Scuola e università: per riaprire in sicurezza, sciopero generale della conoscenza!

Un settembre difficile per le scelte del governo. Serve una mobilitazione contro le sue politiche. Il volantino di #RT nella FLC!

Qui il testo del volantino in pdf.

Dopo una primavera di sospensione delle attività in presenza, riaprire l’istruzione è oggi prioritario. Una didattica di emergenza, straordinaria e improvvisata, ha infatti pesato a tutti i livelli. Ad esser colpiti, ovviamente, sono stati in primo luogo i/le bambini/e di asili e primaria, in cui il contesto relazionale è un ambito cruciale di crescita oltre che di formazione. In ogni caso dappertutto l’impatto è stato pesante: divaricando disuguaglianze [tra contesti e classi sociali], moltiplicando isolamenti [in preadolescenza e adolescenza], rallentando i percorsi di sviluppo e riducendo gli apprendimenti. Anche nelle università.

La pandemia, però, non è finita. Sciolte al sole alcune leggende [dall’uccisione del virus con il caldo alla non trasmissibilità di giovani e bambini], il contagio corre nelle Americhe ed in Asia, mentre si riaffacciano focolai in tutta Europa. E per l’arrivo del vaccino, nonostante gli annunci geopolitici, passerranno mesi. Sono quindi ancora indispensabili, e lo saranno a lungo, attenzioni sanitarie e distanzanziamenti, anche per contenere o evitare una tragica seconda ondata (prevedibile ed attesa).

Per riaprire in sicurezza avevamo più di tre mesi, cambiando l’organizzazione di scuole e atenei, prevedendo corsi e classi piccole [7/10 studenti nei livelli inferiori, intorno ai 15 alle superiori, tra i 30/60 nelle università], tenendo distanziati i diversi gruppi, moltiplicando i trasporti. Sarebbe stato però necessario assumere personale, diretto e nei servizi (docenti, ata, tab, ecc), prevedere e approntare le strutture necessarie [aule e spazi]; rafforzare i mezzi pubblici [treni, bus, tram]. Era cioè l’occasione anche per cambiare corso alla storia, mettendo l’istruzione ed i servizi pubblici al centro di ogni politica di investimento, per cambiare le nostre città e la nostra società.

Il governo ha scelto una strada diversa. Nonostante la più grande manovra della storia [100 miliardi di euro, in larga parte a padroni e imprese], abbiamo visto solo poche centinaia di milioni per l’emergenza nelle università [165 per ridurre le tasse, un centinaio per strutture] e meno di 3 mld nelle scuole [concentrati su banchi, opere straordinarie e assunzione di alcune decine di migliaia di docenti e ATA].

Si è scelto cioè di riaprire con il minimo sforzo possibile. In un dibattito tragicomico lungo un’estate, abbiamo visto il Ministero dell’Istruzione [MI], dell’Università [MUR], dei traporti [MIT], della Salute ed il CTS impegnati in una pantomima di indicazioni contradditorie, con molteplici tormentoni e nonsense [dal metro statico fra rime buccali alla caratteristiche antropometriche e la dinamicità della postura per ridurlo negli Atenei]. Il risultato è che, come spesso accade, quando i criteri di sicurezza impongono scelte e investimenti, si cambiano…i criteri: la distanza è stata compressa sino, di fatto, all’usuale parametro dei metri quadri per studente [nelle università è arrivata a 90 cm]; la riduzione dei posti nei traporti è passata senza colpo ferire dal 50 al 75%; le fragilità del personale (definite dall’Inail ad aprile e poi dall’art 83 del DL rilancio) sono oggi riviste per evitare che troppo insegnanti, ata e tab… ne facciano uso.

Non solo: si è scelto di usare l’emergenza per rilanciare le politiche liberiste che hanno segnato le ultime (contro)riforme di scuola e università [da Berlinguer alla Moratti, dalle Gelmini alla Buonascuola].

