Scuola, università e sindacato ai tempi del coronavirus.

Difendere salute, istruzione e lavoro nell’attuale emergenza sanitaria.

VIrus, Coronavirus outbreak ,contagious infection

In queste settimane l’Italia, ed in particolare l’Italia settentrionale, è stata interessata dalla diffusione di un nuovo virus, il SARS-CoV-2.

Non è una pandemia grave e incontrollata, non è una semplice influenza. Il SARS-CoV-2 (che determina la Covid19) è un virus che è recentemente passato all’uomo da una specie animale: non abbiamo quindi ancora anticorpi, medicine o vaccinazioni. È poi un virus che, trasmettendosi per via area, ha indici di diffusione simili all’influenza, anche se molto minori di quelli del morbillo. Non è a rischio di ammalarsi la grande maggioranza della popolazione, ma un numero significativo di malati ha bisogno di assistenza medica. È quindi una malattia a cui occorre prestare la giusta attenzione sociale, sia per evitare la sua diffusione incontrollata sia per evitare il rischio di uno stress eccessivo se non un collasso delle strutture sanitarie.

Abbiamo però visto diffondersi episodi di vero e proprio panico sociale: da comportamenti discriminatori e razzisti nei confronti di asiatici a vere e proprie aggressioni fisiche nei loro confronti, dall’acquisto compulsivo di amuchina e mascherine all’assalto dei supermercati per l’accaparramento di beni di prima necessità. Un panico sociale in parte prevedibile, come reazione di massa ad epidemie contagiose a rapida diffusione, che in ogni caso è stato favorito, oltre che dalla sovraesposizione mediatica, anche da messaggi istituzionali contrastanti: diversi nei territori, anche con simili condizioni, e contraddittori tra loro, (l’annullamento di eventi mentre se ne confermavano altri, la chiusura delle scuole e l’apertura dei centri commerciali, la sospensione del lavoro in alcune aziende mentre a 500 metri tutto continuava come se nulla fosse). Messaggi istituzionali che in alcuni casi sono stati visibilmente e irresponsabilmente travolti dallo stesso panico sociale della massa (come nel caso di alcuni enti locali, che hanno confusamente provato ad impedire l’ingresso nei propri territori dei cittadini residenti in alcune regioni).

Tutte le strutture dell’istruzione sono state interessate da questa emergenza sanitaria. Per cercare di contenere i nuovi casi, infatti, i provvedimenti del governo si sono focalizzati sull’isolamento dei focolai infettivi (le cosiddette zone rosse) e la riduzione generalizzata dei contatti diretti tra le persone, particolarmente nei luoghi affollati, nelle aree prossimali (le cosiddette zone gialle). Di conseguenza, praticamente in tutte le regioni del nord Italia abbiamo visto la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado (non tanto per proteggere gli studenti, che essendo giovani presentano sintomatologie nulle o ridotte, ma per evitare che si facessero vettori anche asintomatici del virus), la sospensione nelle università di lezioni, eventi pubblici (conferenze, convegni, ecc), servizi agli studenti (dalle mense alle biblioteche) e anche esami. Il decreto del primo marzo rinnova e sistematizza questi provvedimenti per un’ulteriore settimana in aree rilevanti (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia ed alcune province). Non possiamo poi escludere che in alcuni territori e provincie queste misure siano ulteriormente rinnovate o replicate, per la necessità di contenere ulteriormente il virus. Come può essere che la situazione rientri progressivamente nella normalità, anche se è probabile che per diversi mesi ci sia un particolare monitoraggio ed una particolare attenzione sanitaria (per bloccare ogni nuovo possibile focolaio e per tracciare le possibili mutazioni del virus), anche con la ripresa di questi provvedimenti in alcuni territori o alcuni periodi.

