Ricomincio da tre: classe, indipendenza e democrazia sindacale.
Nel corso del 2022 la CGIL affronterà un’assemblea organizzativa [dal 10 al 12 febbraio, a Rimini] ed il XIX congresso, salvo eventuali slittamenti ad oggi indeterminabili. Questo percorso avverrà in un contesto mutato rispetto alla precedente tornata congressuale, segnato da due anni di pandemia, da un’estesa e profonda recessione, dall’approfondirsi delle contraddizioni determinate dalla grande crisi iniziata nel 2008/09. Alla vigilia di questi appuntamenti, con il punto di vista di chi ha contribuito a far vivere #RiconquistiamoTutto nella scuola, nell’università e nella FLC, vogliamo allora proporre alcuni elementi di riflessione, per fare un punto sulla Cgil e su di noi.
La CGIL, in questo autunno, è stata nell’angolo e sotto attacco. Il governo Draghi, infatti, non ha mai avviato un reale confronto con le parti sociali: così, dal PNRR alla Legge di Bilancio, gli interessi del lavoro sono stati travolti da politiche economiche regressive, l’uso di risorse pubbliche per la riconversione del sistema produttivo, la rifunzionalizzazione dei servizi pubblici a sostegno dell’impresa. Del resto da un governo guidato dall’ex presidente della BCE, autonomo da necessità di consenso, non ci si poteva aspettare niente di diverso. L’assalto fascista a corso Italia ha poi posto la CGIL nel mirino di provocazioni reazionarie, dopo le incerte contrarietà al green pass, un sostegno alle vaccinazioni obbligatorie e una scarsa capacità di incidere sulla realtà: per diverse settimane le sedi CGIL sono state oggetto di attacchi e atti vandalici. Lo sciopero generale del 10 e del 16 dicembre, solo con la UIL e tardivo, è stato infine al centro di un attacco mediatico, teso a squalificarne le ragioni e svalutare ogni autonomia azione sindacale. A diventare sempre più evidente è stata allora l’inconcludenza della CGIL: una organizzazione di massa che ha retto nell’ultimo trentennio [tenendo un radicamento nell’industria e nei servizi, estendendolo nel pubblico, conservando oltre 5 milioni di iscritti anche tramite i servizi], ma che vede radicalmente ridursi la capacità di difendere le condizioni e gli interessi del lavoro [non a caso l’Italia è l’unico paese OCSE che, dal 1992, ha visto calare i propri salari reali].
Noi pensiamo che la Cgil si difende se si difende la sua indipendenza, sul solo terreno della difesa degli interessi di lavoratori e lavoratrici. È necessario un bilancio di questi anni. La ricerca di una cogestione della crisi, che ha segnato gli anni novanta con la concertazione e l’ultimo decennio con le proposte di patto sociale, si è basata sull’ipotesi di conciliare gli interessi del lavoro con quelli del padronato, anche attraverso politiche governative basate sui due tempi (i sacrifici oggi per la redistribuzione domani). Il secondo tempo è sempre stata e sempre sarà un’illusione. Proprio le dinamiche dell’attuale crisi (la ricerca spasmodica di nuovi margini di profitto, la competizione internazionale) rendono instabili le sue politiche di gestione e vana ogni ricerca di comuni interessi. Questa linea rischia quindi di svalutare progressivamente diritti e salari, sino a quando avremo difficoltà a difendere l’esistenza stessa del sindacato. Serve una svolta. Come ha mostrato il Collettivo di fabbrica GKN, con la lunga occupazione dello stabilimento e la generalizzazione della propria vertenza, è necessario riprendere la strada della mobilitazione su parole d’ordine precise, a partire dal ripristino del divieto di licenziare, ricostruendo un radicamento nei tanti e diversi luoghi del lavoro contemporaneo [come insegna l’esperienza dei delegati di raccordo], unendo le diverse articolazioni del lavoro e combattendo ogni forma di precarietà [e voi come state?], rivendicando diritti e autodeterminazione del lavoro [come la nazionalizzazione e il divieto alle delocalizzazioni]. Serve lottare per difendere i nostri interessi in una prospettiva generale di trasformazione. Serve cioè tornare alle nostre radici, dispiegando le ali del cambiamento e dell’abolizione dello stato di cose presenti.
