L. Scacchi: perché partecipo al percorso del 27 settembre.

Una riflessione sull'assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi/e, di Luca Scacchi [Comitato direttivo della CGIL]

Domenica 27 settembre si è tenuta a Bologna (presso lo spazio Dumbo) un’assemblea nazionale di lavoratori e lavoratrici. Ho personalmente partecipato, anche al suo percorso di convocazione. Non è stato infatti un appuntamento di un’organizzazione sindacale, di più sigle sindacali, di un loro “cartello” o intergruppo. Questo percorso ha avuto caratteristiche diverse, evidenti nell’organizzazione, nella gestione e nella stessa iconografia della sala in cui ci si è riuniti. L’appello che ha promosso l’iniziativa è stato infatti firmato individualmente da singoli delegati/e, lavoratori e lavoratrici, militanti e dirigenti di diverse organizzazioni sindacali. La presidenza ha visto protagonisti a rotazione compagni e compagne di diversi settori, appartenenti a diverse organizzazioni, alcuni non iscritti a nessun sindacato ma attivi in comitati e coordinamenti di lotta. Relazione e conclusioni sono state tenute da compagni di diverse realtà. Non c’erano nella sala simboli, bandiere o identità che potessero caratterizzare l’appuntamento.

Non era scontato fosse così ed è stato così per un consapevole impegno di tutte le soggettività che vi hanno partecipato. A proporre inizialmente la necessità di un confronto pubblico ed aperto sull’epocale impatto dell’intreccio tra Grande Crisi ed emergenza covid, sulla radicalità dell’offensiva padronale che si sta dispiegando, sull’impellente esigenza di sviluppare una risposta di classe e unitaria è stata una soggettività politica: il patto d’azione per un fronte anticapitalista, che raggruppa a sua volta un articolato insieme di strutture politiche e sindacali dell’estrema sinistra (diversi partiti, organizzazioni, circuiti, comitati e movimenti, a partire dal SiCobas). Il confronto che si è aperto su questa proposta ha però tracciato un cammino particolare: per contrapporsi all’incipiente offensiva padronale, per ribaltare la crisi strutturale in corso, per ricomporre cicli di lotte e dinamiche di resistenza oggi divise e parallele, per cercare di proiettarsi in quella dimensione di massa oggi imprescindibile, si è esplicitamente definito su tre assunti di partenza.
Primo, il percorso proposto non poteva recintarsi su una soggettività politica, ma aveva bisogno di fondarsi e radicarsi principalmente sull’autorganizzazione ed il coordinamento delle lotte e delle resistenze che si esprimevano nella classe (ed infatti il patto ha fatto un passo indietro: alcune strutture e soggettività hanno continuato a contribuire al suo percorso, altre hanno invece deciso altrimenti).
Secondo, il percorso proposto doveva astrarsi da ogni prospettiva, o velleità, di costruzione di un nuovo polo del sindacalismo di base, più o meno legato a processi costituenti di una nuova organizzazione (ed infatti soggetti e soggettività interessate a questa prospettiva, nel quadro delle composizioni e delle scomposizioni in corso nel sindacalismo di base, hanno esplicitamente abbandonato questo percorso).
Terzo, il percorso proposto doveva superare la logica e la prassi dell’intergruppismo sindacale: la semplice sommatoria delle diverse sigle, costruita attraverso accordi di vertice tra i diversi gruppi dirigenti. Un passaggio necessario da una parte per rompere la gabbia della dimensione di avanguardia o del radicamento settoriale in cui sono confinate queste esperienze, dall’altra per le progressive divergenze e i dominanti settarismi di queste realtà (a partire dalle due principali organizzazioni del sindacalismo di base).
Questi assunti condivisi hanno sviluppato la prima proposta, instradandola su un diverso cammino [basta confrontare immagini e ragionamenti del 12 luglio con quelli del 27 settembre].

L’appello di convocazione dell’assemblea del 27 settembre sottolineava quindi le caratteristiche di questo cammino. Si pone quindi, oggi come non mai, la necessità di un’iniziativa all’altezza della fase e del nemico di classe. Un’iniziativa capace di rivolgersi ai delegati/e, alle lavoratrici e ai lavoratori, che hanno scioperato a marzo nelle fabbriche, nella logistica e nella grande distribuzione; a quelli oggi colpiti da crisi industriali e da una crescente pressione padronale; alle tante soggettività che si stanno ponendo sul terreno della lotta o dell’autorganizzazione: lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, della sanità e delle scuole; dottorandi e precari delle università; precari delle cooperative e delle Onlus, del turismo, delle comunicazioni ecc. È cioè necessario un radicale cambio di passo nel sindacalismo conflittuale e di classe. Non serve la nascita “per decreto” di nuove sigle, né la riproposizione di meri intergruppi, bensì la costruzione di percorsi di lotta che vadano oltre alle appartenenze di sigla e di categoria. Dall’incontro del 12 luglio a Bologna è emersa la volontà di lanciare un processo nuovo e realmente includente, capace di legare le lotte sindacali, quelle dei disoccupati, i movimenti per la casa e gli scioperi degli affitti, i movimenti per la parità di diritti agli immigrati (oggi principale bersaglio dell’offensiva reazionaria dei Salvini e delle Meloni) e tutte le reti di solidarietà attive sui territori in un fronte unico di tutti gli sfruttati.

