La scuola del Merito e la selezione di classe
In questi giorni i collegi dei docenti di tutte le scuole sono chiamati ad attuare l’ultima controriforma scolastica proposta dal ministro Valditara, ministro dell’istruzione ma soprattutto del merito. Si tratta della riforma dell’orientamento, uno degli obiettivi previsti a livello europeo dal PNRR.
La riforma prevede, nel solco dell’idea introdotta dalla buona scuola, che ciascuno studente sia dotato di una sorta di curriculum in formato elettronico, chiamato e-portfolio, in cui siano riportati, oltre ai suoi risultati scolastici, anche le competenze maturate dallo studente, le sue esperienze extrascolastiche, le certificazioni (linguistiche, informatiche ecc.), le attività di volontariato, di alternanza scuola-lavoro, i suoi “capolavori”, scolastici e non, per ciascun anno di corso frequentato e chi più ne ha, più ne metta. La redazione di questo curriculum elettronico sarà svolta con l’assistenza di un docente tutor dell’orientamento scelto dalla scuola tra i docenti che si sono formati all’uopo, attraverso corsi di formazione della durata di 20 ore curati dal ministero stesso attraverso l’istituto Indire. Inoltre in ciascun anno di corso delle scuole secondarie di primo e secondo grado, dovranno essere predisposti moduli dedicati all’orientamento di almeno 30 ore annue (circa un’ora a settimana).
Gli aspiranti tutor dell’orientamento (uno ogni circa 60 studenti) e un docente orientatore per ciascuna scuola saranno selezionati in ciascuna scuola sulla base dei criteri votati nei collegi dei docenti in questi giorni, ma il ministero suggerisce dei criteri preferenziali come l’esperienza nelle attività di orientamento (in primis i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, i famosi PCTO che hanno sostituito nominalmente l’alternanza scuola lavoro), la disponibilità a ricoprire l’incarico per almeno tre anni, l’anzianità di servizio.
La riforma è stata sbandierata come un passaggio utile verso l’individualizzazione dei percorsi scolastici, una maggiore aderenza dell’istruzione scolastica con il mercato del lavoro, la valorizzazione delle eccellenze tra gli studenti meritevoli.
Dietro questa retorica si nasconde il vecchio intento delle classi dominanti di utilizzare la scuola pubblica per fare selezione delle classi dirigenti e di trasformarla in un’agenzia di formazione dei lavoratori subordinati di domani, di presentare il lavoro non come un diritto costituzionalmente riconosciuto, ma come un privilegio da conquistare mettendosi in concorrenza con i propri simili, con la docilità e la sottomissione verso il padrone che saranno chiamati a servire.
Sia chiaro, la scuola italiana già oggi assolve a queste funzioni, come è evidente se si paragonano gli istituti tecnici e professionali ai licei classici e scientifici, le scuole del centro a quelle della periferia nelle grandi città, le scuole ubicate in regioni ricche e quelle in regioni o territori poveri (come se non bastasse, con il progetto di autonomia differenziata, il divario regionale è destinato a crescere a dismisura). L’impostazione classista data da Giovanni Gentile e dal regime fascista alla scuola italiana è tuttora presente, pur essendo stato mitigato grazie alle lotte delle studentesse e degli studenti e delle lavoratrici e dei lavoratori negli anni Sessanta e Settanta.