La conferenza e il congresso saranno segnati dall’attuale segretario generale. L’elezione di Maurizio Landini nel gennaio 2019, dopo il contrasto FIOM a Marchionne e il confronto con Camusso [2010 e 2014], dopo l’aperta contrapposizione con la candidatura di Vincenzo Colla, aveva innescato aspettative di una svolta di movimento, a partire dell’evocazione del sindacato di strada. La sua segreteria ha avuto però un’altra impostazione, più simile alla resa del CCNL 2016 che alle suggestioni della coalizione sociale, a partire dal suo discorso di candidatura alla Camera del Lavoro di Milano (novembre 2018).
Il nucleo programmatico delineato dalla CGIL negli ultimi anni, che arriverà al vaglio di questi due appuntamenti, ci pare infatti definito soprattutto da altri elementi:
- l’obbiettivo di un’unità sindacale organica con CISL e UIL, politica e organizzativa, che trova le sue radici nel presunto superamento di un sindacato di classe che deve quindi allinearsi ad una visione della società nella quale non esistono interessi contrapposti;
- il proseguimento e l’accentuazione di una linea di responsabilità sociale, tesa a salvaguardare il sistema paese e quindi gli interessi dominanti [indicativo il comportamento durante gli scioperi del marzo 2020, teso soprattutto a evitare che la paura si trasformi in rabbia];
- la rivendicazione di un nuovo ruolo sindacale, oltre a quello politico generale, la rappresentanza categoriale e i servizi: la cogestione con il governo[a partire dagli investimenti delineati nel PNRR] e la partecipazione alle scelte di impresa [definita nel documento Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo];
- la centralizzazione della CGIL, sia nella prassi contrattuale (vedi il patto di fabbrica e le intese nel pubblico impiego), sia sul versante organizzativo (rispetto alle categorie sulle camere del lavoro, rispetto al territorio con la gestione dei dati a corsi Italia).
In ogni caso, questa impostazione, come l’attuale leadership, non è esente da differenziazioni e contrasti nella stessa maggioranza. Lo sciopero di dicembre, con la possibile prosecuzione di una mobilitazione nella prossima stagione, pone infatti due nodi. In primo luogo, l’aperta contrapposizione con la CISL ha rotto per il momento l’unità sindacale: anche se questo in sé non mette in discussione la prospettiva di un’unità organica, innesca comunque una stagione di possibile competizione, con inevitabili tensioni in chi la ritiene prioritaria, anche verso la politica e le tendenze alla disintermediazione. In secondo luogo, la contrapposizione con la maggioranza parlamentare rende evidente l’assenza di una rappresentanza politica del lavoro: da una parte alcuni ritengono si debba giocare un ruolo in questo vuoto, interloquendo con ogni governo [compreso il Conte I], ma anche agendo nella dinamica politica come soggetto di rappresentanza del lavoro; dall’altra altri pensano che la CGIL sia storicamente collocata nell’alveo del centrosinistra, debba focalizzarsi sul perimetro sindacale e ricucire col fronte progressista (anche in vista delle elezioni e del prossimo governo). Questi nodi possono diventare nei prossimi mesi il terreno di confronto di altre dinamiche della maggioranza e dell’apparato, relative alla leadership e alla riconfigurazione dei rapporti tra categorie e camere del lavoro. Non escludiamo quindi che nei prossimi mesi si sviluppino dialettiche nella maggioranza, già in parte emerse, che possono arrivare a riarticolare (anche con diverse composizioni) le contrapposizioni che hanno caratterizzato l’attuale maggioranza negli ultimi due congressi.
