Anatomia di un piano. primi appunti sul PNRR. II
Premessa.
Nella prima parte di questo contributo abbiamo visto l’impianto del PNRR, in relazione al profilo ordoliberale del Next Generation UE e alle tendenze bonapartiste presenti in Italia: abbiamo cioè sottolineato come il piano si ponga l’obbiettivo di intervenire sulla produttività totale dei fattori e di riorganizzare la struttura produttiva del paese, centralizzando il controllo del piano nella Presidenza del Consiglio e nel MEF, imponendo a tappe forzate (nei prossimi tre mesi) una serie di importante riforme politiche [Pubblica amministrazione, Giustizia, Semplificazione e Concorrenza]. Riforme che, come abbiamo visto, hanno un indirizzo classicamente neoliberista (dal brunettismo alla centralizzazione giudiziaria, dalla liberalizzazione dei servizi all’eliminazione di lacci e lacciuoli per l’iniziativa privata).
In questa seconda parte entriamo nel dettaglio degli interventi del PNRR, cercando di illustrare come i principi che abbiamo visto siano concretizzati in precise scelte. Come abbiamo visto, il piano è organizzato in sei Missioni (capitoli): transizione digitale [3 componenti]; transizione ecologica [4 componenti]; infrastrutture per una mobilità sostenibile [2 componenti]; istruzione e ricerca [2 componenti]; inclusione e coesione [3 componenti]; salute [2 componenti]. Ogni Componente, a sua volta, si può articolare in diverse azioni. Vediamole una per una.
Indice:
M1. TRANSIZIONE DIGITALE: 40,7 mdl
M2. TRANSIZIONE ECOLOGICA: 59,3 mld
M3. MOBILITA’ SOSTENIBILE: 25,1 mld
M4. ISTRUZIONE E RICERCA: 30,9 mld
M5. INCLUSIONE E COESIONE: 19,8 mld
M6. SALUTE: 15,6 mld
IN CONCLUSIONE
M1. TRANSIZIONE DIGITALE: 40,7 mld.
Tre componenti: Pubblica Amministrazione (9,7 mld), Imprese (24,3 mld) e Turismo (6,7 mld).
Questa Missione (una delle più consistenti, insieme alla successiva relativa alla transizione ecologica) riprende le dinamiche tecnologiche del presente (da internet al 5G) come i temi dell’industria 4.0 (cioè non solo la connessione di uffici e aziende, ma anche la loro riorganizzazione produttiva, con l’integrazione dei suoi diversi settori). Come vedremo, oltre il digitale, vengono qui indirizzate ingenti risorse anche ad altri processi, in coerenza con l’impianto e le riforme prima delineate. Il Piano sottolinea poi che oltre il 45% degli investimenti nella connettività a banda larga saranno nel Mezzogiorno.
M1. Prima componente: digitalizzazione Pubblica amministrazione.
I quasi 10 miliardi di questa componente si indirizzano a tre azioni: digitalizzazione nella PA (6,1 mld), Innovazione della PA (1,3 mld) e innovazione organizzativa del sistema giudiziario (2,3 mld). Traducono cioè immediatamente quelle che sono due delle grandi riforme di sistema a cui si condiziona lo stesso PNRR, come abbiamo visto nella prima parte del contributo.
1.Digitalizzazione della PA (6,4 mld): si focalizza su migrazione nel cloud delle amministrazioni, interoperabilità (principio once only: cioè conferisco solo una volta i miei dati ai servizi pubblici), sicurezza e formazione digitale. L’assegnazione delle risorse per questi interventi, però, è segnata da alcune scelte politiche diciamo interessanti.
Migrazione nel cloud (1,9 mld): si prevede un Polo Strategico Nazionale, che però sarà privato o ibrido [sebbene a capitale pubblico]: si sceglie cioè una soluzione che impone a questo soggetto di agire secondo logiche aziendali e di mercato (cioè operare per realizzare profitti]. Inoltre, questo Polo viene comunque messo in concorrenza con operatori di mercato certificati, dando la possibilità ad ogni amministrazione di scegliere chi debba gestire i propri dati.
Interoperabilità (0,6 mld): viene creata una piattaforma nazionale dei dati di ogni cittadino, una sorta di domicilio digitale, garantendo un accesso a questo database sorgente dei dati/attributi di cittadini/residenti e imprese. Evidente la delicatezza di tutta la gestione del processo.
Servizi digitali (2,1 mld): si investono risorse per consolidare e diffondere l’uso di piattaforme digitali pubbliche, come PagoPA, IO, SPID, ecc.
Cybersecurity (0,6 mld): vengono implementati capacità tecniche, valutazione rischi, servizi di front line di emergenza per i servizi essenziali; aumentato il personale investigativo della polizia, oltre che rafforzate le strutture e le risorse delle unità nazionali dedicate a questa attività.
Amministrazioni centrali (0,6 mld): digitalizzazione archivi e procedure ministeri e grandi enti nazionali (INAIL, INPS, GdF, ecc).
Competenze digitali (0,2 mld): iniziative di servizio civile, con giovani che insegnino uso digitale a settori sociali fragili.
2.Innovazione della PA (1,3 mld)questa azione è in diretto collegamento con la riforma brunettiana della pubblica amministrazione, di cui abbiamo parlato nella prima parte: in particolare sono finanziate alcune strutture di supporto per l’implementazione del Dlgs 150 del 2009.
Portale reclutamento (2 mln): indicativo il fatto che si dedichi una specifica voce ad un investimento così limitato, un nuovo portale con dati e competenze dei dipendenti in servizio (obiettivo di avere, in forma standard, l’80% dei dati di tutte le amministrazioni sulla piattaforma entro il 2023).
Task force PNRR (0,7 mld): assunzione temporanea (3 anni) di circa 1.000 professionisti a supporto delle amministrazioni: saranno semplificate 200 procedure critiche entro il 2023 e 600 entro la fine del PNRR. Last, but non least [non ultimo per importanza], la task force preparerà un nuovo sistema di performance management per i dipendenti della PA, con chiari indicatori di performance e incentivi dedicati alle amministrazioni più efficaci.
Competenze (0,5 mld): sarà predisposta un’ampia offerta di corsi online per il reskilling e l’upskilling “del capitale umano”, attraverso non meno di 100 MOOC (corsi on line), usabili per molti anni a venire [da docente universitario, mi chiedo con interazione, unico strumento che rende efficace la formazione a distanza]. Inoltre, saranno create 20 Community of Practice virtuali, ognuna con 100/150 manager della PA, su tematiche trasversali (human capital, digital e green transformation, ecc.).
3.Giustizia (2,3 mld). Questa azione è in diretto collegamento con la riforma della giustizia, che abbiamo visto nella prima parte, e con l’obbiettivo generale di velocizzarne i tempi, sottolineato nella premessa del PNRR. Si concretizza nella formazione dell’Ufficio di processo, con l’assunzione di 1.600 giovani laureati, 750 diplomati specializzati e 3.000 diplomati a supporto degli uffici giudiziari; contratti a tempo determinato per circa 16.500 laureati in legge, economia e commercio e scienze politiche che formeranno lo staff dell’Ufficio del Processo; circa 1.500 posizioni di coordinatori esperti tra il personale già in forza presso il Ministero della Giustizia. Per TAR più ridotto (340 persone), concentrandosi in sedi critiche. Tutto personale a tempo determinato, da stabilizzare con procedure che riconoscano esperienza svolta.
M1. Seconda componente: digitalizzazione imprese.
I 24 miliardi della componente per le imprese prevede investimenti in tecnologia, reti a banda ultra-larga (fibra FTTH, FWA e 5G), ma anche misure a supporto dei processi di internazionalizzazione delle PMI (posizionamento del Made in Italy) e per la competitività delle filiere industriali, con focus specifico su quelle più innovative e strategiche.
