Contratto Multiservizi: ancora un rinnovo al ribasso.
Contratto Multiservizi: ancora un rinnovo al ribasso sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori.
A otto anni dalla scadenza del contratto è stata siglata da FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UIL-TRASPORTI l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto collettivo nazionale Servizi di pulizia e servizi integrati/Multiservizi, ora da sottoporre al voto nelle assemblee. Un rinnovo che coinvolge circa 600 mila lavoratori e (soprattutto) lavoratrici.
La trattativa si è svolta in riunioni ristrette, gestita dalle segreterie nazionali dei sindacati, secondo le quali il testo sottoscritto conterrebbe ancora punti di criticità su alcuni passaggi da risolvere nella stesura definitiva. Già questo lascia estremamente perplessi: quello che si deve discutere e votare è o non è il testo definitivo?
Di elementi di estrema criticità ce ne sono molti e talmente significativi da fare esprimere un chiaro e netto NO a questa ipotesi di accordo.
Proviamo ad affrontare i principali, andando per punti.
Nel cambio di appalto, nella fase di maggiore fragilità della condizione lavorativa, non vengono aumentate le tutele. Nel caso che il cambio di appalto preveda modifiche dei termini, cioè sempre (orari, prestazioni contrattuali, ecc.) non vengono scongiurati adeguamenti al nuovo regime. Non si respingono riduzioni dell’orario di lavoro, part-time obbligati, flessibilità dell’orario e delle giornate lavorative, mobilità.
Insomma, in cambio di appalto continuerà a succedere quanto puntualmente accade ogni volta! Quale sarebbe l’avanzamento sostanziale che viene sbandierato con l’incremento delle informazioni nelle comunicazioni tra aziende e organizzazioni sindacali?
Rispetto al contratto precedente si inserisce l’individuazione di iniziative di natura informativa e formativa volte a contrastare violenze, molestie sessuali e i comportamenti discriminatori nei luoghi di lavoro, mentre rispetto al tema della tutela delle donne vittime di violenza di genere si dàseguito alla normativa vigente, istituendo un massimo di 90 giorni lavorativi di congedo retribuito e anche ulteriori 90 giorni retribuiti al 70%.
Ma la formazione (se e dove verrà fatta), rispetto al tema delle molestie sessuali e delle violenze, può essere da sola un valido argine senza la cancellazione delle ragioni strutturali che sono alla base della diffusione degli abusi, delle violenze e delle discriminazioni di genere? Possiamo contrastare le molestie se non cancelliamo le situazioni di ricatto, se non eliminiamo la precarietà dal mondo del lavoro e dalle nostre esistenze?
E da questo punto di vista questo rinnovo non ci porta nulla di buono…
Infatti, viene aumentata la percentuale di utilizzo del contratto a termine, passando dal 20% al 25% e aumentata anche la percentuale della somministrazione a tempo determinato dal 12% al 15% (misura massima complessiva tra contratti aumentata dal 30% al 35%).
Viene anche prevista la possibilità di elevare i termini della durata del contratto a termine da 24 fino a 36 mesi, nel caso che l’azienda trasformi il 20% dei contratti a termine scaduti nei 12 mesi precedenti. Una deroga alla legge e uno scambio impari. Aggravato dal fatto che viene riconosciuto carattere di stagionalità (quindi senza vincoli e limiti temporali) alle attività di derattizzazione e disinfestazione.
Non solo, rispetto alla legge viene anche peggiorato il diritto di precedenza (nelle assunzioni a tempo indeterminato), aumentando da 6 a 12 i mesi di prestazione lavorativa necessari per esercitare questo diritto.
Vengono anche aumentati i casi specifici in cui non si applicano gli intervalli temporali tra un contratto e l’altro. Oltre alle attività stagionali, per la sostituzione di lavoratori assenti, per l’assunzione di lavoratori in cassa integrazione presso altra azienda e di lavoratori in NASPI e per l’assunzione di disoccupati con oltre 50 anni di età. Ecco come le cosiddette “politiche attive” del lavoro serviranno a fornire alle imprese un esercito di riserva precario e ricattabile.
Altro tema scottante e fondamentale, l’orario di lavoro e la pressione padronale sulla prestazione lavorativa.
Sulla flessibilità oraria il padronato porta a casa la possibilità di applicare la banca ore anche ai part-time (la maggioranza nel settore).
