D. Ascoli. La resa della CGIL e la necessità di una svolta radicale
Comincio con una critica alla gestione dell’assemblea, perché in questa fase si potrebbe tornare a trovarci in presenza, per un’assemblea più riuscita, efficace, e anche più umana. È vero come è stato detto nella relazione introduttiva (di Christian Ferrari, segretario generale CGIL Veneto), che ci troviamo in una fase eccezionale e di svolta. Una fase eccezionale che sta durando ormai da oltre un anno e una svolta negativa e distruttiva, arrivati al fatidico sblocco dei licenziamenti.
Però la CGIL di questa svolta distruttiva per tutti noi lavoratrici e lavoratori è responsabile. Non è invece affatto condivisibile l’idea che non ci fosse l’alternativa all’avviso comune. Non è così e ho l’impressione che qui si stia ricostruendo una realtà che non è quella che stiamo vivendo prima di tutto noi che stiamo nei luoghi di lavoro, perché l’avviso comune è nulla dal punto di vista delle tutele. Sappiamo benissimo che le imprese disdettano gli accordi di secondo livello, non rispettano molto spesso i contratti nazionali, quindi di cosa stiamo parlando, di raccomandazioni?
La realtà è che questa firma è stata una resa e un tradimento dal punto di vista politico sindacale e dal punto di vista del rapporto con i lavoratori e le lavoratrici. Nessun lavoratore e nessuna lavoratrice può credere veramente a un risultato di questo tipo.
Penso quindi che il segretario generale Maurizio Landini abbia una grande responsabilità e che dovrebbe a questo punto consegnare le sue dimissioni. Penso però che anche tutto il gruppo dirigente della CGIL abbia una pesantissima responsabilità. Se non si è consapevoli della gravità della situazione in cui noi stiamo versando, è necessario che tutto il gruppo dirigente della CGIL rientri nei luoghi di lavoro, per capire cosa siano le paure, i timori, l’insicurezza, l’incertezza di non avere più un futuro lavorativo, e quindi l’incertezza della propria sopravvivenza.
Mi tocca poi sentire qui non solo glorificato quello che viene spacciato come un risultato, ma glorificate anche le tre manifestazioni di Torino, Firenze e Bari del 26 giugno. Sono d’accordo sul fatto, come è stato detto prima del mio intervento (da Massimo Demin, FP Treviso) che siano state manifestazioni che hanno suggellato una chiusura. Avremmo avuto bisogno del lancio di una mobilitazione che aprisse veramente una stagione di lotta generalizzata e di massa. Invece non è stato così e la continuazione della storia – con l’avviso comune – ce lo ha dimostrato. Manifestazioni male organizzate, senza un percorso di assemblee nei luoghi di lavoro, di semplice pressione sulle istituzioni, ma sulle quali comunque, in ogni caso, c’era stato un investimento almeno propagandistico. Per questo, a maggior ragione il cedimento e la resa realizzata con questo avviso, ha tradito anche le stesse parole della fase immediatamente precedente.
Penso che affermare che l’alternativa non ci fosse perché non c’è un appoggio dentro le istituzioni e perché non ci sarebbe stata l’unità sindacale con CISL e UIL a dare vigore, forza ed energia a una prospettiva di mobilitazione sia completamente sbagliato, per le responsabilità enormi che la nostra organizzazione ha nei confronti della classe lavoratrice. Questa deve essere la bussola per spingere avanti la mobilitazione generale, ma su una piattaforma convincente e unificante, che possa parlare a milioni di lavoratori e lavoratrici di tutti i diversi settori. Una mobilitazione che faccia sue le parole d’ordine della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, della nazionalizzazione delle aziende che licenziano, delocalizzano, inquinano; di una vera patrimoniale che vada a prendere le risorse a chi detiene le ricchezze, quindi almeno del 10% sul 10% più ricco della popolazione; della cancellazione del regime degli appalti. La parola d’ordine del contrasto radicale, della fine delle morti sul lavoro e per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
A questo proposito vorrei aggiungere, facendo riferimento alle iniziative locali che sono in agenda, che se ha un carattere positivo la manifestazione del 20 luglio a Vicenza sulla salute e la sicurezza, la gravità della situazione in cui siamo arrivati rende del tutto insufficiente una manifestazione senza un programma di scioperi, senza la prospettiva dello sciopero generale. Tra gennaio e aprile del 2021 siamo arrivati a 306 denunce di infortuni mortali. Cosa c’è ancora da aspettare?
Sui temi che sono stati toccati vorrei soffermarmi su quello della logistica, che si associa a quello della grande repressione nei luoghi di lavoro. Un settore in cui il livello dello sfruttamento è notevolmente aumentato nella fase pandemica e in cui la repressione è arrivata a livelli drammatici. Voglio ricordare anche oggi Adil Belakhdim, il sindacalista del SI COBAS ucciso in occasione di un più che legittimo picchetto per uno sciopero. Ucciso da un camion che ha sfondato questo picchetto.
Non sono d’accordo con chi (Renzo Varagnolo, segretario generale FILT Veneto) è intervenuto alludendo a metodi non legali di organizzare le lotte. Non ci sto a criminalizzare chi lotta nei luoghi di lavoro. Lottare e alzare la testa è sempre legittimo e doveroso.
Inoltre, associandomi agli interventi che hanno fatto riferimento al clima politico che stiamo vivendo, vorrei aggiungere che il tema della repressione è anche legato anche al tema dell’avanzare delle destre. Lo dimostrano anche, nell’attacco a questi picchetti, gli interventi di squadracce legate ad ambienti di estrema destra.
Un clima politico in cui le destre stanno facendo le loro campagne. Vorrei concludere proprio su questo. Sono state citate le lotte sui diritti civili, osteggiate dalle destre. Voglio ribadire quanto siano importanti queste lotte e tutte le lotte della comunità lgbtqia+.
Penso che dovremmo approfondire questi temi. Mi pare di aver letto tra le righe in qualche intervento la tendenza a non considerare queste lotte di pari urgenza rispetto alle lotte per i diritti sociali. Non è così. Sono ambiti che si intrecciano perfettamente. Vorrei ricordare che tante persone oppresse, represse per la loro identità sessuale, la loro identità di genere, sono anche discriminate e represse nei luoghi di lavoro. Quindi non ragioniamo in questi termini e cerchiamo di portare avanti come organizzazione sindacale le battaglie per i diritti civili e le lotte sociali in completa associazione, per la liberazione dei lavoratori e delle lavoratrici (e deə lavoratə) dallo sfruttamento da tutti punti di vista.
Donatella Ascoli
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