In piazza contro una legge di bilancio reazionaria e classista

Un dicembre di mobilitazioni, un primo passo per un’opposizione sociale di massa a questo governo.

Il governo Meloni ha confermato in questi due mesi la sua natura ed il suo profilo sociale, del resto già evidente per i partiti che lo costituiscono, le loro traiettorie politiche e la campagna elettorale svolta. Un impianto, in ogni caso, ribadito dai discorsi della Presidente del Consiglio alla prima fiducia alle Camere.

Lo abbiamo visto nei suoi primi passi, dal forte contenuto politico e identitario: il decreto Rave (volto a criminalizzare i comportamenti che rompono i binari del conformismo sociale e dell’industria ricreativa, ma che è stato scritto e interpretato per esser usato contro ogni occupazione, anche studentesca o sindacale); la politica ipernazionalista, repressiva e inumana contro i migranti nel Mediterraneo, con l’illegittimo blocco delle navi a Catania e la considerazione dei profughi come carichi residuali; le dichiarazioni di Valditara sul merito e l’umiliazione, esemplificativo di quell’istruzione classista, duale, schiacciata sulle imprese che il Ministro ha tracciato nel suo atto di indirizzo alle Camere; la conferma ed anzi il rilancio dell’invio delle armi in Ucraina, schierando con ancor più determinazione l’Italia nel quadro delle politiche NATO e nella contrapposizione interimperialista in corso.

Lo abbiamo visto nella sua azione, a partire dalla manovra di bilancio. Una politica economica e sociale che conferma l’asse padronale del governo Draghi: il pedissequo rispetto dei saldi imposto dall’Europa; il sostegno alla produttività totale dei fattori e quella delle aziende; gli interventi per questo o quel settore imprenditoriale. I 35 miliardi della manovra continuano a non intervenire su sanità, scuola e servizi sociali (confermando le politiche di austerità nonostante la pandemia, anzi aggravandole nel quadro di un’inflazione oltre il 10%). Venti su 35 miliardi si concentrano sulle bollette, andando però soprattutto incontro alle imprese (oltre 9 miliardi). Si introducono politiche a favore di professionisti e commercianti (i 5mila euro di contante, la flat tax al 15% sino a 85mila euro; l’esenzione sul POS sino a 60 euro). Si aumenta la precarietà, reintroducendo i voucher nella totale assenza di diritti e tutele. Si prosegue a non sostenere i salari, non prevedendo risorse per i contratti pubblici scaduti da un anno e prorogando la decontribuzione del 2%, a spese però di una stretta sul Reddito di cittadinanza che preannuncia la sua sostanziale abrogazione. Si accelera e radicalizza l’autonomia differenziata, prevedendo la realizzazione dei LEP anche per via commissariale entro un anno, e quindi portando a compimento quella subordinazione dei diritti sociali alle logiche di austerità inscritte nella riforma del Titolo V con la definizione del costo e del fabbisogno standard. Una manovra contro il lavoro e le classi subalterne.

Contro questa politica classista e reazionaria è necessaria un’opposizione sociale. Abbiamo chiesto alla CGIL di farsi carico di questa responsabilità, unica organizzazione di massa che aveva la forza e l’opportunità di farlo riunificando la moltitudine del lavoro scomposta dalla crisi e sviluppando convergenze con i movimenti che si sono espressi in questi mesi (da Friday for future agli studenti). Il corteo dell’8 ottobre, ad un anno di distanza dall’aggressione fascista a corso Italia, era una prima occasione che avrebbe dovuto portare ad un’iniziativa autunnale di assemblee, mobilitazioni e scioperi, per difendere salari e diritti. Così non è stato e si è preferito attendere, aspettando di esser ascoltati e le eventuali risposte del governo. Si è solo perso tempo. Oggi si arriva finalmente a convocare, in tempi oramai compressi, una settimana di scioperi generali regionali, articolati dal 12 al 16 dicembre, insieme alla UIL.

È un primo passo, che sosteniamo con determinazione: per avere un senso, però, deve esser il primo passo di una nuova stagione di ripresa della conflittualità, proseguendo e perseguendo il contrasto alle politiche di governo, con la convocazione di uno sciopero generale sui salari e contro l’autonomia differenziata nei primi mesi del 2023. La nostra partecipazione e il nostro contributo, allora, si rivolgeranno non solo a sviluppare la massima adesione e partecipazione a questo sciopero e alle sue iniziative di piazza, ma a far proseguire questa mobilitazione intrecciandola e facendola convergere con le tante lotte e i movimenti che in questi mesi abbiamo attraversato.

Domani le piazze saranno riempite dallo sciopero dei sindacati di base e sabato a Roma si terrà un corteo nazionale contro la guerra e per alzare i salari. Ogni iniziativa è oggi importante. La capacità di sviluppare convergenza e unità tra le diverse soggettività del sindacalismo di base, che si conferma in questo sciopero dopo lo scorso maggio, è un passo positivo in questa direzione. Per questo ci auguriamo che queste piazze siano piene e segnino il passaggio ad una ripresa dell’iniziativa del lavoro, proseguendo negli scioperi e nelle mobilitazioni del prossimo dicembre, e quindi nello sviluppo di convergenze ampie e di massa nei prossimi mesi.

La resistenza contro questo governo ci impegnerà tutti e tutte: sarà dura. Un cammino, in ogni caso, inizia dal primo passo: speriamo allora che questo dicembre segni una prima ripresa di una mobilitazione generale del lavoro e per questo obbiettivo oggi ci impegniamo.

RiconquistiamoTutto
Area programmatica della CGIL

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