Il nostro punto di vista è un altro. Siamo ovviamente consapevoli che la dialettica dell’attuale maggioranza CGIL si snoda su aspetti rilevanti per l’insieme del movimento operaio e, in ogni caso, per la più immediata dinamica dello scontro di classe in questo paese. Negli ultimi mesi, il Direttivo nazionale ha ad esempio vissuto un serrato dibattito sulla Legge di Bilancio e quindi sull’opportunità dello sciopero generale [con punti di vista diversi nella stessa maggioranza, tra chi la riteneva espansiva e con luci ed ombre piuttosto che neoliberale e contro il lavoro]. In questa dialettica non siamo stati neutri o passivi: abbiamo sostenuto le ragioni dello sciopero, in categoria (votando unitariamente un ordine del giorno) e in confederazione (presentando insieme ad altre aree un testo alternativo). Nella conferenza di organizzazione e nel prossimo congresso, però, il nostro punto di vista non può che esser diverso da quello di tutte le voci dell’attuale maggioranza. Per noi la CGIL deve perseguire l’unità del lavoro, non quella tra le diverse organizzazioni, che rappresentano una pluralità fondata su una diversa pratica sindacale, una diversa concezione della democrazia (sindacato del lavoro o sindacato degli iscritti), un differente impianto strategico (la ricerca dell’accordo fra le diverse parti sociali, la difesa degli interessi del lavoro contrapposti al capitale). Per noi il sindacato deve rompere con una politica che è contro i lavoratori e le lavoratrici, espressione di governi che non difendono diritti e salari, evitando ogni appoggio a questi esecutivi (come invece è stato fatto in momenti cruciali, come alla nascita del Conte II o dello stesso Draghi). Per noi il sindacato non deve esser di strada, centrato sui servizi ai cittadini o tantomeno esser legata ad una funzione sussidiaria alla produzione ed ai diritti sociali: per noi è importante ricostruire un sindacato generale del lavoro, a partire dai luoghi di lavoro, per ricomporre la moltitudine del lavoro contemporaneo.
L’area a cui apparteniamo, #RiconquistiamoTutto, ha vissuto gli ultimi anni affrontando diverse difficoltà. Il XVIII congresso CGIL ha infatti segnato un nostro contenimento, al di là delle distorsioni burocratiche che si sono imposte con sempre maggior evidenza negli ultimi congressi. I risultati (30mila voti e il 2% dei consensi ufficiali) hanno complicato lo sviluppo dell’area, in una stagione di frammentazione dei conflitti di classe. Una difficoltà amplificata dalla moltiplicazione di prassi sindacali diverse, oltre che da conflitti ripetuti nell’area, talvolta con una personalizzazione defatigante e perniciosa. Questo confronto è diventato spesso problematico, mostrando talvolta un’incapacità di gestire questo pluralismo e le sue dinamiche, in alcuni casi con protagonismi, forzature ed una gestione verticalizzata della comunicazione, con conseguenze divisive e paralizzanti in alcuni territori [al di là della scelta di SCR di uscire e costituire una propria area programmatica].
Abbiamo però saputo affermare un punto di vista alternativo, raggruppando lavoratori e delegati attorno ad esso, non solo nei gruppi dirigenti ma nei posti di lavoro, contribuendo così al fatto che la discussione interna alla CGIL non si appiattisse. Abbiamo cioè cercato di elaborare e portare una nostra voce negli organismi e negli appuntamenti della CGIL, ma anche nei conflitti sociali e nei movimenti. Abbiamo cioè proposto in occasione di contratti, accordi, scelte del governo o crisi industriali un nostro punto di vista, cercando di sviluppare reti e pratiche che mettessero al centro rivendicazioni precise e mobilitazioni ferme sul terreno della difesa del lavoro, di tutti i diritti, contro gli attacchi di governi e Confindustria. Questo approccio, nel quadro dell’inconcludenza della linea di maggioranza (l’accordo di aprile 2019, il contratto integrativo sulla didattica digitale, il patto per la scuola), ci ha permesso di interloquire con lavoratori e lavoratrici, RSU e comitati, indipendentemente dagli schieramenti congressuali e talvolta anche dalle appartenenze sindacali. Nella nostra categoria, in FLC, abbiamo portando avanti testi alternativi al congresso, ai principali direttivi come sulle piattaforme contrattuali del 2016 e del 2021. Eppure, non abbiamo per questo rinunciato a contribuire a scelte positive della FLC o a segnare il contrasto di particolari derive, astenendoci o anche votando documenti proposti dalla maggioranza che si muovevano verso una dinamica conflittuale o aprivano contraddizioni che abbiamo valutato rilevanti. Allo stesso modo, non abbiamo esitato a proporre analisi e indicazioni autonome quando ritenuto opportuno (ad esempio, sulla DAD) o a condure azioni in comitati, coordinamenti e anche iniziative di lotta con altre strutture quando necessario (comitati contro l’autonomia differenziata, sciopero del febbraio 2019 con coordinamenti precari, iniziative dei sindacati di base, partecipazione a coordinamenti autoconvocati e appelli specifici di RSU). Consapevoli delle diverse prassi sindacali al nostro interno, abbiamo dato spazio ai diversi punti di vista nella discussione, nelle relazioni alle riunioni, nei voti differenziati nel direttivo, senza alcuna inibizione o stigmatizzazione.
