DDI nella scuola: un’ipotesi di accordo da respingere e ribaltare.

Lo scorso weekend il Ministero dell’Istruzione ha provato a chiudere una trattativa lampo, per imporre nelle scuole un accordo che definisse compiti e doveri dei docenti nei confronti della didattica digitale in questa fase di emergenza.

Da quando si è instaurato il nuovo ministro (e la relativa dirigenza), il MI ha inaugurato una lunga stagione antisindacale, in cui ha costantemente perseguito unilateralità e forzature che hanno cercato di limitare se non smantellare il ruolo del sindacato e la salvaguardia dei diritti di lavoratori e lavoratrici dell’istruzione. Recuperando logiche e prassi della buonascuola (autonomia competitiva tra istituti, centralità dei DS, professionalizzazione dei docenti, indifferenza verso il personale ATA) ha stravolto i limitati impegni alla stabilizzazione del precariato di Bussetti e Fioramonti (imponendo un concorso selettivo e cancellando le ipotesi di PAS abilitante); ha imposto un atto unilaterale sulla mobilità; ha costantemente ignorato ogni confronto con le organizzazioni sindacali di settore nelle scelte cruciali di questi mesi. Persino l’emergenza sanitaria del covid 19, infatti, è stata occasione per cercare di dispiegare il suo modello di scuola, con una gestione al contempo direttiva (basti pensare alla circolare Bruschi della scorsa primavera, che entrava nelle scelte di organi collegiali e nella libertà di insegnamento) e disgregante (patti territoriali educativi e valorizzazione delle autonomie con piena libertà su orari, scelte organizzative e didattiche). Tanto che lo scorso 8 giugno le organizzazioni confederali hanno convocato uno sciopero politico, per sottolineare l’insostenibilità della situazione [uno sciopero tardivo, a scuole sostanzialmente chiuse, ma che rendeva evidente e denunciava il profilo delle scelte del MI].

Nella lunga estate, la scuola non ha avuto spazi, servizi e organici per riaprire in sicurezza. Non si è avuto la possibilità di garantire piccoli gruppi classe, reali bolle di isolamento per docenti e studenti, trasporti pubblici adeguati e sufficienti, il personale di supporto necessario (docente e ATA). Sarebbero servite risorse, si è invece scelto di riaprire con il minimo sforzo possibile. In un dibattito tragicomico lungo un’estate, invece di prevedere investimenti, si sono cambiati…i criteri: la distanza è stata compressa sino all’usuale parametro dei metri quadri per studente; la riduzione dei posti nei trasporti è passata senza colpo ferire dal 50 al 80%; le fragilità del personale sono state riviste per evitare che troppo…ne facciano uso. Quando è arrivata la seconda ondata studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici dell’istruzione, si sono trovati travolti dal caos di una gestione irresponsabile: la quantità enorme di cattedre scoperte, la mancanza di supplenti ancora da nominare, il moltiplicarsi di isolamenti e quarantene (per i contatti ripetuti nell’ambiente scolastico), i buchi negli orari e nella continuità didattica, la necessità sempre più diffusa di ricorrere nuovamente alla didattica digitale (prima alle superiori, poi anche negli altri ordini di scuola). L’ascesa della curva epidemica delle ultime settimane ha portato, ad un mese dalla riapertura della scuola, ad una rapida estensione della didattica digitale alle superiori (in molte regioni al 100%) ma anche in altri ordini di scuola. Una didattica nuovamente d’emergenza e improvvisata, senza risorse, senza strumenti e senza i supporti necessari (si è speso tanto per i banchi monoposto, in larga parte anche nemmeno arrivati nelle scuole, ma non si è investito in formazione, device, connessioni, personale necessario). Dietro il nuovo acronimo (DID, didattica digitale integrata), teso soprattutto ad occultare la solita didattica emergenziale, è rimasto solo il vuoto e l’improvvisazione, scaricata dal piano governativo sui singoli istituti scolastici, i docenti, il personale e gli studenti.