1.Transizione 4.0 (14 mld). Più di metà delle risorse di questa componente sono impegnate in misure di incentivazione fiscale, sostituendo l’iper-ammortamento di industria 4.0 (che per sua natura costituisce un beneficio per chi ha un’imponibile positiva) con crediti compensabili con altri debiti contributivi, estendendo i beni agevolabili (anche immateriali), le percentuali di credito e l’ammontare massimo degli investimenti.
2. Alto contenuto tecnologico (0,7 mld): 750 milioni dedicati a finanziare macchinari, impianti e attrezzature per produzioni di avanguardia tecnologica.
3. Reti ultraveloci (6,3 mld). L’obbiettivo è raggiungere connessioni a 1 Gbps su tutto il territorio entro il 2026; completare il Piano “Scuola connessa”, con fibra ai 9.000 edifici rimanenti (pari a circa il 20% del totale); assicurare connettività adeguata (da 1 Gbps fino a 10 Gbps simmetrici) agli oltre 12.000 punti di erogazione del Servizio sanitario nazionale (Piano “Sanità connessa”). Nel complesso dovrebbe esser portata la banda larga a circa 8,5 milioni di case, aziende ed enti pubblici (450mila edifici remoti).
4. Tecnologia spaziale (1,3 mld). Finanziamenti dedicati all’industria spaziale, con un Piano Nazionale volto a potenziare l’osservazione satellitare (monitoraggio territori) e le strutture imprenditoriali della space economy.
5. Politiche industriali e internazionalizzazione (2 mld). Un po’ incongruamente rispetto alla missione, viene qui prevista una misura di sostegno all’internazionalizzazione delle PMI, con contributi e prestiti agevolati per chi ha opera sui mercati esteri (partecipazione fiere internazionali, consulenze, innovazioni di processo o di prodotto, transizione green, ecc), oltre che circa 40 Contratti di Sviluppo per le regioni del Mezzogiorno.
M1. Terza componente: turismo.
Quasi sette miliardi impegnati sulla valorizzazione di siti storici e culturali, il miglioramento delle strutture turistico-ricettive e dei servizi turistici (con un vaghissimo legame con la digitalizzazione), proponendosi di attrarre investitori privati con crediti di imposta per le strutture ricettive e incentivi all’aggregazione delle imprese turistiche.
1. Patrimonio culturale prossima generazione (1,1 mld). Interventi (digitali e non) su musei, archivi, biblioteche e luoghi della culturali.
Digitale e piattaforme (0,5 mld): digitalizzazione degli archivi, rendendo fruibili i materiali su piattaforme.
Rimozione barriere fisiche e cognitive (0,3 mld): interventi di miglioramento edilizio in questi spazi culturali.
Migliorare l’efficienza energetica (0,3 mld) nei cinema, nei teatri e nei musei.
2. Rigenerazione di piccoli siti culturali (2,7 mdl): recupero di patrimoni culturali diffusi, rivitalizzando il tessuto socioeconomico e contrastando lo spopolamento.
Attrattività dei borghi (1,1 mld): definizione di un Piano Nazionale Borghi, con interventi di recupero degli spazi pubblici e attivazione di iniziative imprenditoriali/commerciali.
Architettura e paesaggio (0,6 mld): interventi di recupero e restauro diedifici storici rurali, come dei contesti e degli ambienti in cui sono collocati.
Parchi e giardini storici (0,3 mld): interventi di recupero e tutela in ville, castelli, città.
Sicurezza sismica chiese e depositi opere d’arte (0,8 mld): messa in sicurezza patrimonio artistico diffuso.
3. Industria culturale e ricreativa 4.0 (0,5 mld): interventi specifici e trasversali, che si concretizzano in:
Progetto Cinecittà (0,3 mld): rilancio studi cinematografici romani e CTC.
Transizione digitale per agenti cultura (0,1 mld): percorsi formazione per competenze digitali e culturali.
4. Turismo 4.0 (2,4 mld): interventi di supporto al turismo, trasversali e centrati su Roma.
Hub (0,1 mld): sviluppo del portale italia.it.
Competitività imprese (1,8 mld): credito fiscale e fondo perduto e fondo BEI, per crediti a imprese turistiche di montagna, turismo business e turismo sostenibile.
Caput Mundi e Grandi eventi (0,5 mld): tutela e recupero itinerari alternative, anche periferici, per integrarsi e sostenere grandi eventi su Roma (come Giubileo 2025).
M2. TRANSIZIONE ECOLOGICA: 59,3 mld
Quattro componenti: agricoltura e rifiuti (5,3 mld), energia rinnovabile (23,8 mld), efficienza energetica (15,2 mld), tutela del territorio (15,1 mdl).
Questa Missione, con quasi 60 miliardi di euro, è la più consistente del piano. Interviene sulle principali fragilità del paese: rifiuti, mobilità, energia, inquinamento atmosferico (particolato e ossidi ozono) ed eventi idrogeologici, con un ampio ventaglio di interventi (sia rivolti ai servizi pubblici ed alle infrastrutture, sia sostenendo imprese del settore e loro indirizzo green).
M2. Prima componente: agricoltura e rifiuti.
Cinque miliardi focalizzati sul riciclo, con obbiettivo di raggiungere almeno il 55% entro il 2025, il 60% entro il 2030, il 65% entro il 2035 e una limitazione di uno smaltimento in discarica non superiore al 10% entro il 2035. Qui si sostiene anche la filiera agroalimentare sostenibile, migliorando la competitività delle aziende agricole e le loro prestazioni climatico-ambientali. È una delle componenti più ridotte nel piano Draghi rispetto alla versione Conte: soprattutto, appare circoscritto alla gestione dei rifiuti, senza introdurre vincoli o un salto di qualità verso una reale economia circolare, intervenendo strutturalmente sulla produzione dei rifiuti (packaging, uso materiali di recupero o scarto, ecc)
1. Gestione dei Rifiuti (2,1 mld). Gli interventi si concretizzano in due azioni specifiche:
Nuovi impianti (1,5 mld) per il trattamento/riciclaggio di rifiuti.
Rete di raccolta (0,6 mld): potenziamento strutture per il differenziato.
2. Filiera agroalimentare (2,8 mld)
Logistica settori particolari (0,8 mld): sviluppo rete intermodale specifica per i settori della pesca, agroalimentare, silvicultura e vivaismo.
Parco agrisolare (1,5 mld): sostegni per diffusione pannelli fotovoltaici su impianti agricoli, su di una superficie complessiva senza consumo di suolo pari a 4,3 milioni di mq.
Innovazione (0,5 mld): contributi in conto capitale l’ammodernamento dei macchinari agricoli.
3. Sviluppare progetti integrati (0,4 mld). Implementazione in aree limitate di sistemi sostenibili integrali:
Isole verdi (0,2 mld): intervento su 19 piccole isole per renderle totalmente green (energia e mobilità).
Green communities (0,1 mld): intervento su 30 piccole aree di montagna e rurali, per renderle green.
Cultura ambientale (0,03 mld):
M2. Seconda componente: energia rinnovabile.
È una delle singole componenti più significative del piano, 23,8 mld di euro: è focalizzata sulle politiche di decarbonizzazione, per incrementare la quota di energie rinnovabili. L’attuale target italiano per il 2030 è pari al 30% dei consumi finali, rispetto al 20% stimato preliminarmente per il 2020.
1. Fonti di energia rinnovabile (5,9 mld). Si estendono con questa misura le fonti di energia rinnovabili, anche omogeneizzando le autorizzazioni, semplificando le procedure per impianti off-shore e quelle per la valutazione di impatto ambientale [conoscendo le vicende dell’eolico in alcuni territori e i rischi ambientali off-shore, tutta questa semplificazione ha aspetti preoccupanti].