In questo quadro complesso e che in ogni caso non sarà di breve durata, è fondamentale che il sindacato svolga il suo ruolo di difesa generale del lavoro e dei diritti sociali di tutti/e. È importante cioè che le strutture collettive ed organizzate non si facciano coinvolgere dal panico sociale dilagante, non si appiattiscano sulla logica emergenziale del governo, non si facciano neppure trascinare in occasionali nuovi patti dei produttori, volti ad imporre le priorità del sistema economico (anche cancellando interessi e diritti del lavoro, oltre che le più generali preoccupazioni sulla salute). Rischi che, come area programmatica RT! abbiamo denunciato apertamente, a partire dall’inusuale comunicato unitario di tutte le associazioni produttive, dagli inviti ripetuti alla normalizzazione di questi giorni alla sottolineatura sulla necessità per uscire dai rischi di recessione di un nuovo straordinario piano di investimenti sulle grandi opere, invece che come evidente sul welfare del paese (sanità, assistenza sociale, ricerca, università e scuola, piegati da decenni di tagli e ristrutturazioni neoliberiste). È cioè importante che in primo luogo il sindacato sia consapevole che tutte le dinamiche emergenziali, per la difesa della salute come per contrastare l’incipiente recessione, possono esser occasione di attacco ai diritti, di ulteriore comando sull’organizzazione del lavoro, di intensificazione dei ritmi e compressione dei salari. Per questo è fondamentale che proprio nei momenti di emergenza il sindacato tenga ben salda la propria indipendenza e più nel complesso l’autonomia del lavoro (dal padronato e dal governo), tenendo al centro la difesa della salute di tutti e tutte, i diritti e gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, in particolare nel nostro settore la difesa del diritto universale all’istruzione.

È quindi importante che la FLC svolga in queste e nelle prossime settimane il suo ruolo di sindacato generale della conoscenza.

Nel quadro dei decreti e dei provvedimenti emergenziali approvati dal governo,

  • difendendo tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici del settore: il personale docente, quello ATA e quello degli appalti nelle scuole; docenti, personale tecnico e amministrativo e precari nelle università; siano essi dipendenti pubblici, con contratti privati o di strutture private; garantendo per tutti e tutte, indipendentemente dai propri rapporti formali di lavoro, condizioni di sicurezza, stipendi e tutte le necessarie coperture;
  • sottolineando il ruolo della contrattazione e cercando di imporne la pratica: proprio in questa dinamica di emergenza, i decreti e le prassi tendono a riaffermare la centralità di dirigenti e direzioni, assegnando loro un pieno controllo dell’organizzazione del lavoro (dal telelavoro alle nuove esigenze didattiche imposte dalla situazione); anche in un periodo di emergenza, è importante invece che il sindacato rivendichi e pratichi ogni possibile spazio di confronto e contrattazione, dando un ruolo centrale alle RSU nelle scuole e nelle università nella gestione dell’emergenza e delle sua possibili soluzioni;
  • evitando ogni semplificazione e ogni stravolgimento dell’istruzione: nella scuola e nell’università abbiamo visto in queste settimane, nei documenti del governo come nei discorsi pubblici, imporsi la logica della didattica a distanza come risposta all’emergenza ed alla chiusura delle strutture; la didattica a distanza comprende strumenti diversi e articolati, per la grande maggioranza dei casi in una logica di supporto e integrazione al tempo scuola ed alle attività didattiche in presenza; in ogni caso la didattica a distanza ha bisogno di progettazione, strutture (informatiche e non) e supporti (dai tutor ai tecnici); pensare di attivare di punto in bianco esperienze di didattica a distanza, più o meno telematica, in maniera improvvisa e improvvisata, scarica semplicemente su lavoratori e lavoratrici le contraddizioni, i problemi, la responsabilità ed i carichi di lavoro di un facile slogan con poco senso applicativo [per tacere della ridicola proposta di riunire a distanza organismi scolastici e accademici composti da decine o centinaia di persone].