Le diverse sinistre CGIL sono oggi chiamate a confrontarsi sui prossimi appuntamenti dell’organizzazione, a partire da chi in qualsiasi modo ritenga ci sia un’irriducibile antagonismo tra diversi interessi di classe. Alla proposta di una CGIL che punta verso una “cogestione” delle scelte politiche con il governo e Confindustria, in nome dell’“interesse generale”, linea che snatura il nostro sindacato, è necessario infatti contrapporre la difesa indipendente degli interessi specifici di lavoratori e lavoratrici, senza alcuna presa in carico di un presunto interesse “della società”. Tanto più in un contesto nel quale non si possono nemmeno escludere restringimenti degli spazi statutari e regolamentari, in direzione di un pluralismo controllato dai centri regolatori e articolato solo per strutture. Per questo riteniamo necessario pensare a possibili convergenze e far vivere un documento alternativo al congresso che possa aprire una prospettiva di reale difesa della CGIL. In questa direzione si è mossa l’assemblea dello scorso 12 luglio alla Camera del lavoro di Milano, promossa da #RT e di Democrazia e Lavoro. Quel confronto, però, è partito con troppo anticipo e, soprattutto, è rimasto fermo. Noi crediamo sia importante riprenderlo, aprendolo alle altre aree programmatiche disponibili [a partire dalle giornate di marzo] oltre che a tutti/e quelli/e che hanno una valutazione critica sull’attuale linea della maggioranza CGIL. Questa dinamica, infatti, rimetterà comunque in discussione profilo, impianti programmatici e modalità organizzative delle attuali aree.
Per questo, ai piedi di partenza di questa stagione, riteniamo utile sottolineare alcune impostazioni per noi fondamentali, a partire dalle esperienze e dai percorsi avviati nella nostra categoria.
- Un punto di vista di classe. Le radici di ogni sinistra sindacale sono nella riaffermazione della contraddizione tra capitale e lavoro, nella consapevolezza della necessità di difendere quindi gli interessi di una parte contro l’altra, nella prospettiva di una trasformazione sociale che elimini le attuale condizioni di sfruttamento dell’uomo sull’uomo oltre che di depredazione della natura. Il compito prioritario di un’area programmatica è allora quello di far vivere questo punto di vista nelle prassi sindacali, nelle intese e nei contratti, sapendo coniugare ed integrare rivendicazioni parziali con una vertenza generale sui nodi posti dalla crisi (riduzione orario di lavoro a parità di salario, salario minimo, nazionalizzazioni, ecc).
- La necessità di una linea alternativa. L’attuale maggioranza, al di là della sua dialettica sui tempi dell’unità sindacale e sul rapporto con la politica, non solo prosegue l’inconcludente ricerca di una gestione condivisa della crisi con padronato e governo, ma la radicalizza nel quadro della cogestione degli investimenti e nelle imprese, oltre che della centralizzazione contrattuale e organizzativa. In questi elementi di merito sono le ragioni della nostra collocazione statutaria all’opposizione, che in questo momento si esplica certamente in alcune parole d’ordine e prese di posizione precise, come il ripristino del divieto di licenziare (considerata la scellerata firma della CGIL alla Presa d’atto dello scorso giungo).