Il MI, anche su questo campo, aveva già agito in estate con atti unilaterali ed impositivi, emanando proprie Linee Guida sulla DID (DM 89 del 7 agosto 2020): non solo le organizzazioni sindacali, ma anche il CSPI le aveva profondamente criticate. Queste linee guida demandavano infatti il compito ai diversi istituti scolastici di adottare un Piano scolastico per la didattica digitale integrata (DDI), in cui si entrava significativamente non solo nelle scelte didattiche dei docenti (ad esempio imponendo a tutti i docenti di fare un numero molto consistente ore di videolezioni e la didattica mista alle superiori), ma anche nell’organizzazione e nei tempi di lavoro (ben oltre gli impegni previsti dal contratto). Rilievi e critiche che abbiamo approfondito nel dettaglio, anche con indicazioni su come comportarsi nelle scuole.

Il prossimo diffuso passaggio alla didattica digitale [sempre più poco o per nulla integrativa] ha portato il MI a ritenere necessario andare oltre le semplici Linee guida. Per questo si è deciso a perseguire la linea della contrattualizzazione, cercando di imporre l’aumento dell’orario di lavoro e il comando dell’amministrazione riducendo al minimo conflittualità e conteziosi. Una contrattazione nazionale, però, deve esser uno strumento di difesa del lavoro: per esserlo, in primo luogo, deve riuscire in maniera certa e determinata a garantire su tutto il territorio nazionale, in modo uniforme per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, le stesse prestazioni e gli stessi diritti. Senza ambiguità, senza lasciare spazi ad interpretazioni difformi e applicazioni diversificate. Altrimenti, anche la contrattualizzazione diventa un ulteriore passaggio di quel processo di valorizzazione dell’autonomia e dei dirigenti scolastici (in stile 107), con regolazioni diverse dei rapporti di lavoro istituto scolastico per istituto scolastico.

Questo doveva essere, al fondo, lo scontro tra i due diversi punti di vista a quel tavolo contrattuale: quello delle organizzazioni sindacali a difesa del lavoro e di un sistema nazionale dell’istruzione, quello del Ministero che si propone un modello di scuola competitiva, gerarchica e in cui il lavoro è totalmente subordinato all’amministrazione. Il testo definito nel corso dello scorso weekend a quel tavolo contrattuale, in una trattativa improvvisa e d’urgenza, ha visto però prevalere chiaramente il punto di vista ministeriale [e possiamo dire, nel quadro della mancanza di una mobilitazione determinata contro la riapertura confusa e inadeguata della scuola, difficilmente sarebbe potuto esser diverso: non è su un tavolo contrattuale, sul piano della tecnica contrattuale, che si ribaltano i rapporti di forza della realtà].

Il MI, in primo luogo, ha imposto una trattativa senza risorse e senza oneri aggiunti [premessa in prima pagina del CCNI: dalla presente contrattazione non può derivare in alcun modo un onere finanziario aggiuntivo o ulteriore per lo Stato rispetto a quanto stabilito dall’articolo 58, commi 5 e seguenti, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, e dall’articolo 7, comma 10-sexies, del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162]. Di fatto, il CCNI non si pone per nulla il problema di chi paga i costi diretti ed immediati della didattica a distanza (in primo luogo PC, eventuali programmi e connessioni). La risposta ministeriale, in fondo, è che i costi sono a carico del personale, perché hanno a propria disposizione anche la card docente. La card docente però non è stata definita (e finanziata) per pagare i costi della didattica a distanza, ma per integrare i costanti costi di aggiornamento di un insegnante (libri, spettacoli e anche device, ma device acquistati sino ad oggi nell’ottica di un uso individuale: spesso tablet e simile per leggere documenti e libri, non per garantire lezioni on line). Inoltre, la card non è a disposizione del vasto mondo del precariato (un quinto del personale), come segnalato da molte organizzazioni sindacali. Di fatto, questo CCNI scarica semplicemente su tutti i docenti il costo della propria attività lavorativa a distanza: il testo contrattuale, infatti, in modo ineffabile in modo vago, indeterminato e indeterminabile richiama gli strumenti informatici o tecnologici a disposizione [art 2, comma 1]. Tra l’altro omettendo totalmente il problema della possibilità che questi strumenti NON siano in realtà a disposizione [se non è possibile connettersi perché manca il device o la connessione?] e quindi scaricando problemi e responsabilità sul singolo lavoratore o lavoratrice.