L’assemblea è allora stato un momento aperto di confronto tra diversi settori, realtà e soggettività del lavoro. Diverse centinaia di lavoratori, lavoratrici, delegati e delegate di diverse organizzazioni sindacali (ed anche qualcuno che non apparteneva a nessuna organizzazione sindacale) si sono confrontati sulla fase difficile che stiamo attraversando, sulle lotte in corso e le loro difficoltà, sul problema di come ricostruire percorsi di convergenza e di generalizzazione delle lotte. Un’assemblea che ha sottolineato in particolare i principali nodi del contendere: la difesa (e il rilancio) del salario diretto, differito e sociale; la difesa della salute e della sicurezza; la necessità di riprendere le storiche parole d’ordine del movimento operaio (patrimoniale; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; difesa, rilancio e applicazione effettiva dei CCNL; abolizione di ogni forma di discriminazione e pieni diritti di cittadinanza per i lavoratori immigrati). Un’assemblea consapevole dei suoi limiti, della difficoltà di unire settori e soggettività diverse, come della necessità di superare i confini ristretti dell’avanguardia politica e sociale, sviluppando percorsi di lotta in grado di attraversare dimensioni di massa. Nel bene e nel male, in ogni caso, non è stata l’assemblea di una sola organizzazione sindacale, non è stato l’incontro tra diverse organizzazioni sindacali di base, tantomeno è stato il tentativo (diretto, indiretto, per ambiguità o per allusione) di avviare una costituente sindacale. I compagni e le compagne possono vedere su diversi siti e social l’introduzione, gli interventi e le conclusioni, valutando e giudicando il confronto che vi è stato.

Non era scontato fosse così ed è stato così per un consapevole impegno di tutte le soggettività che vi hanno partecipato. Non solo non era scontato che nell’organizzazione e nell’iconografia di questo appuntamento non si imponessero le diverse appartenenze e identità. Non era scontato che la risoluzione dell’assemblea [qui il testo] evitasse di precipitare nella semplice riproposizione di iniziative rituali di sciopero autunnale, innescando le solite dinamiche di contrapposizione degli scorsi anni (con lo sciopero generale della CUB del 23 ottobre, indetto con mesi di anticipo in una logica di organizzazione, o contro lo sciopero del 23 ottobre, costruendo date diverse e antagoniste rispetto a quell’appuntamento). L’assemblea ha infatti cercato anche qui un percorso diverso, provando ad uscire da queste dinamiche, proponendo e proponendosi una continuità di confronto in cui porre e porsi problemi (in primo luogo, come sviluppare le lotte nei territori a come generalizzarle, per riuscire a sviluppare una resistenza di massa sullo stesso piano generale su cui è in corso l’offensiva padronale).

Si può legittimamente pensare che questa assemblea sia stata insufficiente, limitata o sbagliata. Si può legittimamente ritenere che porsi oggi sul terreno complicato della convergenza e della ricomposizione delle lotte sia sostanzialmente velleitario, perché il problema principale sia quello di sviluppare i conflitti nei diversi settori e nei diversi luoghi di lavoro (e quindi bisogna prioritariamente concentrarsi su quella dimensione). Si può legittimamente ritenere che sia stata un’iniziativa segnata dalla sua dimensione politica, schiacciata sulle soggettività che l’hanno innescata intorno al patto d’azione per un fronte anticapitalista e quindi sostanzialmente incapace di praticare l’obbiettivo che pure si dava. Si può legittimamente pensare che sia stata un’iniziativa parziale e avanguardistica, sganciata non solo da una dimensione di massa ma anche da una prospettiva in grado di coinvolgere le masse. Si può legittimamente pensare che, al di là della forma e delle forme, le diverse soggettività che hanno attraversato quell’assemblea fossero al suo interno preponderanti e che quindi ne abbiano inevitabilmente segnato la dinamica. Si può legittimamente pensare che questi tentativi siano destinati inevitabilmente a ricadere, al di là delle buone intenzioni di partenza o degli sforzi che vi si possano imprimere, in una logica di appartenenze e identità, di scioperi rituali e di contrapposizioni settarie. Ognuna di queste critiche coglie un aspetto della realtà. Ed è probabile che ce ne siano altre che ancora non colgo. Rimango però convinto che tutti questi aspetti colgano solo un aspetto della realtà e tralascino il cuore della fase che abbiamo oggi di fronte.

