Direttivo CGIL: quello di cui non discutiamo
Nonostante la lunghezza della relazione introduttiva, alcuni temi, che mi aspettavo fossero centrali, non sono stati affrontati o appena citati.
Mi aspettavo che oggi discutessimo della dichiarazione del Governo sulla fine di Quota 100, che non verrà prorogata quando, a fine 2021, ne scadrà la sperimentazione. Conte ha dichiarato che Quota 100 “rispondeva a un disagio”. Quel “disagio” è la legge Fornero ed è ancora tutto lì. Dire che non si proroga Quota 100 senza mettere in discussione l’attuale sistema previdenziale è sbagliato, oltre che un errore che rischia di ridare fiato alla Lega, anche dopo i risultati elettorali. Aldilà di cosa pensiamo di Quota 100, cioè che è una misura soltanto transitoria e non per tutti, tacere mentre il governo ne annuncia la fine non ci aiuta, sia rispetto alla discussione sulla riforma previdenziale, sia, soprattutto, nel rapporto con i lavoratori e le lavoratrici, in particolare in quei settori in cui Quota 100 ha dato maggiori risposte. Parziali certo ma innegabili.
Mi aspettavo anche che oggi si parlasse delle modifiche dei DL sicurezza, argomento che invece è incredibilmente assente da questa discussione. Non ho condiviso la dichiarazione del segretario generale all’indomani delle modifiche: “i DL sicurezza sono finiti”. Prima di tutto, perché penso sia un errore cantare vittoria, prima di una discussione in Parlamento alla quale la destra si presenterà più agguerrita che mai. Secondo, non credo che ci sia stata alcuna vittoria da cantare. Ci sono dei punti innegabilmente positivi, certo, a partire dal sistema di accoglienza diffuso (SPAR) e dal permesso umanitario.
Ma come è possibile tacere sul fatto che le norme relative alla gestione securitaria dell’ordine pubblico restano invariate! Soprattutto noi, come possiamo non dire niente! Picchetti, blocchi stradali, occupazioni riguardano prima di tutto noi e le lotte sindacali.
Peraltro, anche l’approccio criminalizzante delle ONG è tutt’altro che superato. Vengono sensibilmente ridotte le pene, vero. Ma restano. E questo è un fatto di per sé grave. Grave perché di fronte alla natura primordiale del mare, esiste una sola legge: salvare vite umane in pericolo è un dovere e non può mai essere un reato. Perché non sempre le condizioni di salvataggio permettono il rispetto delle procedure e delle norme. Ridurre le pene invece di cancellarle significa mantenere l’impianto dei precedenti decreti, edulcorandoli soltanto un po’ ma di fatto confermandoli.
Mi aspettavo poi che discutessimo delle condizioni di sicurezza in rapporto alla crescita dei contagi. Siamo in attesa dei nuovi DPCM. Ma il punto è che a nessun livello si sono fatti davvero i conti con quanto è avvenuto a marzo, tanto che ci troviamo di fronte a una possibile seconda ondata senza aver risolto nessuno dei problemi che allora ci ha trascinato in una catastrofe umanitaria. In questi mesi, le risorse non sono andate a risolvere i problemi reali: sanità, controllo medico del territorio, assistenza, trasporto pubblico locale, scuola. E d’altra parte gli stessi personaggi che con le loro decisioni scellerate hanno gestito la prima ondata nel modo peggiore possibile sono gli stessi che sono chiamati a gestire questa nuova fase. Penso in particolare, ma non soltanto, alla giunta regionale della mia regione, la Lombardia.
Le immagini del trasporto pubblico che ci arrivano in questi giorni dalle principali città metropolitane, Roma, Milano, Napoli, sono inquietanti. Un vero pugno allo stomaco. Altrettanto la pressoché totale mancanza di controllo sui locali pubblici e sulla movida in generale.
Trovo incredibile che il governo metta la testa sotto la sabbia su questo, mentre propagandisticamente dichiara di volere aumentare le restrizioni sullo spettacolo dal vivo e in generale sul settore di arte e cultura, probabilmente quello dove di fatto c’è meno rischio di assembramento. E credo che la Cgil dovrebbe prendere posizione su questo. Non soltanto per le condizioni occupazionali e salariali dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, che sono allo stremo, perché sono stati tra i primi a fermarsi e ancora non hanno prospettive chiare sulla reale ripartenza. Ma anche per il valore stesso del settore dell’arte e dello spettacolo, che, più o meno al pari della scuola, avrebbe dovuto essere tra i più sostenuti dal governo invece che ulteriormente affossato. Si preferisce invece, di nuovo, chiudere tutti e due gli occhi sui settori che più producono profitto, conservando invece il pugno di ferro per quelli che, evidentemente, si ritengono sacrificabili.
Intollerabile anche si stia discutendo di ridurre i tempi della quarantena e il numero dei tamponi necessari a dichiarare la guarigione. È incredibile anche soltanto che si discuta una cosa del genere. Ma come? Aumenta il rischio sanitario e il governo conseguentemente abbassa i controlli? È pura follia. Così pure le disposizioni dell’INPS che ripristinano il conteggio del comporto di malattia per i lavoratori e le lavoratrici in quarantena. Davvero incredibile. E incredibile anche che questo direttivo non ne stia discutendo.
Ultimo tema che pensavo sarebbe stato al centro della discussione di oggi è il rinnovo dei contratti nazionali (che riguardano oltre 10 milioni di lavoratori e lavoratrici) e l’attacco di Confindustria a tutto il mondo del lavoro e al sistema stesso di definizione del salario. Se giustamente critichiamo il fatto che ad oggi il governo non sta stanziando risorse nella legge di bilancio per i contratti dei settori pubblici, il tema dei rinnovi contrattuali nel privato non può invece essere liquidato al fatto che non ci sono i soldi sulla detassazione degli aumenti contrattuali. La partita dei rinnovi contrattuali non può giocarsi su questo, perché, se anche ci fossero le risorse, significherebbe far pagare alla collettività e allo stato sociale quella redistribuizione della ricchezza che le imprese non vogliono dare. Non possiamo da un alto dire che bisogna investire sulla sanità pubblica e dall’altro pensare di cavarcela sui contratti nazionali, auspicando la detassazione degli aumenti.
Dovremmo piuttosto discutere di come mettiamo insieme le diverse vertenze e le mobilitazioni già proclamate da varie categorie, di come diamo una prospettiva generale ad esse. Ogni categoria ha una partita di merito contrattuale sul proprio tavolo di trattativa, certo. Ma è innegabile che c’è un tema comune e che, a monte, c’è un attacco complessivo da parte della Confindustria. È un attacco politico, addirittura ideologico. Non è pensabile che ogni categoria sia lasciata a se stessa in questa partita. La risposta, se vogliamo che sia all’altezza non può che essere di tutte e tutti.
Di cosa altro dovremmo discutere in questo direttivo se non di questo…
Eliana Como
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