivi rispetto alle funzioni centrali.  Nella scuola è istituito un nuovo Fondo per la Valorizzazione dei docenti (che secondo criteri stabiliti in ccnl premierà l’impegno in attività di formazione, ricerca, sperimentazione e la diffusione dei modelli didattici), per ora solo con 10 milioni di euro (20 nel 2019; 30 nel 2020), ma che potrebbe esser “riempito” anche con nuove risorse (ad esempio i fondi del bonus della 107). Per l’università è prevista la possibilità di flessibilizzare i rigidi parametri di bilancio previsti della Brunetta ed altri dispositivi che hanno sin qui bloccato la contrattazione di Ateneo (anche in presenza di risorse locali disponibili). Intorno a questi elementi potrebbe quindi svilupparsi un terreno di intesa, almeno per quanto riguarda la parte salariale:

  • trasferimento nel CCNL dei fondi sul bonus docente della Legge 107: i 200 milioni a disposizione per questo scopo potrebbero essere inseriti sul nuovo Fondo di valorizzazione, con l’indicazione nel contratto di criteri per la loro distribuzione tra i docenti;
  • una perequazione temporanea per gli stipendi più bassi, come per le Funzioni Centrali  finanziata attraverso l’erogazione degli aumenti dal 1 marzo (risparmiando quindi circa 160 milioni di euro sulle risorse previste per il 2018): destinando 20/30 euro al mese ad un elemento distinto della redistribuzione (sino a dicembre 2018), si permetterebbe di avvicinare gli aumenti agli 85 euro mensili anche per chi è ben distante da questa cifra;
  • la possibilità negli Atenei di conquistare aumenti nei contratti di secondo livello (dove ci sono le risorse locali), aumentando il salario accessorio attraverso la flessibilità concessa agli Atenei.

Questo possibile terreno di intesa è per noi non solo inaccettabile, ma anche molto scivoloso, determinando un serio pericolo per la tenuta dei diritti e delle condizioni di lavoro nei settori dell’istruzione. 

  • Le risorse contrattuali, infatti, rimarrebbero identiche a quelle sino ad oggi previste (pari a circa 75 euro medie per il comparto, ben al di sotto ai già miserevoli 85 euro medi promessi con l’intesa de 30 novembre). Si prevederebbe cioè solo una loro redistribuzione grazie all’erogazione ritardata degli aumenti, che diminuirebbe conseguentemente l’importo degli arretrati. Inoltre i soldi redistribuiti sarebbe solo temporanei (sino a dicembre) e non si vede proprio come quello che non si è riuscito a conquistare oggi potrebbe esser conquistato fra pochi mesi. Questa “perequazione”, ottenuta riducendo gli arretrati di tutt*, sarebbe quindi semplicemente effimera.
  • I fondi del bonus docente invece che essere “contrattualizzati”, sarebbero semplicemente “inseriti nel contratto”. Cioè invece che esser sommati con i finanziamenti a disposizione, aumentando realmente  le risorse contrattuali (ed essendo quindi disponibili per essere redistribuiti sul salario tabellare tra tutt* i lavoratori e le lavoratrici del comparto), sarebbero semplicemente distribuiti con regole e criteri esplicitati nel contratto secondo la stessa logica premiale. Per noi questo risultato sarebbe quindi doppiamente negativo: da una parte si ingloberebbero nel contratto i principi meritocratici e competitivi della “Buonascuola”, dall’altro si prevederebbero nuove risorse contrattuali solo per alcuni lavoratori e lavoratrici (solo alcuni docenti).
  • Non un argine, ma un rilancio della “BuonaScuola” e della “Gelmini”. Questo eventuale impianto, al di là del mancato recupero di quanto perso (circa 300 euro mensili), rischierebbe di trasferire anche nel contratto l’impianto delle controriforme competitive degli scorsi anni. Nella scuola verrebbe sottolineato, come nella Legge 107, il diverso status di dirigenti, docenti e personale ATA: i DS conquisterebbero aumenti molto significativi (garantiti loro dalla Legge di Bilancio 2018), di un ordine completamente diverso dagli altri (oltre 400 euro mensili netti); gli insegnanti vedrebbero una parte del loro stipendio collegato al merito (fondo di valorizzazione e/o inserimento del bonus nel ccnl), che potrebbe crescere poi nel tempo; il personale ATA avrebbe solo gli aumenti sul minimo tabellare, intorno ai 45/50 euro lordi mensili, con una perequazione temporanea per qualche mese. Nell’università, il personale tecnico amministrativo (che ha già stipendi tra i più bassi della pubblica amministrazione), vedrebbe questi scarsi aumenti (intorno ai 72 euro lordi medi) distribuiti anche sul salario variabile (che per loro, e quasi solo per loro nel comparto istruzione, è significativo), con la possibilità di conquistare ulteriori aumenti solo su questa parte (e secondo i criteri differenziali della “Brunetta-Madia”), aumentando così come previsto dalla controriforma “Gelmini” le differenze nel personale e tra gli Atenei.
  • Divisione dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto. La FLC ha da tempo rivendicato la costruzione di un unico comparto della conoscenza, ritenendo che la costruzione di un sistema complessivo avrebbe permesso di riconoscere e valorizzare le condizioni di lavoro di tutti e tutte (a partire proprio dai precari e dai settori più deboli dell’istruzione). L’esito del primo contratto della conoscenza rischia di avere un esito diverso, sottolineando e aumentando le divergenze tra i diversi settori. Rischia cioè di aumentare, se non produrre, vere e proprie fratture nella categoria. Nella scuola, tra personale docente e non docente. Tra la scuola e gli altri settori del comparto, per la diversa distribuzione degli aumenti, che andrebbero a sottolineare ed incentivare le differenze invece che a ridurle.