Le segreterie si fanno scudo spacciando per una vittoria il fatto che la questione sarà contrattata in sede aziendale e vincolata alla volontaria adesione dei lavoratori e delle lavoratrici. La realtà è un’altra: di fatto si apre un varco, senza il perimetro netto della contrattazione nazionale, a una ulteriore flessibilizzazione dell’orario di lavoro, scaricando sulle RSU/RSA la pressione padronale per la gestione della prestazione lavorativa, in un settore caratterizzato da frammentazione e debole contrattazione aziendale. Inoltre, parlare di “adesione volontaria” delle lavoratrici e dei lavoratori risulta del tutto mistificante – se non ipocrita – considerando la condizione di ricattabilità estesa in luoghi di lavoro dove vigono bassi salari, part-time involontari e situazioni di precarietà.
Sarà sicuramente molto difficile opporre una adeguata resistenza. Di fatto la contrattazione nazionale, invece di porre un argine, sta recependo quello che già da anni il padronato sta ottenendo azienda per azienda.
Peraltro, per quanto riguarda i contratti part-time, seaumentano le causali per recedere dalle clausole elastiche (la variazione della collocazione temporale e/o l’aumento della prestazione lavorativa), si allentano gli obblighi di informazione aziendale sui contratti part-time stipulati (da 6 a 12 mesi). Soprattutto non si pone alcun obbligo a consolidare le ore di lavoro supplementare che vengono prestate con continuità.
Ma allora come li contrastiamo i part-time involontari? È chiaro che al padronato converrà imporli, mantenendo basso l’orario contrattuale e usando tutti gli strumenti di flessibilità – orario supplementare, banca ore – per controllare e usare la prestazione lavorativa a loro favore e farci lavorare quando vogliono!
Per quanto riguarda la parte normativaviene addirittura introdotta nel contratto una nuova fattispecie di licenziamento, il licenziamento senza preavviso e pure con una penale a carico del lavoratore che non si presenti al lavoro senza giustificazione per 10 giorni continuativi. Una evidente gravissima concessione alle richieste padronali. Il sindacato deve respingere i licenziamenti, non introdurli nella contrattazione!
Sulla malattia le segreterie nazionali di FILCAMS, FISASCAT e UIL-TRASPORTI cantano vittoria perché per il momento la parte normativa non è stata modificata.
Attenzione però, perché il pericolo non è scongiurato. Nell’ipotesi di accordo i sindacati si mostrano disponibili a continuare la discussione su eventuali modifiche, con l’istituzione di una Commissione paritetica (sindacato e parte padronale) che attraverso una convenzione con l’INPS dovrà analizzare le malattie cosiddette brevi, con il compito di presentare una proposta di modifica della normativa sulla malattia da presentare al prossimo rinnovo contrattuale. E possiamo già aspettarci che questo avverrà.
Insomma, lo sfondamento padronale sulla malattia viene solo rinviato, mentre intanto si faranno metodici calcoli e misurazioni sulle assenze per malattia di lavoratori – ma soprattutto lavoratrici – distrutte da anni di lavoro usurante e turni massacranti e ingestibili.
Arrivando alla parte centrale del contratto, quello che affronta il tema del salario, sono previsti 120 euro (lordi) di aumento economico al 2° livello, divisi in 5 tranche annuali (di 40, 20, 30, 20, 10 euro) da luglio 2021 a luglio 2025. Da riparametrare sui diversi livelli e, ovviamente, sui part-time.
Si allungano i tempi di erogazione dell’aumento salariale. L’ultima tranche è prevista addirittura oltre la vigenza contrattuale (31 dicembre 2024). Non è previsto nessun recupero della vacanza contrattuale di otto anni. Uno scandalo per i lavoratori e le lavoratrici, un cedimento insopportabile da parte sindacale e un regalo per il padronato.
Gli aumenti sono tutti sui minimi contrattuali, ma determinati sulla base dell’inflazione misurata sugli indici IPCA (Indice Prezzi al Consumo Armonizzato) al netto dei consumi energetici, quindi inferiori all’inflazione reale, secondo un modello contrattuale ormai consolidato che si pone come obiettivo quello di mantenere la moderazione salariale, contro gli interessi e le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori.
È anche previsto a giugno 2025 un meccanismo di adeguamento salariale tramite il confronto tra indice IPCA preventivato e IPCA consuntivato nel periodo 2021-2025, che in caso di scostamento negativo si tradurrà in una restituzione di salario alle parti padronali, scaricata sul rinnovo del contratto nazionale e i relativi aumenti retributivi.
Viene introdotto lo stesso meccanismo anche nel periodo che seguirà la scadenza del contratto, nel caso non sia disdettato, fino al successivo rinnovo.
Un meccanismo che vincola e comprime il salario e che non garantisce aumenti certi, fissi, sostanziosi e adeguati al costo della vita. E che diventa sostitutivo del salario conquistato con la contrattazione e con le lotte.