Nelle università, si è abdicato ad ogni ruolo del MUR, enfatizzando l’autonomia degli Atenei. Sino a far formalmente propri i documenti di un’associazione privata come quella dei Rettori (la CRUI, che non raccoglie nemmeno tutte le università italiane) o inserendo nel DL rilancio il grimaldello per diffondere un’autonomia differenziata fra gli Atenei (revisione dell’art 1, comma 2 della “Gelmini).                            ►

Nella scuola si è varato un piano che valorizza l’autonomia [diversifica gli istituti] e prevede patti educativi territoriali [permette a soggetti privati di entrare nello spazio e nel tempo della scuola pubblica, in modo differente nei diversi territori], consentendo ampi gradi di libertà nella riduzione del tempo scuola, nelle turnistiche e con la didattica a distanza [con un attacco, nei fatti, alla libertà di insegnamento].
Si è evitato la stabilizzazione dei precari di lungo corso (36 mesi), imponendo un concorso selettivo straordinario contro le intese sottoscritte, e moltiplicato il precariato con assunzioni-covid senza tutela (licenziamento in caso di sospensione delle attività). Si è voluto cioè affermare un profilo politico e antisindacale del Ministero, anche moltiplicando le difficoltà delle scuole in questo già difficile autunno.
Si è praticata una gestione regionale dell’emergenza [centrata sugli USR], rilanciando così percorsi di autonomia differenziata che torneranno a pandemia conclusa, basandosi non solo su volontà politiche e pressioni imprenditoriali, ma anche su una prassi sempre più federalizzata delle strutture pubbliche.
Si è rimesso al centro i Dirigenti Scolastici (non più sceriffi ma capitani di navi) in circolari e procedure [come su PAI/PIA e su didattica a distanza], ben oltre la normativa e contratto per riaffermare quel processo di gerarchizzazione delle scuole di fatto bloccato dal movimento contro la buonascuola.
Si sta provando a stravolgere il contratto (come sul pagamento dei corsi di recupero nelle superiori o sulla contrattualizzazione delle linee guida della sicurezza nelle università), per riaffermare la sua debolezza e eventualità, rimettendo al centro le amministrazioni e il loro comando.

Questo settembre si annuncia allora difficile e complesso, viste le scelte sbagliate del governo. Con una riapertura diversificata tra territori e istituti, che amplifica diseguaglianze. Con il caos di indicazioni oscure e contrastanti. Con conteziosi diffusi, determinati da queste confusioni e dai tentativi del governo di imporre le sue politiche sopra norme e contratti. Con un’inevitabile compressione del tempo formativo e degli apprendimenti, schiacciati da esigenze logistiche e provvedimenti emergenziali. Con le inevitabili sospensioni che il contagio produrrà, scardinando un’organizzazione instabile basata sul minimo sforzo.

Questo settembre si annuncia allora anche di mobilitazione e di lotta. Mercoledì 2 settembre comitati e coordinamenti precari, sostenuti da sindacati e anche dalla FLC, saranno in piazza a Roma. Noi ci saremo. Così come saremo in piazza, anche qui con la FLC, con priorità alla scuola il prossimo 26 settembre, in una manifestazione popolare per una scuola pubblica e per la sicurezza.

Tutto questo però non è sufficiente. Serve una mobilitazione della categoria, capace di raccogliere studenti, coordinamenti e comitati, innescando contro queste politiche un movimento generale. Serve cioè la capacità del sindacato di unire lavoratori e lavoratrici, rivendicazioni del settore e istanze complessive.

Serve indire ora, dal primo settembre, assemblee dei lavoratori e delle lavoratrici in tutte le scuole e le università [tutti i lavoratori e le lavoratrici, compresi precari e appalti, diretti e servizi].

Serve costruire assemblee e coordinamenti di RSU in tutti i territori e a livello nazionale, con una piattaforma di difesa della scuola pubblica, della sicurezza, dei diritti del lavoro.

SERVE UNO SCIOPERO GENERALE DELLA CONOSCENZA!

 #RICONQUISTIAMOTUTTO IN FLC

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