Così non va: si usa il green pass per dividere il lavoro e mascherare il disastro di scuola e università.

#RiconquistiamoTutto nella FLC sulle recenti scelte del governo Draghi.

Tra poco più di un mese le scuole e le università riapriranno le porte in una situazione pandemica che si prevede in peggioramento: una quarta ondata di cui già si avvertono le prime tracce. Il governo, per il momento, sembra aver previsto come unica misura sostanziale per garantire il rientro in presenza in sicurezza il green pass obbligatorio per il personale della scuola oltre che per personale e studenti dell’università.

Lo diciamo subito: noi siamo favorevoli alla vaccinazione ed alla realizzazione di un’ampia campagna per il personale e per gli studenti di scuola e università, ma siamo contrari al green pass per accedere al lavoro e al diritto all’istruzione. Siamo coscienti che il vaccino, in questo momento, sembri essere la miglior arma funzionale a disposizione contro il virus covid19, a fronte della sua contagiosità (sempre maggiore) e dei morti di questi due anni. Per questo, nonostante i limiti di questi vaccini e i problemi di condurre una campagna vaccinale nel corso di una pandemia, nei mesi scorsi abbiamo ritenuto fondamentale renderli accessibili a tutti e tutte, in Italia e nel mondo. In realtà, proprio il governo ha creato e crea continuamente insicurezza, dubbi e interrogativi sulla vaccinazione, con la scelta europea di rivolgersi a multinazionali private ed il rifiuto di nazionalizzare la produzione di vaccini. Siamo quindi favorevoli alle campagne vaccinali, ma riteniamo sbagliata la scelta del green pass per scuola e università. Da una parte si prevede un’inutile e ideologico obbligo di vaccinazione per il personale (tra l’altro, come nelle università, anche di quello che non è mai a contatto con nessuna tipologia di pubblico); dall’altro si limita l’accesso alle aule di insegnamento da parte degli studenti (unico paese al mondo). Siamo di fronte ad un governo non risponde all’interesse di salute della popolazione, ma ad un presunto interesse generale che in realtà è quello del capitale: un governo che lascia liberi di licenziare e però estende di fatto l’obbligo di vaccinazione a intere categorie, anche non a contatto con il pubblico. Una scelta che divide lavoratrici e lavoratori. Noi abbiamo oggi l’interesse prioritario di mantenere la loro unità e quindi denunciamo l’operato del governo, chiedendo che si metta in campo delle vere misure per il rientro a scuola e in università in presenza e sicurezza.

Leggendo la bozza Piano Scuola 2021, sembra infatti di vivere un eterno giorno della marmotta, dove tutto si ripete sempre nello stesso modo ma in cui nessuno tra i decisori politici sembra accorgersene. La scuola si prepara ad affrontare il terzo anno scolastico in pandemia con le medesime insufficienti misure degli anni precedenti. La responsabilità non può essere scaricata su lavoratrici e lavoratori.

Gli ultimi due anni scolastici sono stati infatti segnati dalla pandemia, dalla confusione e dalla didattica a distanza: la chiusura improvvisa e la didattica di emergenza della primavera dell’anno scorso; il lungo confronto sulle misure di sicurezza, esitato nella scelta di mascherine chirurgiche e di comunità oltre che del metro statico tra rime buccali (confermando quindi il dimensionamento delle classi e una distanza che non si distingue da quella di Legge, intorno ad 1,5 m2  per studente); le settimane di passione dei dirigenti scolastici che con il metro in mano hanno verificato come in moltissime realtà non era rispettabile neanche quel minimo distanziamento; la surreale e dispendiosa iniziativa dei banchi a rotelle per cercare di tamponare il problema; l’intestardirsi del Ministero sulle forme del concorso straordinario e quindi il rinvio di un anno di decine di migliaia di stabilizzazioni (un quinto di posti scoperti negli organici); la revisione di procedure e graduatorie per le supplenze proprio nel corso della pandemia (con caos e ritardi nell’assegnazione delle cattedre); l’organico covid iper-precario e licenziabile (poi confermato per tutto l’anno a novembre); le anodine indicazioni ministeriali sulla didattica digitale integrata, tratteggiando l’ipotesi di un uso strutturale della didattica a distanza collegata alla presenza con costi e carichi sul personale (di fatto ratificata in un CCNI); la sciarada sui traporti, dai limiti di riempimento (passati dall’80% per aprire le scuole al 50% con la seconda ondata) ai finanziamenti straordinari per aumentare le linee (usati in larga parte per sopperire alla crisi delle aziende); l’illusione dei turni, con effetti molto limitati (per i problemi di coincidenze nei trasporti, organizzazioni della scuola, il pasto nelle ore centrali della giornata); la mancanza di tracciamenti e presidi sanitari; l’inceppamento dell’autunno con la seconda ondata e il ritorno a generalizzate chiusure delle attività in presenza; le disarticolazioni territoriali a gennaio e febbraio (con le scuole on demand in alcune Regioni); l’inane affidamento del potere ai Prefetti per decidere tempi e riaperture delle scuole (che non hanno potuto che prender atto dei limiti strutturali che si conoscevano sin dall’autunno), le nuove chiusure generalizzate con la terza ondata; l’arrivo di Draghi e le inutili discussioni ideologiche sui recuperi estivi; la realtà di un piano estate improvvisato e parziale, limitato da risorse scarse e legate alle forme delle progettualità europee, che spinge le scuole verso il privato. L’ultima beffa è stata quella dei tagli dei docenti (nella sola provincia di Torino 100 posti nella scuola primaria!).