I meccanismi di selezione di classe che si propone di introdurre oggi però vanno oltre e individualizzano la selezione. Anche all’interno della stessa scuola ci saranno studenti non più con uno stesso diploma uguale per tutte e per tutti, ma ognuno avrà un proprio curriculum, a seconda di ciò che ha potuto fare durante il periodo scolastico anche al di fuori di ciò che la scuola può offrire. Certo ci saranno alcune scuole in grado di organizzare più progetti coinvolgendo le aziende del territorio, di finanziare certificazioni linquistiche pagando con i contributi volonotari delle famiglie i soggetti privati che le gestiscono, di fare campi velistici o settimane bianche. Ma ci sono scuole in cui le attività extra le devono pagare le famiglie, quelle che possono permettersele. Ci sono famiglie che non possono pagare periodi di studio all’estero e neanche un’attività sportiva per i propri figli, che magari dopo la scuola devono lavorare per contribuire al bilancio familiare, o guardare i fratellini e le sorelline mentre i genitori sono al lavoro tutto il giorno. Insomma i Gianni e i Pierino di Don Milani, oltre ad uscire dalla scuola con titoli di studio diversi, avranno un curriculum elettronico diverso: individualizzato a seconda del contesto sociale da cui provengono, da quanto la famiglia ha potuto spendere per il loro curriculum e da quanto ha potuto sostenerli negli studi.
Se il fine ultimo di questa riforma è da rigettare, non lo sono da meno i mezzi con cui si intende attuarla. In una scuola in cui gli stipendi sono fermi al palo e i più bassi d’Europa, in cui le classi sono sovraffollate (alla faccia dell’individualizzazione degli apprendimenti!), i finanziamenti europei del PNRR vengono destinati a dividere ulteriormente la categoria dei docenti, condizionando gli aumenti dello stipendio all’assunzione di ulteriori carichi di lavoro, pagati poco e male.
Uno dei cardini della propaganda ministeriale su questa riforma è proprio la retribuzione delle figure di docente tutor e degli orientatori. Il decreto ministeriale prevede compensi compresi tra 2.850€ e 4.750€ l’anno per i tutor e tra i 1.500€ e i 2.000€ per gli orientatori. Intanto queste cifre vanno ridotte del 25% per conoscere l’ammontare delle retribuzioni lorde per i dipendenti ed almeno di un ulteriore 30% per ottenere la retribuzione netta. Il problema è che per ottenere tali somme i tutor dovranno formarsi, svolgere almeno 30 ore l’anno di attività di orientamento per il gruppo loro assegnato, fare consulenza individuale agli alunni e alle loro famiglie sulle tematiche legate all’orientamento… Alla fine l’attività dei tutor sarà pagata meno di qualsiasi altra attività svolta a scuola (a parte la massa di lavoro gratuito che normalmente i docenti svolgono per spirito di servizio e per assecondare le molestie burocratiche che i dirigenti e il ministero puntualmente affibbiano ai lavoratori e alle lavoratrici del settore). La Uil-scuola ha stimato che queste attività saranno retribuite con 5,16€ nette per ora di lavoro degli orientatori e 7,34 per i tutor.
La riforma inoltre va a destrutturare i gruppi classe già costituiti ed a svuotare le competenze in materia di orientamento che normalmente hanno i singoli docenti e i consigli di classe stessi. L’orientamento in realtà è oggi normalmente svolto nell’ambito delle quotidiane attività didattiche dei docenti e programmata dai consigli di classe e dai collegi docenti per quanto riguarda le iniziative che coinvolgono soggetti esterni alle scuole: università, associazioni o singole figure professionali, aziende ecc. La costituzione di gruppi fino a 60 studenti con cui svolgere attività completamente scollegate dalla didattica ordinaria non ha alcun senso. Inoltre il minimo di 30 ore annue da dedicare a queste attività rischia di far proliferare ulteriormente i progetti extracurriculari in appalto a soggetti esterni alla scuola, spesso privati che perseguono i loro interessi particolari.
L’unico modo di boicottare questa riforma, nonostante i sindacati non sembrano avere nessuna intenzione di mettere i bastoni tra le ruote della furia controriformista del governo più a destra della storia della Repubblica, è che i docenti si rifiutino di sottostare a questo ennesimo ricatto economico e non si candidino a diventare tutor dell’orientamento. Sarebbe altresì opportuno che si sviluppasse un movimento, in solidarietà con le studentesse e gli studenti che pure hanno ripreso a mobilitarsi negli ultimi anni, per battere la logica delle “buona scuola” neoliberista, trasversale ai governi borghesi che si succedono al potere in questa fase storica.
Francesco Locantore
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