Agro voltaico (1,1 mld): promozione di sistemi ibridi che non compromettano l’utilizzo dei terreni dedicati all’agricoltura, ma contribuiscano alla sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte, anche valorizzando i bacini idrici tramite soluzioni galleggianti;
Rinnovabili e autoconsumo (2,2 mld): sostegno a comunità energetiche e strutture collettive di autoproduzione, in particolare per pubbliche amministrazioni, famiglie e microimprese in Comuni con meno di 5.000 abitanti, sostenendo così l’economia di aree a rischio di spopolamento.
Sistemi off-shore (0,8): sostegno a investitori nazionali ed esteri per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile off-shore per circa 490 GWh anno.
Impianti biogas agricoli (1,9 mld): riconversione e miglioramento dell’efficienza di siti esistenti, contributo del 40% dell’investimento per nuovi impianti, creazione di poli consortili per il trattamento, promozione della sostituzione di veicoli meccanici obsoleti, ecc.
2. Infrastrutture di rete (4,1 mld). Interventi per efficientare la rete di distribuzione elettrica.
Distribuzione di energia elettrica (3,6 mld): sviluppare le capacità di rete di integrare ulteriore generazione da fonti rinnovabili per 4000 MW, anche tramite sviluppo smart grid su 115 sottostazioni primarie e la relativa rete, aumentare capacità e potenza delle utenze per nuovi consumi [1.850.000 utenti].
Resilienza climatica reti (0,5 mld): aumentare la capacità di resistenza delle reti a eventi climatici estremi.
3. Idrogeno (3,2 mld). Promozione produzione, distribuzione e uso finale, particolarmente in campo industriale e nel trasporto pesante. Cioè, una parte consistente delle risorse (qui come in altre misure) si indirizza alla filiera dell’idrogeno [molto discussa per la sua dipendenza da impianti centralizzati e i suoi costi energetici, vedi l’interessante contributo di Leonardo Setti], focalizzandosi anche nella riconversione di alcuni grandi siti [ENI, SNAM, l’ILVA di Taranto] e promuovendo discutibili interventi di Carbon Capture and Storage o Sequestration (come a Ravenna).
Produzione in aree industriali dismesse (0,5 mld): sviluppare una rete per l’idrogeno granulare, rivolto a PMI e stazioni per camion o trasporto pubblico locale (hydrogen valleys).
Settori hard-to-abate (2 mld): sviluppare impianti ad idrogeno rivolti a settori industria pesante molto carbonizzati, come chimici, raffinazione del petrolio, acciaio, cemento, vetro e carta.
Idrogeno per il trasporto stradale (0,2 mld): 40 stazioni di rifornimento per autocarri a lungo raggio, in aree e nodi strategici per i trasporti stradali pesanti.
Idrogeno per il trasporto ferroviario (0,3 mld): trasformazione di linee ferroviarie diesel, in aree con possibilità di sinergie con le stazioni di rifornimento per camion.
R&S (0,1): migliorare la conoscenza delle tecnologie legate all’idrogeno in tutte le fasi, sviluppando un relativo network su idrogeno verde; tecnologie per stoccaggio e trasporto, celle a combustibile; resilienza delle attuali infrastrutture.
4. Trasporto locale (8,6 mld). Sviluppo di reti di trasposto locale a basso inquinamento.
Cicli (0,6 mld): realizzazione di 570 km di piste ciclabili urbane e metropolitane e di circa 1.250 km di piste ciclabili turistiche.
Trasporto rapido di massa (3,6 mld): realizzazione di metro (11 km), tram (85 km), filovie (120 km), funivie (15 km), principalmente in aree metropolitane. Pare evidente, per le dimensioni circoscritte dell’intervento, che la logica del piano privilegia interventi in fase avanzata di progettazione (limitandosi a quanto delineati, senza alcun nuovo impulso in altri territori).
Ricarica elettrica (0,7 mld): realizzare 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada e 13.755 in centri urbani.
Flotte verdi (3,6 mld): 3.360 bus a basse emissioni, 53 treni elettrici/idrogeno, 3.600 veicoli VVFF.
5. Leadership internazionale industriale (2 mld). L’intervento è finalizzato a potenziare alcune filiere industriali ad alta tecnologia, legate alla transizione green, in grado di competere a livello globale. In particolare, si prevede un intervento per:
Rinnovabili e batterie (1 mld): potenziare la filiera industriale del fotovoltaico, eolico, batterie per il settore dei trasporti e per il settore elettrico.
Idrogeno (0,5 mld): installazione di circa 5 GW di capacità di elettrolisi entro il 2030.
Bus elettrici (0,3 mld): espansione della capacità produttiva del paese.
Start up (0,2): un fondo dedicato focalizzato su settori specifici green, in startups, incubatori e programmi di accelerazione, affiancando i più rilevanti VC managers e operatori del sistema.
M2. Terza componente: riqualificazione edifici.
Quindici miliardi focalizzati sull’efficientamento energetico di edifici pubblici e privati, in maniera particolare finanziando sino al 2023 l’Ecobonus al 110% per l’edilizia residenziale.
1. Edifici pubblici (1,2 mld). Si prevede il finanziamento di un intervento focalizzato su due particolari tipologie di edifici pubblici: 195 edifici scolastici (0,8 mld), per un totale di oltre 410 mila mq, con conseguente beneficio su circa 58 mila studenti; 48 edifici giudiziari (0,4 mld).
2. Edilizia residenziale (13,8 mld). Appunto l’estensione dell’ecobonus al 110% dal 2021 al 2022 per i condomini e al 2023 per l’edilizia popolare, con condizione lavori al 60% entro 2022, prevedendo anche semplificazione e accelerazione delle procedure per la realizzazione degli interventi.
3. Teleriscaldamento (0,2 mld). Finanziamento di progetti relativi alla costruzione di nuove reti o all’estensione di reti di teleriscaldamento esistenti: 330 km di reti di teleriscaldamento efficiente e recupero di calore di scarto per 360 MW: si ipotizza che il 65% delle risorse sia allocato per le reti (costo 1,3 mln a km) e il 35% circa a sia dedicato allo sviluppo di nuovi impianti (costo 0,65 mln a MW).
M2. Quarta componente: tutela del territorio.
Quindici miliardi sono previsti per una serie di misure volte alla protezione del territorio, a fronte dei cambiamenti climatici e delle fragilità idrogeologiche del paese. Viene previsto un sistema integrato di monitoraggio e previsione dei rischi, con sensori, dati satellitari ed elaborazione analitica delle informazioni. Inoltre, ci si propone l’obiettivo di redigere un piano di ripristino di aree protette.
1. Capacità previsionale (0,5 mld). Viene finanziata un sistema di monitoraggio che consenta di individuare e prevedere i rischi sul territorio: sistemi di osservazione satellitare, droni, sensoristica da remoto; sale controllo regionali, reti di telecomunicazione a funzionamento continuo, cybersecurity.
2. Dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità (8,5 mld). Vengono previste fondamentalmente due azioni, con un impiego significativo di risorse, che vengono però lasciate sostanzialmente vaghe (la seconda, di ben 6 miliardi, viene descritta in quattro righe esatte).
Rischio alluvione (2,5 mld): messa in sicurezza da frane o rischi allagamento e misure non strutturali previste dai piani di gestione del rischio idrico e di alluvione, focalizzati sul mantenimento del territorio, sulla riqualificazione, sul monitoraggio e sulla prevenzione.
Resilienza e efficienza energetica (6 mld). I lavori riguarderanno un insieme eterogeneo di interventi (di portata piccola e media) da effettuare nelle aree urbane la messa in sicurezza del territorio, la sicurezza e l’adeguamento degli edifici, l’efficienza energetica e i sistemi di illuminazione pubblica.
3. Salvaguardare aria e biodiversità (1,69 mld): sono una serie di specifiche misure di tutela ambientale.
Verde urbano (0,3 mld): interventi su 14 città metropolitane per sviluppare boschi urbani e periurbani, piantando almeno 6,6 milioni di alberi (6.600 ettari di foreste urbane).