Per chiunque viva nella scuola o a contatto con essa, è stato subito evidente il disastro della didattica a distanza. Questo strumento emergenziale, portato avanti nel primo lungo lockdown dall’impegno personale dei docenti, ha mostrato in modo chiaro limiti evidenti e conseguenze pesanti. Rende strutturalmente difficile l’interazione che è alla base dei percorsi di crescita e di apprendimento, amplifica e moltiplica le disuguaglianze (emarginando i soggetti che sono fragili per problemi personali, classe sociale e contesti di vita). Limiti e conseguenze che non si tamponano con le forme cosiddette blended (classi splittate tra presenza e distanza), ma che anzi vedono moltiplicarsi i problemi per la diversa organizzazione didattica che questi diversi strumenti impongono. Limiti e conseguenze rese evidenti da diverse indagini, tra cui quelle condotte dalla stessa FLC. Eppure, non è stato fatto nulla per evitarla. Nulla.

E proprio in queste settimane, infatti, stiamo vivendo l’ennesima stagione di grande dibattito su come riaprire le scuole (dopo quelli della scorsa estate, di Natale, con la nascita del governo Draghi e poi la primavera). A metà luglio ci si è improvvisamente resi conto che la riapertura a settembre non è scontata e, nelle superiori in particolare ma non solo, la riattivazione della didattica a distanza è assai probabile (se non certa). La pandemia non è conclusa, nonostante i vaccini abbiano drasticamente ridotto ricoveri, complicazioni e decessi. Anzi, di fronte a un virus che ha un’elevata capacità di mutare, negli ultimi mesi si sono diffuse varianti più contagiose. Così la scuola, dove c’è un’ampia popolazione sotto i 12 anni che non è vaccinabile ed una tra i 12 e i 18 anni che è poco vaccinata, diventa ovviamente un contesto di rischio. Questo allo stato attuale, essendo sempre possibile che nel corso del prossimo anno scolastico si sviluppino altre varianti, magari resistenti al vaccino. Non avendo fatto nulla, si scopre ora che il prossimo anno scolastico sarà problematico. Ognuno allora si sbizzarrisce con idee, proposte, pareri tecnici e scientifici, opinioni colte e valutazioni informate.

Tutti/e in realtà sanno quello che servirebbe per riaprire in sicurezza. Lo si era già definito la scorsa estate, nelle conclusioni del Cts del 12 agosto 2020 e di una Commissione presieduta dallo stesso Ministro Bianchi.  Servirebbero trasporti (tenendo il 50% dei posti), che quindi dovrebbero esser finanziati e attivati. Servirebbe ridurre il numero degli allievi per classe al fine di garantire reali distanziamenti (il famoso smezzamento, il che vuol dire spazi e docenti, in particolare alle superiori ma non solo). Servirebbe garantire bolle di compartimentazione tra le classi. Servirebbe installare impianti di filtraggio dell’aria. Servirebbe rivedere i protocolli di sicurezza, mascherine e protezioni. Servirebbero tracciamenti e controlli sanitari in tutte le scuole (con tamponi gratuiti e a tappeto), con continuità e capillarità. Tutto questo non eviterebbe i problemi: ma potrebbe contenerli e permettere, nei limiti del possibile, un anno scolastico in presenza, recuperando spazi di socialità e di apprendimento.  Lo sappiamo dalla scorsa estate. Tutto questo però non si fa, perché per la scuola si è deciso di non spendere ulteriori risorse. Anzi, nel Piano Scuola 2021 viene ribadita l’importanza della continua e frequente aerazione dei locali, e il governo invece di provvedere con impianti di aerazione, si limita a suggerire di aprire le finestre!