Nel mio intervento a quella stessa assemblea ho provato a sottolinearlo. Davanti alla radicalità ed alla profondità della crisi, bisogna infatti porsi il problema di sviluppare una risposta all’altezza della fase. Perché, come dice proprio la risoluzione finale, è evidente che la risposta sindacale non può limitarsi a una mera difesa sul piano aziendale o di categoria, ma deve porre le basi di una controffensiva di massa, capace di parlare all’insieme della classe e di mobilitarla in nome dei suoi interessi generali. La dinamica di lotta nei diversi settori di classe si presenta in ogni caso ancora articolata: segnata da cicli diversi di resistenza. In alcune categorie più combattive..possono già esser mature le condizioni per giungere nell’immediato a uno sciopero nazionale. In altre iniziano ad affiorare significative resistenze … In altre ancora, nonostante l’evidenza del disastro, prevale ancora la confusione e l’incapacità di sviluppare proteste di massa. Si tratta quindi di attraversare queste controtendenze, spingere per diffonderle e soprattutto cercare di farle convergere in una lotta generale e di massa. Non bisogna negare i rischi ed i limiti di ogni percorso, tenendo sempre ben presente la necessità di non precipitare nelle solite dinamiche settarie o negli scioperi rituali. Ma almeno il tentativo di un cammino diverso deve esser perseguito, in direzione ostinata e contraria.

Quello che proprio non si può dire, però, è che questo percorso alluda a qualche sorta di costituente sindacale e che quindi sia incompatibile con la CGIL. Non lo si può dire perché non ce ne è traccia nell’appello, negli interventi e nelle conclusioni. Non lo si può dire perché, anzi, proprio il confronto che ha avviato questo percorso ha portato ad escludere ogni ipotesi di questo genere (determinando l’abbandono di chi aveva quella prospettiva). Non lo si può dire, infine, perché non è nelle scelte, nelle intenzioni e nelle prospettive di delegati, delegate, iscritti e dirigenti della CGIL che a questo percorso hanno partecipato e continuano a partecipare. Negli ultimi anni, nell’Opposizione CGIL e nel sindacatoaltracosa, più volte abbiamo visto compagni e compagne scegliere di lasciare la CGIL, alcuni decidendo poi di aderire e partecipare a questo o quel sindacato conflittuale. Ogni scelta, personale o collettiva, è legittima. Non è però un caso che la gran parte (se non la totalità) dei compagni e delle compagne della CGIL presenti all’assemblea di Bologna siano proprio tra quelli che hanno sempre contrastato questa scelta.
Personalmente, sono iscritto alla CGIL da più di vent’anni, sono oggi un dirigente nazionale di categoria e confederale, ne rivendico la piena appartenenza. Ho sempre pensato che la CGIL non sia solo una grande organizzazione, ma sia anche un’organizzazione vasta e plurale, nel quale vivono e si organizzano diverse anime e diversi impianti programmatici. Da iscritto e da dirigente della CGIL ho ritenuto necessario contrastare la strategia e la linea concertativa del suo gruppo dirigente. Come, credo con chiarezza, è espresso nel documento alternativo all’ultimo congresso, RicoquistiamoTutto, che ho sostenuto e firmato: facendo cioè vivere un impianto programmatico diverso, conflittuale e classista, nella Cgil. E nel rispetto dell’organizzazione e del suo Statuto‎, con questo impianto ho anche attraversato diverse forme di autorganizzazione e coordinamento che lavoratori e lavoratrici, delegati e delegati, avanguardie sindacali e politiche hanno sviluppato nel corso degli anni (dalle reti di movimento ai coordinamenti RSU, dai comitati precari alle assemblee autoconvocate). Percorsi di confronto, partecipazione e azione sindacale, di organizzazione e autorganizzazione di classe, che non ho mai ritenuto incompatibili con la CGIL. Per questo ero a Bologna e per questo continuerò a starci con questo profilo. Vorrei allora che la discussione tra noi avvenisse sulle valutazioni politiche e sindacali relative ai diversi percorsi, non sulle allusioni o sugli anatemi.

Per concludere, ho già sottolineato da altre parti le difficoltà dell’autunno e delle prossime stagioni. Proprio per affrontare queste difficoltà, ritengo importante superare ogni auto centratura e ogni settarismo. A partire dalle nostre.

Luca Scacchi

 

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