Digitalizzazione dei parchi nazionali (0,1 mld): conservazione, servizi ai visitatori, semplificazione amministrativa e monitoraggio nei 24 parchi nazionali e nelle 31 aree marine protette.
Rinaturazione dell’area Po (0,4 mld): riqualificazione del corso del Po, ricreando zone naturali.
Bonifiche (0,5 mld): interventi in aree inquinate, per dare al terreno un secondo uso, favorendo il suo reinserimento nel mercato immobiliare e riducendo l’impatto ambientale.
Aree marine (0,4 mld): intervento di mappatura dei fondali marini per il ripristino degli habitat (navi da ricerca aggiornate), con l’obiettivo del 90% dei sistemi mappati e monitorati, il 20% restaurati.
4. Risorse idriche (4,4 mld). Intervento volto a conservare le risorse idriche, tenendo presente che oggi la dispersione media è del 41% (51% al Sud).
Infrastrutture primarie (2 mld): 75 progetti di manutenzione straordinaria e potenziamento di derivazioni, stoccaggio e fornitura primaria.
Riduzione perdite (0,9 mld): interventi di riduzione delle perdite nelle reti per l’acqua potabile (-15% su 15k di reti idriche), con monitoraggio nodi principali e punti sensibili della rete.
Agrosistema irriguo (0,9 mld) investimenti infrastrutturali su reti e sistemi irrigui, per avere il 12% delle aree agricole con sistemi più efficienti (vs. 8% ad oggi).
Depurazione (0,6 mld) efficientizzazione depurazione delle acque reflue, anche attraverso l’innovazione tecnologica, al fine di azzerare i 3,5 milioni di abitanti ad oggi in zone non conformi.
M3. MOBILITA’ SOSTENIBILE: 25,1 mld
Due componenti: rete ferroviaria (24,8 mld) e intermodalità (0,4 mld).
Questa missione si focalizza sostanzialmente sulla mobilità ferroviaria, per oltre metà (13 miliardi) sulla TAV, in particolare sulla TAV nel nord Italia (8 miliardi di euro), mentre al sud si prevede sostanzialmente soltanto un adeguamento delle attuali linee (che riduce lievemente i tempi di percorrenza, mantenendo le velocità massime sui 200 km/h). Colpisce cioè immediatamente in questa missione la focalizzazione su progetti e linee di sviluppo già attualmente praticate da RFI, con solo una parziale intervento nella disastrata situazione del centrosud del paese, sulle grandi aree metropolitane e sulla mobilità regionale. Si conferma cioè l’assetto centrato sulla reddittività (a spese dei grandi investimenti pubblici) dell’assetto ferroviario italiano, non sulla sostenibilità e il servizio ai cittadini.
M3. Prima componente: rete ferroviaria.
1. Rete ferroviaria (24,8 mld). Una delle singole componenti più rilevanti del piano.
TAV sud (4,6 mld): finanziamento della Napoli-Bari (riduzione viaggi a 2 ore, rispetto ad attuali 3,5 ore), avanzamento Palermo-Catania-Messina (riduzione da 3 a 2h) e primi lotti funzionali Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia.
TAV nord (8,6 mld): Milano-Venezia, Verona-Brennero e Liguria-Alpi, migliorando i collegamenti d’Oltralpe con i porti di Genova e Trieste.
Diagonali (1,6 mld): Roma-Pescara e Orte-Falconara, alcune tratte intermedie della linea Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia.
ERTMS (2,9 mld): estensione nazionale del European Rail Traffic Management System, sistema di gestione, controllo e protezione del trasporto ferroviario. Uno degli elementi di base per la sicurezza ferroviaria per prevenire gli incidenti tipici di maggior pericolosità (collisioni, rottura della rotaia e/o occupazione del binario, presenza di taluni ostacoli in linea, ecc.), non a caso diversi incidenti degli ultimi anni sono proprio dovuti ai ritardi di installazione su alcune linee.
Nodi metropolitani (2,9 mld): potenziare i collegamenti urbani e suburbani di 12 aree metropolitane.
Linee regionali (0,9 mld) e Ferrovie del sud (2,4): potenziamento (standard tecnici della rete nazionale) o elettrificazione di alcune linee (tra cui Canavesana, Torino-Ceres, Bari-Bitritto, Rosarno-San Ferdinando, Sansepolcro-Terni, Benevento-Cancello, Ferrovie del Sud-Est e Ferrovie Appulo Lucane), oltre che interventi di ultimo miglio ferroviario per la connessione di porti (Taranto e Augusta) e aeroporti (Salerno, Olbia, Alghero, Trapani e Brindisi).
Stazioni del sud (0,7 mld): 9 progetti di riqualificazione e sviluppo di nodi ferroviari (Villa S. Giovanni, Messina Centrale e Marittima, Benevento, Caserta, Bari, Taranto, Lecce, Crotone, la linea L2 della metropolitana di Napoli), oltre che di 30 stazioni del circuito Easy&Smart (tra cui Pescara, Potenza, Barletta, Lamezia Terme, Cosenza, Reggio Calabria Lido, Sapri, Oristano e Palermo Notarbartolo, Milazzo, Marsala e Siracusa).
2. Sicurezza stradale 4.0. (0 mld). Un’azione su cui non è inserita nessuna risorsa (!!!), volta semplicemente al trasferimento della titolarità di ponti, viadotti e cavalcavia sulle strade di secondo livello a quelle di primo livello (autostrade e strade statali), cioè all’ANAS, realizzando quindi omogeneità della classificazione e della gestione del rischio, oltre che sul monitoraggio.
M3. Seconda componente: intermodalità.
Una delle componenti su cui sono previste meno risorse nel piano (di fatto, un’azione), solo 400 milioni di euro, sull’intermodalità e lo sviluppo del sistema portuale.
1. Sviluppo del sistema portuale (0 mld). Un’azione senza risorse, di semplice revisione normativa, con l’aggiornamento della pianificazione portuale sia a livello del Documento di Pianificazione Strategica di Sistema (DPSS) sia a livello di Piano Regolatore Portuale (PRP) [sfugge la ragione di inserirlo nel PNRR, se non usare la sua leva bonapartista per imporlo a soggetti e territori], oltre che la predisposizione di un regolamento che definisce l’aggiudicazione competitiva delle concessioni nelle aree portuali [liberalizziamo!] e la realizzazione di procedure semplificate per le infrastrutture finalizzate alla fornitura di energia elettrica da terra alle navi durante la fase di ormeggio. [Mi sfugge se queste procedure siano realmente complicate o se sia una strategia per dare un tocco green a interventi sui porti che hanno evidentemente altra natura].
2. Intermodalità (0,4 mld). La misura prevede una serie di interventi normativi di semplificazione realizzando uno Sportello Unico dei controlli, la interoperabilità dei diversi sistemi di gestione dati dei porti italiani [Port Community System] e la digitalizzazione dei documenti di trasporto (eCMR).
Digitalizzazione di porti e aeroporti (0,2 mld), anche per gestire la digitalizzazione dei documenti di trasporto.
Innovazione digitale sistemi aereoportuali (0,1), per migliore e collegare i vari siti operativi dei sistemi di assistenza al volo, piattaforme e servizi di aerei senza pilota, sviluppo cybersecurity.
M4. ISTRUZIONE E RICERCA: 30,9 mld
Due componenti: Offerta servizi (19,5 mld) e Da ricerca a impresa (11,4 mld).