Tutto si concentra sull’imposizione del green pass per personale e studenti universitari. Prevedendo sanzioni rapide per chi non si adegua (sospensione dello stipendio e di ogni altra retribuzione entro cinque giorni) e usando queste disposizioni proprio per poter evitare il rispetto di altre (e fondamentali) misure di sicurezza. Si arriva al ridicolo di scrivere nel decreto che è raccomando il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro salvo che le condizioni strutturali logistiche degli edifici lo consentano: cioè visto che c’è il green pass, se si può si rispetta il distanziamento, altrimenti pazienza e va bene lo stesso! Un provvedimento che crea infiniti problemi e contraddizioni operative (dal controllo quotidiano degli ingressi, anche per migliaia di persone come in università, al problema della gestione delle supplenze e dei visitatori). In realtà, questa misura è sostanzialmente inutile: nelle scuole oltre l’85% del personale è vaccinato (o si sta vaccinando, avendo già preso la prima dose), alcune Regioni (Umbria e Piemonte) sostengono che i dati ministeriali sono incompleti e che la percentuale, almeno nei loro territori, è più alta; nelle università, mentre la campagna nei confronti di giovani e studenti è appena partita (e quindi di difficile valutazione), per il personale non c’è comunque alcuna ragione di pensare che la situazione sia diversa dalla scuola (al momento non si hanno dati, ma hanno avuto accesso agli stessi percorsi della scuola).

Quindi, nella realtà la maggioranza del personale ha aderito alla campagna vaccinale con grande partecipazione e convinzione. Non lo ha fatto per l’azione del governo e del Commissario, ma nonostante questa. Il personale di scuola e università è infatti stato considerato, sin da febbraio, come prioritario [anche se poi una politica federalista sulla sanità, nonostante l’emergenza, ha permesso una gestione differenziata delle politiche vaccinali, creando anche aporie per il personale che, ad esempio, lavorava in una regione ma era residente in un’altra e non è stato vaccinato da nessuna delle due]. Un soggetto prioritario a cui si è destinato il vaccino Astrazeneca. Proprio su questo vaccino si è concentrata una comunicazione ambigua e contradditoria. Prima si è deciso di limitare il suo uso a chi aveva meno di sessant’anni (e una parte significativa del personale scolastico è sopra questa età), poi si è sospeso la sua somministrazione, poi la si è ripresa ma destinata a chi è sopra i sessant’anni, ultimamente la si è sostanzialmente abbandonata. Con una ridda di voci, comunicati, notizie, indicazioni fra loro contrastanti, che hanno inevitabilmente determinato incertezza e anche timore. Nonostante questo, non solo la gran parte ma ben oltre l’ottanta per cento del personale si è vaccinato, in larga parte proprio con questo vaccino.

Oggi queste proposte, qualificandosi come l’unica misura di sicurezza, rappresentano quindi un ulteriore attacco alle lavoratrici ai lavoratori. Un vero e proprio tentativo di scaricare su di loro le responsabilità dell’attuale difficoltà a riaprire scuola e università. Anzi di più, come esplicitamente arriva a dire l’Associazione Nazionale Presidi, è un modo per evitare di fare qualunque altra cosa: se ci sono i vaccini, non serve ridurre le classi, non servono i distanziamenti, magari non servono neppure le mascherine. Una richiesta allora doppiamente sbagliata: perché non ha nessuna particolare efficacia, perché serve a non prendere misure che invece sono comunque necessarie. Il vaccino come una foglia di fico. Un’operazione vile e meschina: vile e meschina proprio perché attacca chi in questi mesi non solo ha cercato di tener aperte le scuole e università, ma chi ha aderito volontariamente in massa alla campagna vaccinale. Degna di un governo semibonapartista e di una politica di pagliacci abituati a recitare le proprie parti nel teatrino mediatico delle dichiarazioni ad effetto.