Tutto questo al netto di una parte rilevante della trattativa, quella relativa all’organizzazione del lavoro, gli spazi e gli ambiti di contrattazione, il potere dei dirigenti, gli orari di lavoro, l’introduzione di forme di welfare contrattuale e la limitazione di alcuni diritti (a partire da quelli relativi alla legge 104 e dintorni). Soluzioni che nelle Funzioni Centrali sono stati particolarmente negative (vedi commento di dettaglio) e che sarà difficile, in questo quadro ed in poche settimane, che nell’istruzione si modifichino sensibilmente.

Al fondo, cioè, è ancora sostanzialmente operante il nodo che segnalavamo subito prima di Natale: A questo punto abbiamo di fronte due possibili esiti. O la FLC-CGIL, dopo l’incontro nei primi giorni del 2018, rompe il tavolo di trattativa e proclama lo sciopero generale della conoscenza (con chi è disponibile). In questo caso, da noi auspicato, ci batteremo per la sua massima riuscita, e nel percorso per la sua costruzione, per estendere e cambiare la piattaforma rivendicativa, sia sul salario sia sull’organizzazione del lavoro. O la FLC-CGIL cederà alle pressioni del contesto, a quelle della Cgil, alle offerte del governo, nel quadro dei limiti e delle subordinazioni imposte dall’accordo del 30 novembre, delle norme della “Madia”, delle risorse a disposizione nella Legge di stabilità. Firmerà cioè un contratto molto negativo, non solo sulla parte economica, ma anche sulla composizione salariale ed i diritti di lavoratori e lavoratrici.”.

Noi riteniamo che sia necessario costruire delle condizioni diverse per queste trattativa. Riteniamo infatti non solo che ad oggi non ci sono le condizioni per firmare, ma che lo stesso terreno su cui si sta sviluppando questa trattativa è sbagliato e pericoloso. E per costruire un diverso terreno, non è più sufficiente parlare: bisogna cambiare i rapporti di forza. Bisogna iniziare la mobilitazione, come abbiamo chiesto sin dall’inizio, come era necessario sin dalla discussione della legge Madia la scorsa primavera (che ha ribadito od introdotto diversi principi a cui oggi si rifà l’Aran nelle sue ipotesi di contratto).

Per noi è ora quindi di alzarsi dal tavolo e indire lo sciopero generale. Per questo abbiamo pubblicato e rinnoviamo il nuovo comunicato del fronte (a cui partecipiamo) “Per un vero rinnovo del contratto scuola”. Per questo chiediamo a tutte le assemblee e le riunioni sindacali, ora e nelle prossime settimane, di prendere posizioni chiare e vincolanti in questa direzione (come hanno fatto, ad esempio, queste due scuole). Per questo ci batteremo in tutti gli organismi della FLC, locali e nazionali, per riprendere la lotta e cambiare le condizioni della trattativa.

Sindacatoaltracosa-OpposizioneCgil nella FLC

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