La Valle d’Aosta, la CGIL e il PNRR.

Intervento di Luca Scacchi al Comitato Direttivo della CGIL della Valle d’Aosta, 21 giugno 2021.

Care compagni e cari compagni,
io inizio dalla morte di un sindacalista. Oggi non posso che iniziare da questo, cioè dall’uccisione qualche giorno fa di Adil Belakhdim, coordinatore novarese del Sicobas, travolto da un camion a un picchetto. Inizio da qui perché io credo che su questa vicenda, nel paese e soprattutto nella CGIL, si sia poco razionalizzato e soprattutto si sia poco reagito.  L’uccisione di Adil non è stato solo un episodio tragico, non è stato un’incidente in qualche modo casuale e sostanzialmente frutto delle particolari e specifiche dinamiche di una realtà o, ancor di più, di un camionista. Questo evento, nella sua accidentalità, è in fondo il risultato di settimane, se non di mesi, in cui in quel settore del lavoro si è accesa una significativa conflittualità (per l’intensificarsi dei ritmi e le ristrutturazioni conseguenti all’espansione della logistica innescata dalla pandemia, per il tentativo padronale di aumentare profitti e sfruttamento usando il clima sociale della pandemia). Settimane, se non mesi, in cui su quel sindacato, che è in prima fila in quel settore, si sono ripetuti una serie di episodi e di attacchi repressivi, non solo da parte delle forze dell’ordine con le solite cariche contro lavoratori e lavoratrici (e persino dalla magistratura, con l’arresto come poi si è visto anche giuridicamente immotivato di due sindacalisti nel pieno di una vertenza a Piacenza), ma anche con l’uso di squadre e squadracce padronali usate per attaccare e disperdere i picchetti di sciopero (Peschiera, Prato, Tavazzano). Una pratica antisindacale inusuale in questo paese, soprattutto dopo le conquiste degli anni sessanta e settanta, che emerge in un settore specifico, ma che per settimane se non per mesi si è ripetuta senza particolari reazioni, nel sindacato tutto e nella società civile. Questo morto è soprattutto effetto di queste vicende e queste dinamiche, in cui il contrasto e la repressione diretta degli scioperi e dell’azione sindacale ha assunto tratti di costanza.

Io credo che questo sia un segnale a cui tutto il sindacato debba rispondere con fermezza e determinazione, proprio per soffocare ogni possibile ipotesi e tentazione di allargare queste forme di repressione antisindacale in altri settori (tenendo conto che un clima contro i delegati e la loro azione è assai diffuso, come abbiamo visto in questi ultimi anni). Allora io credo sia positivo che CGIL CISL UIL abbiano scioperato due giorni alla Lidl di Novara, l’azienda dove Adil è stato ucciso; io credo che sia stato ancor più utile e positivo che ci siano state numerose realtà, ed in particolare diverse fabbriche, che ancora in questi giorni hanno scioperato in reazione alla sua uccisione (l’Electrolux di Susegana e di Forlì, l’IMP di Brescia, la Piaggio di Pontedera, la Dalmine e la Same nella bergamasca, ecc). Credo però che a questa reazione siano sostanzialmente mancata la CGIL e le sue categorie: credo cioè che la confederazione, le camere del lavoro, le diverse strutture avrebbero dovuto farsi carico di stimolare e organizzare una reazione diffusa e estesa, scioperi nei territori e nei diversi settori, per dare un segnale forte a Confindustria e al governo, per evitare che si ripetano non solo i morti ai picchetti, ma anche le squadracce e la repressione dell’attività sindacale, indipendentemente da chi la stia conducendo in quel momento.

La necessità di una reazione più decisa e più significativa, in qualche modo, si lega anche alle manifestazioni di sabato a Torino, Firenze e Bari. Vilma [segretaria regionale CGIL] nella sua relazione ha parlato dei diversi atteggiamenti e delle diverse propensioni di CISL e UIL della Valle d’Aosta nella partecipazione a quella manifestazione. Io credo che non dobbiamo nasconderci che le difficoltà sono ben più ampie. A questo appuntamento si arriva con differenze e tensioni tra le confederazioni, di cui ha discusso lo stesso Direttivo nazionale della CGIL (anche con propensioni diverse al suo interno): non possiamo nasconderci che la CISL, ed in particolare il suo segretario generale [Sbarra], hanno dichiarato pubblicamente che contro questo governo non intendono scioperare e che l’azione sindacale in questa fase deve esser estremamente responsabile. Allora le manifestazioni del 26 giugno sono il risultato di questa dinamica e io credo siano una risposta inadeguata e insufficiente alla dinamica politico e sociale in corso. Non solo per la vicenda di Adil. Non solo per quello che ha detto Vilma nella relazione, di fronte al rischio di centinaia di migliaia di licenziamenti (dopo quelli che abbiamo visto nel corso di quest’anno, che hanno colpito precari e stagionali). La necessità di una reazione determinata e significativa del sindacato ha le sue radici nelle politiche economiche del governo, in un PNRR centrato sulla competitività delle imprese e la produttività totale dei fattori, nella necessità di rivendicare un’altra direzione contro la crisi (riduzione e redistribuzione dell’orario di lavoro, difesa e aumento del salario diretto e sociale, riconquista delle pensioni e patrimoniale). Una manifestazione nazionale divisa su tre piazze, occasionale e isolata (senza costruire iniziative nei posti di lavoro, senza scioperi e cortei articolati nei territori e nei settori, senza neanche la prospettiva di uno sciopero generale), rischia di non esser un primo passo per sviluppare la mobilitazione, ma semplicemente la sua chiusura (almeno per quest’estate e sul blocco dei licenziamenti), dando così a governo e padronato il segnale che è possibile continuare nelle proprie politiche senza particolare resistenza.