Questa foglia di fico non è casuale e, comunque, non è neutrale. Questa campagna sui vaccini obbligatori nelle scuole e nelle università, per il personale e per gli studenti, viene oggi condotta perché si sa che su questo terreno, a fronte dei disastri degli ultimi anni, si può forse trovare un consenso di massa. Molti che la agitano hanno l’obiettivo di estendere a tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici l’obbligo del green pass. Lo si vede nelle dichiarazioni di Carlo Bonomi, Matteo Renzi, Vicenzo De Luca, Pietro Ichino [guardiamo bene chi ha fatto queste dichiarazioni: è una parte non casuale della società e della politica italiana]. Le ragioni, al fondo, sono le stesse: evitare impegni, investimenti, misure di sicurezza che dovrebbero esser generali (sul fronte della sanità pubblica, del controllo e delle protezioni nei luoghi di lavoro), scaricando solo e semplicemente sulla responsabilità personale dei singoli individui il compito di farsi carico della sicurezza. La primavera di un anno fa si doveva lavorare ad ogni costo [ricordate? Bergamo is running!] e si è dovuto scioperare per ottenere un minimo di sicurezza. Adesso, il padronato vorrebbe introdurre il green pass per continuare a correre, garantendo i loro profitti (magari, mentre ristruttura e licenzia, anche grazie alla cosiddetta presa d’atto firmata dai sindacati). Lo vogliamo ripetere: il governo lascia liberi di licenziare e obbliga a vaccinarsi!

Come abbiamo detto, noi pensiamo che le vaccinazioni siano utili e importanti per combattere questa pandemia. Con tutti i problemi legati alla scelta di investire su multinazionali private, con tutte le distorsioni che questa scelta e gli interessi di queste multinazionali portano, crediamo che siano uno strumento indispensabile per salvare vite ed arginare il covid-19. Per questo abbiamo chiesto e ci siamo battuti, insieme a larga parte delle organizzazioni sindacali, per ottenere una via preferenziale per poter vaccinare il personale scolastico e quello delle università. Come abbiamo compreso la necessità della vaccinazione per il personale sociosanitario a contatto con malati e persone fragili (ospedali, RSA, ecc). Pensiamo che la campagna vaccinale debba continuare, nel paese e anche con particolare riguardo per chi vive nella scuola e nelle università (personale, studenti e studentesse). Pensiamo che sia importante sostenere questa campagna vaccinale. Sapendo che questo non risolve limiti e problemi che abbiamo da tempo sottolineato, ma che può esser uno strumento in più per far funzionare scuole e università in presenza. Riteniamo però inutile un obbligo vaccinale universale esteso a tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, come riteniamo sbagliato prevedere un green pass per l’accesso alle scuole o alle università, limitando così il diritto all’istruzione.

Pensiamo che sia ora che il governo metta in campo delle vere misure per il rientro in presenza e sicurezza, con le risorse realmente necessarie e non con briciole indigeste. Le necessità della scuola sono quelle di personale, classi meno numerose, didattica in presenza, tracciamenti e ancora tracciamenti, dispositivi di protezione e protocolli aggiornati, impianti di aerazione, manutenzione ordinaria e straordinaria. Soprattutto, il rispetto che merita! Per le università servirebbe prevedere un reale piano nazionale di intervento: un protocollo nazionale di sicurezza (l’abbiamo per cinema e spiagge, non per gli atenei!), indicazioni uniformi per corsi ed esami (superando l’inutile competizione tra le sedi), risorse per duplicare dove necessario i corsi e ridurre la numerosità degli studenti nelle aule (senza affidarsi ad una didattica blended problematica e che si sa esser scarsamente efficace).

Pensiamo quindi che il ruolo del sindacato sia proprio quello di rivolgersi al governo con delle rivendicazioni precise che mettano al primo posto la difesa dei diritti di lavoratrici e lavoratori, la sicurezza nei luoghi di lavoro, la salute e l’istruzione! La FLC e la CGIL devono invertire la rotta che le hanno portate fino ad oggi ad appoggiare i governi di emergenza e denunciare con forza la politica di questo governo che sta portando alla stessa situazione di caos nell’istruzione degli anni precedenti, rimettendo in campo un movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, delle studentesse e degli studenti per rilanciare il diritto all’istruzione pubblica e la dignità del lavoro nei comparti della conoscenza.

#RT nella FLC

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