In secondo luogo, il MI ha subito cercato un’evidente forzatura sull’orario di lavoro. Le stesse Linee guida emanate nel corso dell’estate hanno dovuto riconoscere che, in caso di didattica digitale, non è possibile riprodurre totalmente l’offerta formativa on line: ha quindi previsto, indicativamente, delle quote di riduzione degli impegni delle classi, diversi a seconda degli ordini di scuola. Il Ministero ha allora in primo luogo ipotizzato di istituire una sorta di banca ore annuale, tale per cui le prestazioni lavorative non erogate oggi (in emergenza) possono esser recuperate dopo mesi da parte dell’amministrazione scolastica, al bisogno. Tale tentativo è per fortuna caduto nel vuoto. Nel testo del contratto, però, in particolare all’articolo 2, è riuscito a definire con il comma 1 che qualora intervengano sospensioni dell’attività didattica in presenza, a causa dell’emergenza sanitaria in atto e si faccia ricorso alla DDI, il personale docente sarà tenuto al rispetto dell’orario di servizio nonché alle prestazioni connesse, ed al comma 2 ha ribadito Fermo restando l’orario di servizio settimanale dei docenti stabilito dal CCNL. Non è sufficiente che nell’art 3 (comma 1) il CCNI prevede che Il docente assicura le prestazioni previste ai sensi dell’articolo 2 in modalità sincrona al gruppo classe, perché tale formulazione non assicura che essendo le attività sincrone ridotte, si riduce proporzionalmente l’impegno del docente. Due i principali problemi di questa formulazione del CCNI. Primo, l’articolo due stabilisce un’equivalenza piena delle ore di didattica in presenza e di quelle on line, anche se tutti sanno che non è così (il tempo di preparazione e il lavoro alle spalle di un’ora di didattica a distanza è molto maggiore di uno in presenza): codificarlo contrattualmente rischia di stravolgere il rapporto tra orario di servizio (cioè le ore di didattica erogate) e l’orario effettivo (il lavoro complessivo di docenza). Secondo, di fatto, il combinato disposto di questi articoli, aprono lo spazio affinché l’amministrazione possa usare le ore di servizio settimanali per coprire attività specifiche di supporto a studenti con BES o certificazioni, o magari per supplenze e supporti didattici, in una sorta di banca ore settimanale (cioè usando l’orario di servizio pieno, a fronte di una didattica digitale ridotta, per assegnare compiti e incarichi aggiuntivi, che vengono assorbiti in quell’orario aumentando così di fatto il lavoro settimanale reale).

Il CCNI, cioè, definisce di fatto una nuova forma di lavoro: non più il telelavoro (in cui a fronte di un orario certo, i dispositivi e le connessioni sono di solito a carico del datore di lavoro), non più il lavoro agile (in cui a fronte di una piena gestione del tempo di lavoro da parte del singolo, l’uso dei dispositivi è più libero), ma una sorta di lavoro a distanza in cui il lavoratore ha esattamente gli stessi obblighi che in presenza (anche se le prestazioni a distanza impiegano necessariamente una maggior quantità di lavoro), ma i costi e i dispositivi per lavorare sono a suo totale carico. Cioè definisce una forma di lavoro con meno garanzia e meno tutele di quelle oggi previste, arretrando vistosamente in sede contrattuale nella garanzia dei diritti e nelle condizioni di lavoro, portando un attacco al contratto collettivo nazionale.