L’intervento su istruzione e ricerca interviene su tutta la filiera (dagli asili nido all’università), anche con importanti riforme di sistema. In tutta la missione emerge con prepotenza la centralità dell’impresa. In pratica, non ci si focalizza sul recupero dell’ultimo decennio, in cui (in controtendenza rispetto ai paesi OCSE) si è proceduto a imponenti tagli e razionalizzazioni (determinando un sostanziale rattrappimento di scuola e università). Non ci si focalizza nemmeno sui parametri di base del sistema (per risolvere diseguaglianze e sperequazioni che si sono moltiplicate, anche prima della pandemia; indicativo a questo proposito che scompare dal PNRR qualunque riferimento all’obbligo a 18 anni). Ci si focalizza invece sulla funzionalizzazione al mercato del lavoro. Tale aspetto diventa poi esorbitante nella seconda componente, sin dal titolo (da ricerca a impresa), non solo perseguendo i percorsi degli ultimi vent’anni (dall’uso selvaggio del precariato alla competizione tra atenei), focalizzandosi sostanzialmente su Sviluppo e Trasferimento Tecnologico, prevedendo esplicitamente strutture integrate pubblico/privato.
M4. Prima componente: offerta servizi.
La prima componente, con oltre 19 miliardi di euro, si focalizza sui percorsi educativi e formativi. Gli interventi alternano azioni e riforme, più o meno collegate, più o meno innovative (una caratteristica della missione istruzione è quella di inserire nel PNRR interventi normativi da tempo programmati o comunque relativamente autonomi dalle azioni del piano). Per maggior chiarezza presentiamo questi interventi in due blocchi, uno relativo alle riforme ed uno relativo alle azioni.
RIFORME.
Riforma dell’organizzazione del sistema scolastico: si introduce l’obbiettivo della riduzione del numero degli alunni per classe e del dimensionamento della rete scolastica [bene]. Però tale obbiettivo è inscritto in una proposta (a cui tiene in particolare l’attuale Ministro Bianchi) di superamento dell’identità tra classe demografica e aula, anche al fine di rivedere il modello di scuola. Cioè si propone di far saltare l’attuale collegamento tra classe, aula e organico [centralità del gruppo classe con un impianto educativo e cooperativo] e si delinea un impianto incerto nel rapporto studenti/docenti [non a caso si precisa che questa soluzione consentirà di affrontare situazioni complesse sotto numerosi profili, ad esempio le problematiche scolastiche nelle aree di montagna, nelle aree interne e nelle scuole di vallata]. Si stravolge cioè il modello scolastico inclusivo, prevedendo che tale riforma sia conclusa nel 2021 [altro che Buonascuola di Renzi!].
Riforma degli istituti tecnici e professionali: allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo. In pratica, con la successiva riforma (e la sua integrazione con le lauree professionalizzanti), si rivede tutta la filiera formativa tecnica, funzionalizzandola più strettamente alle esigenze dell’impresa [tornando per certi versi ad un modello duale di matrice tedesca, con una netta separazione tra percorsi formativi superiori e percorsi di avviamento professionale).
Riforma sistema degli ITS: revisione del loro modello organizzativo e didattico, prevedendo una maggior integrazione con il sistema imprenditoriale del territorio [si torna cioè alle scuole di fabbrica degli anni ’50 e ’60] e con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti (delineando evidentemente un sistema di riconoscimento di crediti e competenze).
Riforma del sistema di Orientamento: si prevede nei curricula 30 ore annue di orientamento nella scuola secondaria, ma anche (incongruamente) la sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali (cioè il taglio di un anno di scuola, a proposito di aumento del tempo scuola), da 100 a 1000 classi.
Riforma delle classi di laurea: si prevede di flessibilizzare l’attuale sistema ordinamentale, che inquadra nazionalmente i piani di studi universitari. L’attuale sistema ha sino ad oggi permesso di tenere un impianto didattico relativamente omogeneo tra le università, senza le differenze di livello del modello USA. Si prevedono in particolare queste flessibilità nella triennale (come per certi versi proprio nel modello USA, dove hai sostanzialmente due Bachelor, Arts and Science), consentendo quindi una specializzazione durante le lauree magistrali (MSc) o i dottorati (PhD).
Riforma delle lauree abilitanti: semplificazione delle procedure per l’abilitazione all’esercizio delle professioni, rendendo l’esame di laurea coincidente con l’esame di stato in una serie di aree.
Riforma del sistema di reclutamento dei docenti: si rafforza l’anno di formazione. In questo quadro (molto generico e vago) viene prevista l’istituzione di una Scuola di Alta Formazione, confunzioni di indirizzo e coordinamento (che quindi tende a trasformare un diritto soggettivo in un obbligo indirizzato nazionalmente), precisando che tale formazione si svolgerà solo on line.
Riforma dei dottorati: si semplificano procedure di istituzione, per coinvolgere imprese e centri di ricerca, nonché per rafforzare le misure dedicate alla costruzione di percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica (appunto, con centralità dell’impresa).
INVESTIMENTI.
1. Miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo (10,6 mld). Oltre metà delle risorse della componente si focalizzano su una serie di misure nei diversi gradi di scuola. Da sottolineare gli interventi ai poli opposti del percorso formativo (asili e infanzia; università), non solo inferiori alle attese (non si prevede una reale copertura nazionale dell’infanzia, né si mantiene o estende la no tax area negli Atenei), ma con impostazioni molto negative (non si distingue tra asili e scuole di infanzia, rilanciando il modello 0/6; si integra i privati nei servizi universitari).
Piano per asili nido e scuole dell’infanzia (4,6 mld): si prevede la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza di asili e scuole dell’infanzia, con la creazione di circa 228.000 nuovi posti (+66%). C’è quindi un ampliamento, anche se limitato, ben distante però dall’ipotesi di rendere obbligatoria la scuola d’infanzia, come richiesto da FLC. Inoltre, non si si distingue tra asili nido (servizio di welfare) e scuola d’infanzia (scuola), nella logica 0/6 delineata dalla Legge 107/2015 (la Buonascuola) e si mantiene nel vago la gestione delle strutture (pubblico o privato).
Estensione del tempo pieno (1 mld): costruzione o la ristrutturazione degli spazi mensa, per un totale di circa 1.000 edifici.
Infrastrutture per lo sport a scuola (0,3 mld): costruire o adeguare circa 400 palestre o strutture sportive, per facilitare anche l’apertura della scuola oltre l’orario scolastico ad associazioni e comunità.
Riduzione dei divari territoriali (1,5 mld): sotto questa voce compare, in primo luogo, il consolidamento dei test PISA/INVALSI (in una prima versione era l’obbligo), oltre che il potenziamento delle competenze di base, con sessioni di mentoring on line individuale (3h) e di recupero formativo (per 17h ca.) per circa 120.000 studenti 12-18 anni, e 10h di mentoring individuale on line per 350.000 giovani tra i 18-24 anni (da parte di chi, verrebbe da chiedere).
Sviluppo ITS (1,5 mld): incremento del numero, formazione docenti (perché siano in grado di adattare i programmi ai fabbisogni delle aziende locali), aumento iscritti di almeno il 100% (circa 20mila).
Orientamento (0,2 mld): 50.000 corsi brevi per comprendere l’offerta universitaria e colmare i gap (a partire dal terzo anno della scuola superiore) e la stipula di 6000 accordi scuola-università.
Alloggi per gli studenti (1 mld): realizzazione nuove strutture con la copertura del MUR degli oneri per i primi tre anni di gestione. L’obiettivo è triplicare i posti (da 40mila a 120mila entro il 2026). Come? Aprendo a investitori privati, o partenariati pubblico-privati, con tassazione simile all’edilizia sociale, che però consenta l’utilizzo flessibile dei nuovi alloggi quando non necessari l’ospitalità studentesca e mitigando i requisiti di legge relativi allo spazio comune per studente disponibile negli edifici in cambio di camere (singole) meglio attrezzate [sic!!].
Borse università (0,5 mld): obbiettivo di aumentare in media di 700 euro l’importo delle borse di studio (per arrivare a 4.000 euro per studente) e ampliare, nel contempo, anche la platea dei beneficiari (ampliare, non coprire chi ha diritto: si commenta da sola!).
2. Processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti (0,8 mld). In relazione alla riforma sopra delineata, si destinano 3 milioni alla creazione della Scuola di Alta formazione [nel PNRR, con un investimento così limitato, solo per imporla come centro di indirizzo della formazione] e 800 milioni per promuovere e ampliare le competenze digitali dei docenti (favorire un approccio accessibile, inclusivo e intelligente all’educazione digitale), coinvolgendo 650.000 docenti.
3. Ampliamento competenze e infrastrutture (7,6 mld). Questi interventi si focalizzano da una parte sul miglioramento delle infrastrutture, dall’altro su nuove competenze degli studenti.
Nuove competenze (1,1 mld): viene previsto un corso obbligatorio di coding per tutti gli studenti nell’arco del loro ciclo scolastico e lo sviluppo di azioni didattiche non basate solo sulla lezione frontale, con l’integrazione nei curricula di tutti i cicli di attività, metodologie e contenuti volti a sviluppare le competenze STEM. A questo si aggiungono attività per promuovere il multilinguismo (incremento corsi, mobilità internazionale di studenti e docenti stranieri verso l’Italia), realizzazione di un sistema digitale per il monitoraggio delle abilità linguistiche con il supporto di enti certificatori.
Scuola 4.0 (2,1 mld): sviluppo di connected learning environments in 100mila classi, cablaggio interno di circa 40.000 edifici scolastici e relativi dispositivi.
Messa in sicurezza (3,9 mld) di una parte degli edifici, favorendo una progressiva riduzione dei consumi.
Didattica universitaria (0,5 mld): creazione di 3 Teaching and Learning Centres per migliorare le competenze di insegnamento a scuola e nelle università; sviluppo di Digital Education Hubs (DEH) per migliorare la capacità del sistema di istruzione superiore di offrire istruzione digitale a studenti e lavoratori universitari.
4. Dottorati (0,4 mld). In attuazione della relativa riforma, il progetto mira ad aumentarli di 3.600 unità, con tre cicli a partire dal 2021, ciascuno dotato di 1.200 borse di studio (su circa 8mila annue).
M4. Seconda componente: dalla ricerca all’impresa.
Gli oltre 11 miliardi di questa componente si rivolgono a indirizzare la ricerca alle imprese e al trasferimento tecnologico. Vengono previsti consorzi e centri, esterni al sistema nazionale degli Enti Pubblici di Ricerca e delle Università, che hanno la funzione di coinvolgere i privati. Un intervento che non solo moltiplica la precarietà (in un settore che, su circa 70/75mila posizioni in ruolo, vede già diverse decine di migliaia di precari popolare laboratori e aule), ma introduce anche ulteriori divergenze in una sistema che ha già visto negli ultimi anni una distribuzione sempre più premiale, volta a favorire le cosiddette eccellenze (spesso grandi strutture del nord). Infatti, in questa direzione si muovono sia finanziamenti selettivi come i bandi PRIN (che con gli attuali criteri tendono a concentrarsi in alcune realtà), sia i criteri generali per i nuovi centri a bando, che saranno ispirati a: massa critica; impatto di lungo termine (cofinanziamento di capitale privato); ricadute sul sistema economico e produttivo. Così si favorisce le strutture principali, che già hanno “massa critica”, rapporti con territori di riferimento ricchi e con il suo apparto produttivo.
1. Rafforzamento della ricerca (6,1 MLD). Questa azione si propone di finanziare la ricerca, indirizzando alcuni interventi agli obbiettivi generali del sistema-paese e alle imprese (vedi riferimento a PNR, centri nazionali e territoriali), più che recuperare e sviluppare la ricerca di base e le strutture fondamentali (università e EPR), colpite da dieci anni di tagli.
PNR e PRIN (1,8 mld): i PRIN sono bandi di ricerca non direzionati, assegnati secondo la solidità scientifica dei proponenti. Il PNR individua invece sei precisi cluster: salute; cultura umanistica, creatività, trasformazioni sociali, una società dell’inclusione; sicurezza per i sistemi sociali; digitale, industria, aerospaziale; clima, energia, mobilità sostenibile; prodotti alimentari, bioeconomia, risorse naturali, agricoltura, ambiente.
Progetti giovani (0,6 mld): 2100 bandi su modello European Research Council – ERC – e Marie Curie, vincolata all’assunzione di almeno un ricercatore (precario) e con brevi periodi di mobilità.
Partenariati allargati (1,6 mld): 15 programmi di ricerca e innovazione, sulla base delle priorità del PNR, con circa 100 ricercatori per ogni programma.
Campioni nazionali (1,6 mld), realizzati in collaborazione tra Università, centri di ricerca e imprese (sottolineata la presenza di soggetti privati), un modello hub and spoke (strutture decentrate), selezionati con procedure competitive e con una soglia critica di capacità di ricerca e innovazione (simulazione avanzata e big data, ambiente ed energia, quantum computing, biofarma, agritech, fintech, tecnologie per la transizione digitale industriale, mobilità sostenibile, tecnologie applicate e patrimonio culturale, tecnologie per la biodiversità), anche per creare start-up e spin off.
Centri territoriali R&S (1,3 mld), con Università, centri di ricerca, società e istituzioni locali, definite sulla base delle vocazioni territoriali (cioè volte a supportare le imprese della zona): nello specifico si prevede 12 “campioni territoriali di R&S” (esistenti o nuovi), in grado di sviluppare dottorati industriali, in particolare con PMI del territorio; supportare start-up; stimolare le capacità innovative delle imprese.
2. Innovazione e trasferimento tecnologico (2,05 mld). Questa azione si propone di finanziare in particolare centri e progetti rivolti al trasferimento tecnologico.
Ipcei (1,5 mld): finanziamenti a Importante Progetti di Interesse Comune Europeo, nati su piattaforme europee e inseriti nelle sei filiere strategiche continentali (più o meno quelle del PNR), favorendo la collaborazione tra settore pubblico e privato.
Horizon (0,2), partenariati europei, focalizzati su alcune materie: High Performance Computing, Key digital technologies, Clean energy transition; Blue oceans, Innovative SMEs.
Centri di trasferimento tecnologico (0,3 mld); una rete di 60 centri (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale) incaricati dello sviluppo di progettualità ed erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati, in abbinamento con fondi privati (condizione essenziale per garantire la sostenibilità dei centri).
3. Potenziamento condizioni di supporto (2,5 mld). L’ultima misura è quella che dovrebbe intervenire sul sistema della ricerca e dell’università, cercando di sostenere infrastrutture e condizioni di base minate dai tagli e dal rattrappimento del sistema dell’ultimo decennio. Non solo sono risorse ridotte, ma sono nuovamente finalizzate al sistema imprenditoriale.
Infrastrutture di ricerca e innovazione (1,6 mld): 30 progetti infrastrutturali (esistenti o nuovi), con un research manager, che colleghino il settore industriale con quello accademico, su base competitiva di rilevanza pan-europea o dedicate, con investimenti pubblici e privati.
Start up (0,3 mld): iniziativa per sostenere il Venture Capital in Italia, dedicato a 250 piccole e medie imprese innovative con investimenti per 700 milioni di euro (in media 1,2 mln euro a impresa).
Dottorati industriali (0,6 mld): istituzione di programmi di dottorato dedicati, con il contributo e il coinvolgimento delle imprese e incentivi all’assunzione di ricercatori precari junior da parte delle imprese. Si prevede 5.000 borse per 3 anni, con il cofinanziamento privato e l’incentivo all’assunzione di 20.000 assegnisti di ricerca o ricercatori da parte delle imprese.
M5. INCLUSIONE E COESIONE: 19,8 mld
Tre componenti: Politiche per il lavoro (6,6 mld), Infrastrutture sociali (11,2 mld), coesione (2 mld).