Dal punto di vista salariale quindi complessivamente un pessimo risultato, che non apporta alcun miglioramento concreto. Neanche il superamento dell’unica quota fissa di anzianità forfettaria di settore (dopo 4 anni) per gli operai (la maggioranza) con la parificazione agli impiegati (e ai relativi scatti biennali).
Per tutte queste criticità, con un contratto scaduto da otto anni (un lungo periodo su cui – è bene ricordarlo – non c’è nessun recupero salariale), senza avere organizzato una adeguata mobilitazione, non si può accettare la chiusura della vertenza con una ipotesi di accordo segnata da una serie di concessioni e restituzioni alla classe padronale e che non prevede un reale avanzamento delle condizioni salariali e lavorative.
Stiamo parlando delle migliaia di lavoratrici e lavoratori che hanno subito i contraccolpi della crisi pandemica, in prima linea nei sevizi appaltati delle strutture sanitarie (dove hanno lavorato con più intensità, molto spesso in condizioni di insicurezza) o impoveriti da lunghi mesi di cassa integrazione, come nei luoghi della cultura.
Rimane anche irrisolto un problema di fondo: il Multiservizi è il contratto che viene applicato ormai universalmente nelle esternalizzazioni presenti in ogni settore (industria, logistica, sanità, cultura, ecc.) per comprimere salari e diritti, per dividere lavoratori e lavoratrici creando forti diseguaglianze. Un contratto che per questa sua natura non dovrebbe neanche esistere, come non dovrebbero esistere gli appalti, la cui cancellazione deve essere tra i principali punti di una necessaria vertenza generale, insieme alla ripubblicizzazione di tutti i servizi, con l’assunzione diretta di tutte le lavoratrici e i lavoratori.
Una vertenza che metta al centro proprio il tema del rinnovo dei contratti nazionali, come conquista di salario e di diritti, ed elemento di unificazione della classe lavoratrice, per uscire dalla logica delle vertenze isolate e autosufficienti, inadeguate a reggere la pressione della forza padronale.
Che si opponga ai licenziamenti (non dimentichiamo che il 31 ottobre cadrà il blocco anche per il terziario e i servizi), soppiantando l’indegno avviso comune sottoscritto da sindacati confederali, governo e padronato, che si sta dimostrando del tutto inutile a fermare chiusure e ristrutturazioni aziendali; che rivendichi la redistribuzione del lavoro tra chi lavora troppo e chi troppo poco, con la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario; che dica finalmente basta alle morti sul lavoro e al dilagare degli infortuni, imponendo la sicurezza sotto il controllo di chi lavora; che si opponga alla repressione nei luoghi di lavoro e all’attacco al diritto di sciopero; che miri alla cancellazione delle tipologie di contratto precario e al ripristino dell’art. 18; che lotti per l’abbassamento dell’età pensionabile, per il diritto a un assegno pensionistico dignitoso e per un sistema di welfare interamente pubblico e universale, per avere accesso a servizi gratuiti e non dovere portare sulle nostre spalle il peso del lavoro di cura; che ponga la questione di una vera patrimoniale, almeno del 10% sul 10% più ricco, per prelevare le risorse a chi detiene le ricchezze nel paese.
Indubbiamente non è un progetto facile a realizzarsi, ma non abbiamo alternative. Abbiamo già visto a cosa portano percorsi isolati e mal gestiti. Dobbiamo respingere la rassegnazione e l’idea che non si possa ottenere niente di meglio.
Negli otto lunghi anni della vertenza del rinnovo contrattuale non c’è stata nei luoghi di lavoro alcuna elaborazione e condivisione collettiva di una piattaforma rivendicativa, mentre la trattativa veniva gestita tramite incontri al vertice tra sindacati e associazioni padronali. Le iniziative sindacali sono state episodiche, senza nessuna preparazione attraverso il dibattito nelle assemblee, senza alcun tentativo di unificarsi con le lotte e le vertenze di altri settori.
Non è questo che può darci forza.
Abbiamo bisogno di altro. Di coordinamenti di delegate e delegati, di lavoratrici e lavoratori, di comitati di lotta e di tutte le forme possibili di auto-organizzazione, per discutere delle nostre esigenze e definire i nostri obiettivi, decidendo le forme di lotta da adottare.
Abbiamo bisogno della massima unità tra lavoratrici e lavoratori, a prescindere dalla sigla sindacale di appartenenza, per mettere in campo il nostro protagonismo e la voglia di riscatto, per unire le nostre forze in una vertenza che sia finalmente generale e di massa, per uno sciopero generale prolungato contro il fronte del padronato e del governo.
Donatella Ascoli
#Riconquistiamo tutto Opposizione FILCAMS CGIL – Venezia
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