Non sono solo questi i limiti del CCNI. Un altro limite rilevante è l’inglobamento di quanto previsto nei piani scolastici (art 2 comma 2) prima che lo stesso CCNI sia stato definito, oltre che delle Linee guida estive: la DDI si svolge in ottemperanza a quanto previsto dalle Linee Guida di cui al Decreto del Ministro dell’istruzione n. 89 del 7 agosto 2020, per come declinate dalle istituzioni scolastiche nell’apposito Piano scolastico, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento programmati. Una formulazione così vaga e omnicomprensiva rischia infatti di inglobare tra i doveri contrattuali anche ogni eventuale impegno elaborato nelle scuole. Si stabilizza così un quadro diverso di impegni e formulazioni, così come sono nate in queste settimane sotto l’egida della massima autonomia organizzativa e gestionale, mancando quindi l’obiettivo di riportare in un quadro e un inquadramento nazionale la regolazione di queste nuove modalità di espletare la prestazione lavorativa. Col rischio che in scuole diverse vi siano obblighi contrattuali differenti, in base agli obblighi previsti nei “Piani per la DDI” approvati nei singoli istituti e che spesso vanno ben oltre le Linee Guida stesse; prevedendo ad esempio l’obbligo di rendicontare tutte le attività asincrone (elencate nei piani stesse), o di fare videolezioni ai singoli alunni in quarantena, ad alunni che fanno attività sportive agonistiche o che ne fanno richiesta (con forte aggravio del carico di lavoro).

Sempre nel CCNI si attacca la libertà di insegnamento, prevedendo che la didattica a distanza debba avvenire obbligatoriamente in forma sincrona (art 3 comma 1), cioè definendo le modalità didattiche in cui la lezione deve esser garantita; in pratica si inserisce nel CCNI l’imposizione a fare didattica a distanza in modalità sincrona già presente nelle Linee Guida e nel decreto legge 8 aprile 2020, n. 22 (al tempo contestata). Oppure, si obbligano i docenti “in quarantena fiduciaria o in isolamento fiduciario, ma non in malattia certificata” a svolgere attività didattica (art 1.3), sia alle classi in quarantena che a quelle in presenza; con aspetti e ricadute molto problematiche: si accetta che docenti formalmente in malattia, del tipo ricovero ospedaliero, possano essere obbligati a lavorare da casa (creando un precedente molto pericoloso), e si istituisce di fatto una docenza di supporto vigilante, essendo che una compresenza improvvisa e improvvisata (determinata unicamente dalla disponibilità oraria), non può aver nessuna funzione e nessun senso didattico, se non quella appunto della vigilanza della classe in aula (con il docente di riferimento a casa). O ancora, si prevede che la forma di rilevazione della presenza sia il Registro elettronico (art 5), segnalato da CSPI e organizzazioni sindacali come un uso improprio di tale strumento.

Certo, l’art 1 comma 2 prevede che la DDI si svolge nel rispetto della libertà di insegnamento, delle competenze degli Organi collegiali e dell’autonomia progettuale e organizzativa delle istituzioni scolastiche. Questo principio viene però solo declamato, perché gli altri articoli del CCNI vanno in larga parte in senso opposto e nel suo insieme il CCNI non solo non offre certezze e diritti uniformi nelle scuole, ma rischia di aprire varchi contrattuali che possono stravolgere il lavoro docente che si fonda proprio sulla libertà di insegnamento!

Non solo. Il MI ha voluto segnare questo contratto con un ulteriore attacco alla rappresentanza sindacale.  Di fronte alla complessità ed alle incertezze di questo CCNI, alcune organizzazioni sindacali hanno chiesto tempo o un supplemento di trattativa politica, in particolare sul fronte delle risorse. Il MI ha voluto ulteriormente forzare la mano, definendo il CCNI con due sole organizzazioni sindacali firmatarie (CISL e ANIEF, largamente minoritarie come rappresentanza), di fatto aprendo la pratica di contratti separati fuori e contro la maggior parte delle altre organizzazioni sindacali.

Ancora, il MI ha deciso irritualmente di accompagnare la diffusione alle scuole del CCNI con una circolare interpretativa, firmata dal solito Bruschi, che ha offerto immediatamente la versione del datore di lavoro su tutti i punti più delicati del CCNI (dalla quarantena all’orario di lavoro), aggiungendo obblighi per i docenti assenti dallo stesso CCNI (come quello di svolgere obbligatoriamente la didattica a distanza con i docenti presenti a scuola e quello di fare DDI a singoli alunni in quarantena, con il conseguente aggravio di lavoro). Rivelando con chiarezza che quelle che erano ambiguità e buchi del testo, lo erano non casualmente per l’intenzione del Ministero di usare quelle maglie per forzarne poi l’applicazione nelle scuole.

