E.Como: Il “meno peggio” è un danno!

Intervento di Eliana Como, direttivo CGIL 28 luglio 2022

Eliana Como al direttivo nazionale CGIL:Bene la manifestazione l’8 ottobre. Se la destra avrà vinto le elezioni sarà un 25 aprile d’autunno. Ma noi dobbiamo dare risposte ai problemi sociali del paese: salario, pensioni, contratti, precarietà. Siamo disposti a fare sul serio stavolta, a scioperare e convergere con i movimenti? Perché non basterà una manifestazione di sabato, se sarà solo la (giusta) risposta democratica e antifascista al nuovo quadro sociale”.

Qui il nostro ODG (bocciato con 6 voti a favore) presentato ieri in alternativa all’ODG della segreteria nazionale (approvato a larga maggioranza).

L’intervento al direttivo:

Con franchezza, dico subito che non ho condiviso il comunicato della Cgil uscito dopo le dimissioni del governo Draghi. Con quell’ultima frase “non è il momento di fermare le riforme” credo che, a prescindere da quello che poi ci diciamo qui, abbiamo tirato una riga sopra la parola “indipendenza”.

Quel comunicato è uscito pochi giorni dopo una intervista al segretario generale che andava in tutt’altra direzione e annunciava “in autunno il paese esplode”. Questo modo altalenante di usare la comunicazione non ci aiuta nel lavoro quotidiano di costruzione del consenso. Un giorno promettiamo le barricate, il giorno seguente ci accodiamo al coro dei responsabili.

In ogni caso, c’è un filo conduttore che porta a quel comunicato, anche al netto degli slogan del giorno prima. È un filo dritto e continuo che parte da febbraio 2021, quando la scelta di Mattarella sul nuovo capo del governo fu accolta come “autorevole” dal nostro segretario. È lo stesso filo che poco dopo ci ha portato a firmare il Patto per l’innovazione con Brunetta, invito a cena compreso. E ci fatto “prendere atto” della fine del blocco dei licenziamenti a luglio, nonostante due giorni prima in piazza tuonavamo “non un passo indietro”. Fino ad arrivare in ritardo, a Natale, allo sciopero generale, a legge di bilancio praticamente ormai approvata (peraltro: ora diciamo che la Cgil ha scioperato il 16 dicembre contro il governo. Ma solo io ricordo dal palco di piazza del Popolo, quel giorno, nel comizio finale dire “non stiamo scioperando contro il governo”?). E’ lungo quello stesso filo che durante tutti questi mesi abbiamo scelto di non dare continuità a quello sciopero, nonostante nel direttivo di fine anno l’avessimo auspicata “già da gennaio”. Per mesi, nonostante le ragioni dello sciopero fossero ancora più urgenti, a causa dell’impennata inflazionistica e della guerra, non abbiamo fatto niente, che non fosse il direttivo in piazza il 18 giugno con i delegati/e ma senza i lavoratori e le lavoratrici.

Per me è proprio quel filo il problema. Un filo conduttore che corre lungo tutta la durata del governo Draghi, non improvvisata nelle sue ultime ore di vita. È quel filo, quello della passività e della rinuncia a una vera opposizione sociale, che va tagliato il prima possibile. Esattamente perché quelle riforme che diciamo non dovrebbero fermarsi non sono per noi, ma contro di noi.

Oggi decidiamo di organizzare una manifestazione in piazza a Roma sabato 8 ottobre e poi iniziative locali il 9 a un anno di distanza dall’assalto alla nostra sede di Corso Italia. Per me va bene, ci mancherebbe. Evitiamo che sia come il 18 giugno il presidio di apparato e di delegati/e, perché è ora di portare in piazza i lavoratori e le lavoratrici, costruendo la mobilitazione nelle assemblee a settembre.  Ma certo che sono d’accordo.  A una settimana da elezioni che verosimilmente consegneranno alla destra il pieno di voti, con il rischio che siano al governo il giorno del centenario della Marcia su Roma, quella nostra giornata può diventare un 25 aprile in autunno, tanto più se è legata alle iniziative del giorno dopo contro l’assalto fascista dell’anno scorso.