- Crisi, guerra e blocchi continentali. Un’area sindacale classista e alternativa si fonda sulla consapevolezza delle contraddizioni dell’attuale modo di produzione capitalista, a partire dalla tessitura di blocchi monetari ed economici continentali, lo sviluppo di imperialismi contrapposti, la conseguente pratica di guerra e militarizzazione sociale dei diversi blocchi. Qui si colloca l’Unione Europea, tentativo incompiuto di sviluppare un blocco tra diverse potenze, e quindi la necessità di una netta opposizione non solo alle sue politiche neoliberiste, ma anche al suo impianto imperialista.
- Democrazia sindacale. Una sinistra sindacale si fonda per noi sull’impegno per una radicale democrazia sindacale, ridando centralità a lavoratori e lavoratrici nelle decisioni su vertenze, accordi e contratti (referendum e voto segreto di tutti/e, non solo degli iscritti, oltre che piena parità per le diverse posizioni), nella libera scelta delle rappresentanze sindacali e nel pieno rispetto dell’autonomia dei delegati/e, oltre che nel pluralismo nell’organizzazione sindacale, a partire dal superamento del controllo dei centri regolatori sulla scelta dei gruppi dirigenti, una concezione collegiale delle segreterie, la centralità degli organismi politici e non degli apparati delle diverse strutture. In questo senso, il rifiuto dell’impianto del Testo Unico sulla rappresentanza [accordo del 10 gennaio] rappresenta un punto importante perché con quell’accordo si comprimono la libertà, la partecipazione e il pluralismo sindacale [prevedendo un quadro sanzionatorio che colpisce i comportamenti di strutture, delegati e lavoratori/lavoratrici; definendo una democrazia sindacale monopolio delle organizzazioni e non di lavoratori e lavoratrici].
- Una pratica conflittuale. Un’area sindacale sviluppa un’analisi e un’impostazione generale, collega le diverse esperienze presenti nell’organizzazione, vive negli organismi e negli appuntamenti della CGIL, ma è capace anche di proporre il suo contributo e portare avanti la sua azione anche nei posti di lavoro e nei conflitti, sviluppando autorganizzazione, coordinamenti e percorsi sindacali inclusivi, oltre le stesse appartenenze sindacali. Il conflitto di classe e la trasformazione sociale, infatti, non si esprimono solo nel sindacato, nei suoi organismi e apparati, ma si dispiegano nell’azione della classe. Per questo da sempre una sinistra sindacale non si chiude nell’organizzazione, ma vive, attraversa e pratica il conflitto sociale e la sua autorganizzazione.
- Il pluralismo di un’area sindacale. In una in fase di divisione del lavoro e di frammentazione della sinistra, un’area programmatica contiene l’inevitabile pluralismo di più impostazioni politiche, punti di vista sindacali, pratiche e modalità di intervento. Questo pluralismo deve esser valorizzato, evitando ogni rappresentazione dell’area come omogena, nelle sue scelte e nei suoi percorsi. Si deve quindi non solo rispettare, ma dar voce all’autonomia di categorie e territori, con la presenza e la rappresentanza al loro interno anche di punti di vista plurali. Per questo è necessario darsi strumenti e modalità espressive di questo pluralismo, sia nel dibattitto dell’area (mailing list, chat, assemblee e gestione delle riunioni) sia nella sua comunicazione pubblica (attraverso la libera presenza delle diverse voci e pluralità sul sito e sugli altri strumenti di comunicazione), oltre che garantire l’autonomia dei diversi livelli organizzativi (categorie e territori) rifiutando la logica dei centri regolatori, dando sempre la possibilità di espressione e organizzazione collettiva di chi non è d’accordo con le scelte assunte. Un pluralismo, ovviamente, che deve anche trovare espressione nelle rappresentanze dell’area, a partire dall’individuazione di organismi definiti secondo espliciti criteri di composizione, che tengano conto dei radicamenti, dei pluralismi e dei diversi punti di vista.
Con queste impostazioni, intendiamo quindi contribuire al difficile cammino che ci aspetta, a partire dalla nostra concreta esperienza di questi anni nella nostra categoria. Per provare a mantenere e sviluppare la concezione di una CGIL plurale, indipendente e classista.
Anna Della Ragione, Monica Grilli, Guido Masotti, Luca Scacchi
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