Insomma, questo CCNI non è sottoscrivibile. La sua logica, il suo impianto, le formulazioni, l’assenza di ogni copertura economica, lo rendono un contratto di restituzione, che cioè codifica la perdita di diritti e indebolisce il lavoro. Per questo secondo noi bene ha fatto la FLC CGIL a non firmare, ma soprattutto non deve pensare di sottoscriverlo nei prossimi giorni, a fronte magari di qualche vago impegno del governo (il secondo tempo nell’iniziativa sindacale, tra le altre cose, si è sempre rivelata una fregatura per il lavoro). È un contratto che non può essere firmato! A fronte dell’emergenza, sono stati trovati in 48 ore oltre 6 miliardi di euro per sostenere alcuni settori sociali: se la didattica a distanza deve esser portata avanti, se un contratto deve esser sottoscritto, perché non si possono trovare risorse anche per la scuola? E perché non si può salvaguardare l’orario di lavoro? Inoltre, il problema non sta solo nella mancanza di risorse: molte delle norme contenute nel CCNI sono estremamente pericolose e in buona parte non accettabili per le ricadute che hanno sugli obblighi contrattuali dei docenti, sul loro orario e carico di lavoro e sulla stessa libertà di insegnamento (come dichiarato in questi mesi dalla FLC-CGIL).

Bisogna però rispondere al MI: la discussione non può e non deve rimanere nell’ambito delle organizzazioni sindacali. La didattica digitale interesse tutti i lavoratori e le lavoratrici della scuola. La discussione e la valutazione di questo contratto sia allora discusso da tutti e tutte. Apriamo una stagione di assemblee, per valutare questo CCNI, il contesto generale e il tentativo politico del ministero che questo contratto sottende.

È necessario ora ribaltarne logica e impianto: il compito delle organizzazioni sindacali, in questo quadro, è allora quello di costruire e discutere con lavoratori e lavoratrici una piattaforma sulla didattica digitale. Ribaltiamo le forzature del ministero, aprendo un processo di confronto e di mobilitazione in tutta la categoria, in cui il lavoro a distanza nella scuola, proprio nell’emergenza, sia riconosciuto nel suo valore e nelle sue reali dimensioni:

  • per una revisione dell’orario di servizio nel lavoro a distanza, in proporzione alla riduzione dell’offerta didattica riconoscendo il maggior carico di lavoro di ogni ora di didattica digitale;
  • per la piena copertura da parte dell’amministrazione dei dispositivi e delle connessioni necessarie alla prestazione lavorativa a distanza o dei loro costi (con un intervento straordinario e immediato del governo, come per altri settori economici);
  • per la difesa e la tutela della libertà di insegnamento, riconoscendolo e riconoscendo il ruolo degli organi collegiali, non solo a parole ma in tutto l’impianto del contratto;
  • per un contratto che riconosca e garantisca realmente pari diritti e pari condizioni di lavoro a livello nazionale, senza dare spazio ad interpretazioni e regolazioni diverse del rapporto di lavoro nelle diverse scuole e nei diversi territori, salvaguardando così un sistema nazionale di istruzione.

Su questi punti, per difendere il lavoro, la scuola pubblica e la libertà di insegnamento, è necessario costruire una mobilitazione e uno sciopero (anche in relazione alle altre gravi condizioni della scuola, per la stabilizzazione del precariato, il rigetto dell’autonomia differenziata, la conquista di nuovi e significativi investimenti, il rinnovo del CCNL). Perché solo portando in campo il lavoro, cambiando i rapporti di forza e imponendo un diverso indirizzo alle politiche dell’istruzione, è possibile conquistare un contratto che difenda realmente diritti e condizioni di lavoro.

#RiconquistiamoTutto nella FLC.

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