Questa missione è quella che dovrebbe esser dedicata, con quasi 20 miliardi, a ridurre diseguaglianze e garantire migliori livelli di occupazione, con uno specifico sforzo al sostegno all’empowerment femminile e al contrasto alle discriminazioni di genere, all’ incremento delle prospettive occupazionali dei giovani, di riequilibrio territoriale e sviluppo del Mezzogiorno. Come vedremo, si pone molta attenzione alle politiche attive (secondo una logica da Hartz IV, cioè da reinserimento forzato nel mercato del lavoro senza guardare alla sua qualificazione ed alla salvaguardia di salari e diritti) e a interventi infrastrutturali (piani urbani, con un indirizzo che vede centralità nell’housing sociale e nel terzo settore, cioè non il rilancio delle strutture pubbliche ma il protagonismo di soggetti privati) in queste azioni infatti si impegnano oltre 15 dei quasi 20 miliardi previsti. Anche in questo settore, non si registra una svolta rispetto agli interventi degli ultimi decenni.
M5. Prima componente: politiche per il lavoro.
Questa componente, che incide per oltre sei miliardi, si concentra essenzialmente sulle politiche attive del lavoro (formazione).
1. Politiche attive (6 mld). L’intervento si concentra in particolare nella prima azione e in un paio di interventi ancillari.
Riforma Politiche lavoro (4,4 mld): ampia riforma delle politiche attive e della formazione professionale, creando un piano nazionale [Garanzia di occupabilità dei lavoratori, in cui appunto si sottolinea occupabilità e non occupazione, cioè intervenendo su competenze e responsabilità del singolo non su fattori strutturali], volto a impattare sui percettori di Reddito di Cittadinanza, NASPI e CIGS, con una definizione livelli essenziali delle prestazioni (vista l’eccessiva eterogeneità dei servizi erogati a livello territoriale), realizzando un Piano Nazionale Nuove Competenze con attività di upskilling e reskilling (Fondo nuove competenze con accordi sindacali).
Centri impiego (0,6 mld). In questo quadro si potenzieranno i centri, 400 milioni di euro vi sono già destinati, altri 200 saranno aggiuntivi (osservatori regionali sul mercato del lavoro, analisi fabbisogni, certificazione competenze, integrazioni servizi, ecc).
Impresa femminile (0,4 mld), dedicando fondi a progetti aziendali innovativi per imprese già costituite e operanti a conduzione femminile (cioè, sostenendo l’imprenditorialità e non l’occupazione di qualità, ed anche qui si commenta da sola l’impostazione ideologica contenuta nel piano).
Sistema duale (0,6 mld): corsi di formazione che rispondano alle esigenze delle imprese e del tessuto produttivo locale, per rendere i sistemi di istruzione e formazione più in linea con i fabbisogni del mercato del lavoro (sic).
2. Servizio civile universale (0,65): viene previsto un intervento per potenziare il Servizio Civile Universale, stabilizzando il numero di operatori volontari, promuovendo così l’acquisizione di competenze chiave per l’apprendimento permanente (soft skills, competenze personali, sociali, ecc): cioè, anche il servizio civile è visto semplicemente come strumento di sviluppo del capitale umano.
M5. Seconda componente: infrastrutture sociali.
Undici miliardi sono più direttamente ad intervenire e ridurre diseguaglianze e marginalità sociali. Nove di questi miliardi, però, in sostanza si concentrano su interventi urbani, che vedono protagonisti soggetti privati (housing sociale e terzo settore).
1. Servizi sociali (1,4 mld). Questa azione, relativamente ridotta, si focalizza sul supporto ad alcuni servizi rivolti ad alcune situazioni di marginalità sociale:
Anziani non autosufficienti (0,5 mld): sviluppo di servizi territoriali per prevenire l’istituzionalizzazione e riconversione RSA in gruppi di appartamenti autonomi.
Disabilità (0,5 mld): supporto al processo di deistituzionalizzazione, fornendo servizi sociali e sanitari di comunità o domiciliari.
Housing temporaneo (0,4 mld): rivolto ai senza casa, con appartamenti sino a 24 mesi per piccoli gruppi o famiglie, servizi integrati volti a promuovere l’autonomia e l’integrazione sociale, stazioni di posta per il ricovero d’emergenza con servizi di base.
2. Rigenerazioni urbane (9,2 mld). La parte più consistente non solo della componente ma di tutta la Missione, mira a interventi infrastrutturali contro il degrado urbano.
Superamento degrado (3,3 mld): rivolta a Comuni superiore ai 15.000 abitanti, prevede contributi per investimenti nella rigenerazione urbana, al fine di ridurre le situazioni di emarginazione e degrado, rifunzionalizzando aree e strutture edilizie pubbliche, compresa la demolizione di opere abusive.
Piani urbani (2,9 mld): rivolta alle periferie delle Città Metropolitane e prevede una pianificazione urbanistica partecipata, coprogettazione con il Terzo settore, recupero di soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori del settore agricolo e per quello industriale, con uno specifico intervento rivolto anche a insediamenti irregolari in aree agricole.
Qualità dell’abitare (2,8 mld): nuove strutture di edilizia residenziale pubblica, per ridurre le difficoltà abitative, ma anche sviluppo dell’housing sociale (entrambe senza consumo di suolo): non è chiaro quanto spazio sarà dato all’uno o all’altro.
3. Sport (0,7 mld): realizzazione di impianti sportivi e parchi urbani attrezzati, al fine di favorire l’inclusione e l’integrazione sociale, soprattutto nelle zone più degradate
M5. Terza componente: Coesione territoriale.
Gli ultimi due miliardi della Missione sono dedicate alle aree territoriali marginali, focalizzando oltre che l’intervento nelle aree interne una riforma delle Zone Economiche Speciali (ZES), per semplificare il sistema di governance, favorire la cantierabilità degli interventi in tempi rapidi, favorire l’insediamento di nuove imprese. Le ZES sono aree del Mezzogiorno dotate di una legislazione economica di vantaggio: ad oggi: Regione Campania; Regione Calabria; Ionica Interregionale nelle regioni Puglia e Basilicata; Adriatica Interregionale nelle regioni Puglia e Molise; Sicilia occidentale; Sicilia orientale; Regione Abruzzo. È in fase finale l’istituzione della ZES Regione Sardegna.
Aree interne (0,8 mld): si prevede trasferimenti destinati alle autorità locali per d’infrastrutture sociali (servizi ad anziani, giovani, socio-assistenziali, etc.), anche facilitando l’accessibilità ai territori e i collegamenti con i centri urbani. Si prevede in particolare il consolidamento delle farmacie rurali convenzionate, per sviluppare servizi assistenza domiciliare, prestazioni di secondo livello, monitoraggio pazienti, ecc.
Confische mafie (0,3 mld): intervento per riqualificare e valorizzare almeno 200 beni confiscati alla criminalità organizzata.
Povertà educativa (0,2 mld): potenziamento dei servizi socio-educativi a favore dei minori, finanziando iniziative del Terzo Settore, nella fascia 0-6 anni e quelli di contrasto alla dispersione scolastica.
ZES (0,6): sviluppo dei collegamenti delle aree ZES con la rete nazionale dei trasporti.
M6. SALUTE: 15,6 mld
Due componenti: Reti di prossimità e telemedicina (2 mld); Innovazione tecnologica (8,6).