Il sindacato non può mettersi in quarantena. Proprio in questi mesi, nei settori della ricerca e dell’istruzione è aperto con il governo un ampio fronte di vertenze.
Sul precariato. Con il definitivo stravolgimento da parte del Ministro Azzolina di quel parziale e limitato processo di stabilizzazione, ora diventato una semplice selezione per l’assunzione di 24mila docenti (lasciando inalterato il precariato strutturale della scuola). Come con l’abbandono da parte del ministro Manfredi di una generazione perduta di decine di migliaia di precari nell’università ed oggi, proprio negli ultimi giorni, il passo indietro del governo sulla stabilizzazione dei precari della ricerca.
Sul contratto. Le risorse previste per il rinnovo 2019-2021 sono molto ridotte, (ben sotto le promesse di aumenti almeno a tre cifre). Non a caso Azzolina ha dichiarato che, in fondo, quello che interessa ai lavoratori e alle lavoratrici è quello che sarà in busta paga, non da dove arriva, e quindi l’aumento contrattuale si misurerà anche sulla base di quanto dato dal governo con la defiscalizzazione degli stipendi (rivelando che questa iniziativa della CGIL, come abbiamo più volte sottolineato come area programmatica, presenta notevoli problemi e contro indicazioni).
Sulle risorse al sistema istruzione e ricerca. Nei dieci anni successivi alla crisi si è continuato a tagliare le risorse per la scuola, l’università e la ricerca, portando avanti le politiche neoliberiste esplose nel decennio precedenti con Berlinguer, Moratti e Gelmini. Così la ricerca è sempre meno libera e sempre più soggetta alle esigenze del sistema produttivo. Così l’istruzione è sempre più differenziata tra territori e settori sociali, ricostruendo in questo paese una selezione di classe che si concretizza anche in istituzioni formative di classe. Il DEF e la prossima legge di bilancio, a fronte della conferma delle politiche di austerità degli scorsi anni e delle priorità degli investimenti sulle grandi opere, sembra ad oggi confermare questa traiettoria.

Infine, proprio l’emergenza di queste settimane ha reso evidente, come abbiamo sempre sostenuto, che l’autonomia differenziata è un progetto pericoloso e che quindi va ritirato. Con la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, si è affidato sempre più alla Regioni poteri e risorse nella gestione dei propri servizi di welfare. Oggi, con la legge Boccia, si vuole rafforzare ancor di più queste autonomie, differenziandole tra loro. Come si è visto proprio in queste settimane, però, così si producono sperequazioni e diseguaglianze tra i diversi territori, dividendo i lavoratori e differenziando i diritti universali. Una diversificazione che, proprio nei casi di crisi, esplode in comportamenti contrastanti e contraddittori. Lungi dal garantire i sistemi nazionali di welfare, le procedure ed il sistema di LEP definito da Boccia aprono pienamente la strada ad una fortissima frammentazione territoriale dei diritti e dei servizi universali, con conseguenze disastrose proprio per il mondo dell’istruzione dove arriveremmo, con l’autonomia differenziata, a 20 sistemi regionali diversi.

La FLC nei giorni scorsi ha disdetto il previsto sciopero del 6 marzo sul precariato (già debole e contestato). La Commissione di Garanzia degli scioperi, dopo aver fermamente invitato a disdire ogni sciopero sino al 31 marzo, ha vietato in questi giorni lo sciopero del 9 marzo di nonunadimeno nei settori pubblici. In molte scuole e università, sappiamo che vengono disdette assemblee e iniziative sindacali, mentre continuano a tenersi lezioni o il normale funzionamento degli uffici. Proprio in una fase di ulteriore peggioramento del quadro economico, davanti ad un’incipiente recessione mondiale che potrebbe esser innescata proprio da questa epidemia (ma che ha cause ben più profonde e lontane, nel quadro della Grande Crisi apertasi nel 2008/09), il sindacato non può rinunciare alla sua azione ed alla difesa degli interessi del lavoro, lasciando mano libera a governo e padronato nel proseguire in nome dell’emergenza le politiche di questi anni.

La decisione di sospendere il diritto di sciopero da parte dell’autorità garante è grave e costituisce un precedente antidemocratico pericoloso. Non vi è alcuna connessione, come è evidente a tutti, tra la necessità di fermare la diffusione dell’epidemia e quella di vietare gli scioperi. Il silenzio-assenso dei principali sindacati su questa violazione è colpevole.

Per questo la FLC deve programmare, sin da ora e pur nel quadro emergenziale in corso, uno sciopero generale della conoscenza ad aprile, costruendolo su rivendicazioni chiare e indipendenti, con assemblee in tutti i posti di lavoro nelle prossime settimane, sapendo intrecciare le vertenze in corso con le nuove evidenze sollevate dall’emergenza sanitaria, per un contratto che difenda salari e diritti per tutti,  per una strutturale stabilizzazione del precariato, per il ritiro di qualunque autonomia differenziata!

RiconquistiamoTutto nella FLC.

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