Lucciole per lanterne: non è la fine dei DL sicurezza.
La retorica di questi giorni sulle modifiche dei decreti sicurezza è del tutto fuori luogo, sia sulla stampa che sul comunicato di Cgil Cisl Uil. Non soltanto perché non fa che gettare fumo negli occhi mistificando la realt, ma soprattutto perché, in prospettiva, rende più complicata la prossima discussione in Parlamento. Certo, il governo ha modificato i due DL sicurezza targati Salvini e approvati tra il 2018 e il 2019 dal primo governo Conte. Ma non ne modifica l’impianto e in nessun modo è giustificabile dire che decreti sicurezza non esistano più, come titolava ieri il sito della Cgil (“La fine dei decreti sicurezza”).
Non abbiamo avuto timore, all’epoca, a definire fascisti questi decreti. In quanto tali, andavano abrogati, non modificati. Si può anche pensare che le modifiche apportate siano un “primo passo”, ma, proprio per questo, confermano e consolidano l’impianto e diversi aspetti inaccettabili dei decreti. Passare lucciole per lanterne getta fuma negli occhi e serve solo a incensare, di nuovo, questo governo.
Le modifiche riguardano le parti relative alla protezione umanitaria e all’accoglienza. Su alcuni aspetti sono positive, ma nel complesso sono parziali e non modificano lo spirito securitario dei decreti, in particolare perché non si supera la criminalizzazione delle ong e le multe sono soltanto ridotte. Sugli altri punti, l’impianto resta sostanzialmente lo stesso, come sulla cittadinanza. E restano del tutto inalterati sulla gestione repressiva dell’ordine pubblico, relativamente anche alle lotte sindacali (vedi picchetti, blocchi stradali, occupazione etc). Aspettiamo i testi per verificare i dettagli delle nuove norme, ma, anche in previsione degli attacchi che la destra metterà in campo in Parlamento, tanto entusiamo è davvero una scelta sbagliata e irresponsabile.
È certamente positivo che si ripristini il permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dal TU sull’immigrazione del 1998. Si chiamerà “protezione speciale” e sarà concesso a chi presenti seri motivi di carattere umanitario. Viene introdotto, poi, un nuovo principio di non respingimento o rimpatrio verso uno stato in cui i diritti umani siano sistematicamente violati e laddove esistano fondati motivi di ritenere che la persona rischi di essere sottoposta a tortura, trattamenti inumani o degradanti. Si introduce anche il divieto di rimpatrio per chi abbia una vita consolidata in Italia, quando cioè il respingimento rappresenti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. E soprattutto, sul sistema di accoglienza, è positiva la reintroduzione del sistema diffuso gestito dai comuni, a cui accederanno anche i richiedenti asilo e non soltanto, come era prima, i minori e i beneficiari di protezione internazionale. In ogni caso, non è prevista la soppressione del sistema prefettizio di accoglienza, quello che ha dato vita ai Centri di accoglienza straordinari (Cas), più volte denunciati per il degrado delle condizioni di vita al proprio interno.
Sul soccorso in mare, ci sono delle modifiche, ma resta l’impianto securitario e criminalizzante. Nel dettaglio, rimane il principio per il quale il Ministro dell’Interno, con il Ministro della Difesa e dei Trasporti e previa informazione al Presidente del Consiglio, può vietare l’ingresso e il transito in acque italiane a navi non militari, se esse non abbiano effettuato i soccorsi seguendo le convenzioni internazionali e le operazioni alle autorità competenti. In caso, di violazione, non è più previsto il sequestro della nave, ma restano le pene, seppure ridotte (da 10mila a 50mila euro, non più come era prima fino a 1 milione) e comunque applicabili solo al termine del processo penale. Il fatto che le multe, pur ridotte, siano di fatto mantenute è un preciso e pericoloso segnale politico. Permane di fatto la criminalizzazione del soccorso in mare. Questo è di per sé un concetto inaccettabile: salvare vite umane non può essere mai considerato un reato, a prescindere dalle circostanze che, nella primordiale realtà del mare, non consentono sempre il rispetto degli iter burocratici e dei relativi tempi.
Vengono anche ridotti i tempi di permanenza per il rimpatrio nei Cpr (ex Cie), che prima potevano arrivare a 180 giorni. Restano comunque fissati a un tempo massimo di 90 giorni, che è in ogni caso, un periodo enorme (peraltro sono prorogabili a 120 giorni per chi venga da paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio). Incredibilmente, è poi introdotta la facoltà di arresto in direttissima per chi organizzi proteste e danneggiamenti nei centri. Questa norma non c’era nel precedente decreto sicurezza e di fatto serve a punire le proteste all’interno di centri, in cui spesso le condizioni di vita, di salute, di affollamento, di sicurezza sono fuori da qualsiasi norma civile.
Anche sulla cittadinanza, la modifica è solo di maquillage: il decreto Salvini aveva allungato i tempi per l’ottenimento da due a quattro anni, ora i tempi si riducono ma a tre anni e senza migliorare l’impianto del testo. Niente a che fare con lo ius soli e con il principio che chi è nato in Italia debba avere gli stessi diritti di tutti gli altri.
Sulla gestione securitaria dell’ordine pubblico, poi, resta tutto immutato, a partire dalle pene vergognose per il reato di blocco stradale (fino a 6 anni di reclusione) e in generale i reati che colpiscono il dissenso nelle proteste di piazza, tema che incredibilmente viene taciuto dal comunicato di Cgil Cisl Uil. Va anche detto, che vengono inasprite le pene per il reato di rissa, viene introdotto il daspo dai locali pubblici e di intrattenimento per chi sia stato denunciato o condannato per atti di violenza. Aldilà di quelli che possano essere i fini dichiarati (viene fatta impropriamente passare come “norma Willy”), si rafforzano, cioè, gli strumenti in mano alla polizia, di fatto repressivi e che in nessun modo affrontano il problema culturale e sociale che sta dietro ai fenomeni che si intende contrastare.
Insomma, ci sono alcuni limitati passi in avanti sull’accoglienza immediata, ma le modifiche non segnano affatto una discontinuità con l’approccio securitario delle norme Salvini e sono ancora tanti gli aspetti fortemente critici del vecchio impianto. D’altra parte, i decreti Salvini furono approvati dallo stesso Conte e da tanti della stessa attuale maggioranza. E, per dirla tutta, non facevano che inasprire la linea dei provvedimenti precedenti, quando la maggioranza era un’altra ancora e ministro dell’Interno era Minniti. Non soltanto: per ottenere l’abrogazione dei DL sicurezza, avrebbe perlomeno dovuto esserci una mobilitazione, che salvo episodi frammentati di resistenza, non c’è stata.
Quindi, pur restando lucidi sulle parti finalmente modificate, non c’é davvero niente da festeggiare, tanto più che ora inizierà la discussione in Parlamento, con una destra più agguerrita che mai. Piuttosto che festeggiarne la fine, la Cgil farebbe quindi bene a riconoscere che abbiamo sbagliato a non contrastare davvero i decreti, a partire dalla loro approvazione nell’estate del 2019, riconoscere i limiti di questo ultimo maquillage e iniziare finalmente a mobilitarsi per la loro definitiva abrogazione.
#RiconquistiamoTutto – opposizione in Cgil
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