L’ultima Missione del PNRR interviene sulla sanità, un settore che non solo ha dovuto reggere il gravoso impatto dell’emergenza covid dal marzo 2020 in poi, ma che negli ultimi quindici anni ha subito un severo controllo delle risorse a disposizione (a fronte di bisogni di salute crescenti, con un taglio radicale di servizi e personale, oltre il 25% del comparto). Un settore che, inoltre, ha conosciuto negli ultimi vent’anni una progressiva regionalizzazione, con la creazione disfunzionale di oltre 21 sistemi sanitari territoriali (Regione e Province Autonome), che proprio a partire dalla budgettizazzione e della definizione dei LEA, hanno differenziato i servizi sanitari e sovvenzionato un crescente mercato privato, che si muove in convenzione concentrandosi sui servizi a maggior remunerazione. A fronte di questa realtà, il PNRR dedica al settore una parte ridotta delle risorse (quindici miliardi), la missione con mendo fondi tra tutte le sei. Non prevede nessuna reale riforma e rimessa in discussione, né dell’impianto del SSN e del sistema di accreditamento, né della sua sempre più insostenibile differenziazione territoriale. Non prevede neanche un intervento straordinario volto a recuperare gli interventi sanitari che, in questa lunga emergenza, sono stati sospesi o fortemente ritardati, con impatti di salute che saranno sempre più evidenti nei prossimi anni. La Missione, in realtà, si limita a due aree fondamentali: il potenziamento della rete territoriale, aggiornamento e l’innovazione tecnologica.
M6. Prima componente: Reti di prossimità.
I sette miliardi della componente si focalizzano sostanzialmente nello sviluppare strutture territoriali, ricreando un’infrastruttura che nel corso degli ultimi decenni era stata smantellata, in qualche modo delineando e razionalizzando una nuova organizzazione nel territorio. Inoltre, si prevede la riforma degli IRCCS [Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico], in cui sarà rafforzata la governance aziendale e il Direttore Generale [anche qui, non si coglie la valenza strategica di inserire tale riforma nel PNRR, se non usare la sua forza bonapartista nell’imporre processi evidentemente contrastati].
1. Rete territoriale (7 mld). L’azione è volta a finanziare sia il potenziamento degli attuali servizi domiciliare, sia la nascita di nuove realtà: le Case e gli Ospedali di comunità, in pratica consultori/poliambulatori di primo accesso all’insieme dei servizi sanitari e strutture a ricovero breve con assistenza infermieristica.
Case comunità (2 mld): creazione di un punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie, sul territorio, in cui ci saranno medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e assistenti sociali (1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026).
Assistenza e telemedicina (4 mld), potenziamento dei servizi domiciliari: 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari e sviluppo della telemedicina.
Cure intermedie (1 mld): realizzazione di 381 Ospedali di Comunità, ovvero strutture sanitarie a ricovero breve, dai 20 ai 40 posti letto e a gestione prevalentemente infermieristica.
M6. Seconda componente: Innovazione tecnologica.
I quasi nove miliardi della componente sono dedicati sostanzialmente ad azioni di ammodernamento e formazione, come di potenziamento della ricerca (anche qui, direttamente a fini industriali biomedici).
1. Aggiornamento tecnologico (7,4 mld). L’azione si struttura in tre parti:
Ammodernamento (4 mld): si prevede l’acquisto di 3.133 nuove grandi apparecchiature (TAC, risonanze magnetiche, Acceleratori Lineari, Sistema Radiologico Fisso, Angiografi, Gamma Camera, Gamma Camera/TAC, Mammografi, Ecotomografi); il potenziamento del digitale di 280 strutture sanitarie; il potenziamento della dotazione di posti letto di terapia intensiva (+3.500 per garantire lo standard di 0,14 posti letto di terapia intensiva per 1.000 abitanti) e semi-intensiva (+4.225 posti).
Ospedale sicuro (1,6 mld): 116 interventi di messa in sicurezza di edifici ospedalieri, adeguandoli alle vigenti norme in materia sismica.
Infrastruttura tecnologica (1,7 mld): implementazione generalizzata del Fascicolo Sanitario Elettronico e del Nuovo Sistema Informativo Sanitario per il monitoraggio dei LEA, con una programmazione di servizi in linea con i bisogni, l’evoluzione della struttura demografica della popolazione, i trend e il quadro epidemiologico.
2. Formazione e ricerca (1,2 mld). L’azione si struttura in due parti:
Ricerca SSN (0,5 mld): potenziamento della ricerca biomedica, con la predisposizione di prototipi per la commercializzazione e la mitigazione dei rischi potenziali (derivanti da eventuali brevetti, licenze o barriere all’entrata che potrebbero scoraggiare gli investitori), oltre che su malattie rare e altamente invalidanti.
Sviluppo competenze (0,7 mld).:900 borse di studio annue per tre anni in medicina generale e un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere (300mila coinvolti), corsi management (26mila) e 4.200 contratti di formazione specialistica.
IN CONCLUSIONE
Al termine di questa lunga esposizione, riportando dati presenti nel PNRR, possiamo sottolineare che il 61,8% delle risorse è destinato a investimenti pubblici, il 12,2% è costituito da spesa corrente, il 18,7% sono incentivi diretti alle imprese, il 5% trasferimenti alle famiglie e il 2,4% riduzioni di contributi datoriali. La spesa per investimenti in costruzioni è il 32,6% (dal restauro dei siti archeologici al superbonus, dal dissesto idrogeologico alla TAV, dalle scuole al recupero urbano: è la maggior componente del piano), seguita dai trasferimenti alle imprese (18,7%), dalla spesa per prodotti informatici ed ottici (12,4%), da piattaforme informatiche e database (3,8%).
La logica complessiva del piano, che abbiamo sottolineato nella prima parte di questo contributo, ci pare allora confermata. Appare cioè evidente, in tutte le missioni, l’impianto ordoliberale delle politiche che vi vengono promosse, da una parte con un sostegno diretto al sistema imprenditoriale, dall’altra con uso delle strutture pubbliche finalizzato agli interessi dell’impresa, in terzo luogo con l’uso bonapartista dello stesso PNRR per imporre riforme di sistema significativamente impattanti.
Un sostegno diretto al sistema imprenditoriale, evidente nella digitalizzazione (con l’estensione dei superammortamenti industria 4.0, il sostegno della filiera spaziale, l’internazionalizzazione delle PMI, lo sviluppo delle filiera turistica); nella transizione ecologica (con il sostegno ai parchi agrisolari, al circuito dell’idrogeno ed il supporto alla leadership internazionale nelle nuove tecnologie); nella mobilità (con la TAV e la focalizzazione di fatto sulla reddittività degli interventi); nella ricerca (con il coinvolgimento diretto nei centri nazionali e territoriali di ricerca, non solo nel trasferimento tecnologico); emerge persino nella coesione sociale (housing sociale e terzo settore) e nella sanità (quando si parla di ricerca).
Una funzionalizzazione forzata delle strutture pubbliche alle esigenze dell’impresa: nelle digitalizzazione (con il sostegno all’aziendalizzazione brunettiana della PA, la centralizzazione giudiziaria), nella mobilità (sviluppo del sistema portuale), nell’istruzione e nella ricerca (con la funzionalizzazione alle imprese e al mercato del lavoro di ITS, lauree professionalizzanti, dottorati; come tutta la componente ricerca), nella coesione sociale (le politiche attive del lavoro).
Un uso bonapartista del Piano: con l’inserimento di diverse riforme, DL e DDL nel PNRR, ci si garantisce non solo una corsia velocizzata, ma anche una leva quasi irresistibile per fare passare provvedimenti e revisioni di sistema che in questi anni hanno visto enormi difficoltà ad esser imposti: pensiamo non solo ai grandi temi (sottolineanti nella prima parte), della riforma della PA, della giustizia, della concorrenza o della semplificazione, ma ai tanti provvedimenti segnalati e, soprattutto, all’imponente mole di interventi su scuola e università (che rischiano di segnare a lungo il settore, uno di quelli che da Berlinguer a Moratti, da Gelmini a Renzi ha evidenziato negli ultimi vent’anni una grande capacità di resistenza e conflittualità.
Questo piano, cioè, se non verrà contrastato da parte del lavoro, se non troverà resistenze e non si avrà la capacità di ribaltarne gli assi ed alcuni specifici provvedimenti, rischierà di pesare a lungo, sulla nostra società ed anche nei rapporti di classe di questo paese.
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