Bene questa decisione, quindi, la condivido, ma il punto però e quello che chiedo è altro. Noi stavolta facciamo sul serio? Questa manifestazione sarà soltanto la (giusta) risposta democratica e antifascista all’avanzare della destra oppure la costruiamo finalmente sui bisogni sociali del paese, a partire da salario, pensioni (di cui oggi non si è detto una parola!), contratti nazionali, precarietà, stato sociale? Questa manifestazione la costruiamo insieme agli altri movimenti che saranno in campo in autunno, per il clima, per la pace, per la scuola mi auguro? E soprattutto siamo pronti a mettere in campo anche iniziative di sciopero a sostegno della mobilitazione?

È importante la scelta che prendiamo oggi, ma con franchezza corriamo il rischio che una manifestazione di sabato solo sui temi dell’antifascismo pur riempiendo le piazze, non risponda alle domande sociali dei lavoratori e delle lavoratrici che rappresentiamo. Quel vuoto continuiamo a non riempirlo e a lasciarlo alla destra che lo riempie della sua propaganda di odio.

A me fa paura un governo Meloni, certamente, come a tutti/e qui dentro. Ma nonostante tutto non mi appassiona, non mi ha mai appassionato, una linea sindacale basata sul principio del meno peggio.

È tutta la vita che sento che dovrei votare o sostenere il meno peggio. Il primo è stato Dini, che era meno peggio di Berlusconi ma ha fatto la prima controriforma sulle pensioni. Di meno peggio in meno peggio, c’è stato Prodi, poi D’Alema e un decennio intero di concertazione con la moderazione salariale e la precarizzazione del mercato del lavoro. Fino a Monti, che di nuovo era meno peggio di un altro governo Berlusconi, ma ha approvato la legge Fornero e cancellato l’articolo 18. Anche Renzi, all’inizio era meno peggio di Monti. E ora arriviamo agli ultimi gradini del peggio, che è Draghi, l’uomo dell’austerità, delle banche, delle privatizzazioni, dei tagli alle pensioni e allo stato sociale. Ma persino lui diventa il meno peggio di qualcos’altro. E sarà pure vero magari, Draghi potrà anche essere meno peggio della Meloni, non lo so. Mi chiedo se ha senso pensare di portare le persone a votare con questa prospettiva. Non credo che possano capirci, soprattutto se misurano il fatto che quando siamo di fronte al governo del meno peggio abbiamo il timore reverenziale di contrapporci, di essere radicali, di costruire conflitto.

Peraltro ammesso che Draghi sia meno peggio della Meloni, ricordo che la destra razzista, sessista e omofoba è già in questo governo appena caduto. La Lega ne fa parte, possibile che lo dimentichiamo! E infatti in questi 4 anni nessuno ha abrogato i decreti sicurezza. Il DDL Zan è stato bocciato con il voto segreto non solo per i voti sfacciati della destra omofoba, ma anche perché nel segreto dell’urna sono mancati una parte di quelli che dovrebbero sedere nella parte sinistra del Parlamento. Ieri hanno bocciato una norma che doveva inserire il linguaggio inclusivo negli atti formali, per cui le ministre restano ministri e le senatrici senatori, al maschile. A qualcuno sembrerà poco importante, ma non lo è, soprattutto se decidi che voti contro una norma che quasi dovrebbe essere applicata solo per buon senso, oltre che per rispetto della grammatica. Eppure, sempre con voto segreto, è stata bocciata, da questo Parlamento, non hanno dovuto aspettare il prossimo. Ben più grave, ieri il PD si è degnato di votare contro il rifinanziamento della Guardia Costiera in Libia, quindi contro i respingimenti nei lager. Ma un anno fa, lontano dalle elezioni chi ci spiega perché votò invece a favore!

Allora, di meno peggio in meno peggio, secondo me, non andiamo da nessuna parte. Il sindacato faccia il suo mestiere, sempre. Cioè rivendicare condizioni migliori per la classe che rappresentiamo, costruire conflitto, rapporti di forza, mobilitazioni. Non arrendersi al meno peggio.

Mi piacerebbe almeno che Draghi fosse caduto da sinistra, come Macron messo in difficoltà alle elezioni da Melanchon. O come Johnson che esce da Downing Street dopo una settimana di scioperi dei trasporti che hanno bloccato il paese contro i tagli e il caro vita. Mi piacerebbe che almeno il nostro meno peggio fosse un governo come quello spagnolo, che perlomeno approva leggi contro la precarietà e per la tassazione dei patrimoni.

Altro che considerare “prime positive risposte” i 200 euro del governo Draghi (che con la decontribuzione finiamo per ripagare di nuovo noi).

Eliana Como – prima firmataria del documento Le radici del sindacato

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