Per questo ritengo questa scelta insufficiente e inadeguata, anche avendo ben presente la difficoltà e i problemi a costruire oggi uno sciopero generale: i problemi e la difficoltà di recuperare un rapporto in presenza con lavoratori e lavoratrici, i problemi e la difficoltà determinati dalle divisioni e dalle scomposizioni di questa stagione, amplificate da una pandemia che ha enfatizzato tutte le differenze (e non solo le diseguaglianze), portando ogni realtà del lavoro a perimetrarsi spesso su sé stessa (la propria azienda, la propria specifica professionalità o condizione). Proprio per questo, per la difficoltà a ritessere una mobilitazione generale in grado di ricomporre soggettività e interessi (a fronte della frammentazione del lavoro), un sindacato generale deve porsi con determinazione l’obbiettivo della mobilitazione, costruendo nei territori e nelle categorie le condizioni per sviluppare uno sciopero generale (non una sua semplice coreografia, utile solo per segnare le relazioni con e nel Palazzo).

Oltre le questioni nazionali, però, vorrei soffermarmi sulla Valle d’Aosta. Io credo che questo ruolo generale, questa capacità di lettura della stagione e di sviluppare un intervento, sia infatti particolarmente importante nella nostra regione. Non solo perché anche in VdA, dopo la lunga stagnazione dell’ultimo decennio (che ancora ci vede quasi dieci punti percentuali sotto il PIL del 2008), come ha ricordato Vilma con la pandemia sono emerse con sempre maggior evidenza povertà, disuguaglianze e disoccupazione (incrinando l’immagine a cui eravamo abituati). Io credo che il nostro ruolo, come sindacato generale, sia fondamentale in questa realtà perché ci troviamo di fronte ad un politica di gestione della crisi centrata sulla RAVA e sulle sue solite politiche para clientelari, che è estremamente pericolosa e che rischia di segnare il futuro di questa regione. Prima Simona [D’Agostino, segreteria FLC Vda] ricordava come ci sia da parte dell’amministrazione regionale, un significativo sbandamento, un deficit di riflessione e capacità di gestione. E’ assolutamente vero, in alcuni settori in particolare. Però questa non è la cifra di questa Giunta regionale e soprattutto delle sue politiche.

Noi, come area congressuale valdostana, abbiamo condotto in queste settimane un’analisi del PNRR e delle proposte di intervento della RAVA [qui potete trovare le slide del seminario che abbiamo tenuto]. In particolare, abbiamo svolto un’analisi delle schede di intervento approvate dalla Giunta regionale più di sei mesi fa, il 9 novembre 2020. Sappiamo che non è il PNRR che verrà attuato in Valle. Come però dichiarato dallo stesso Luciano Caveri [l’assessore che ne ha seguito la definizione], con questo lavoro si indicano gli assi, le priorità, le politiche di questa Giunta.  

Anche a una prima osservazione superficiale è evidente l’improvvisazione e la sproporzione di questo “piano”: per certi versi alcuni suoi tratti risultano persino surreali. A partire dall’insieme della richiesta. La giunta regionale ha approvato schede per quasi 1,2 miliardi di euro. Il PIL complessivo della Valle d’Aosta è intorno ai 4,5 miliardi di euro, il bilancio della RAVA intorno al miliardo e mezzo di euro (poco meno). E’ un piano senza proporzioni non solo con la popolazione, ma con le stesse dimensioni economiche e lo stesso bilancio pubblico della Valle [teniamo conto che il PNRR, con 60 milioni di abitanti, 1800 mld circa di PIL ed una spesa pubblica intorno ai 500 mld di euro annui, è intorno ai 230 mld di euro, compreso di React EU e cofinanziamento statale]. Le cifre e le dimensioni della proposta RAVA risultano quindi essere francamente irreali.

In secondo luogo, un piano sproporzionato al suo interno. Alla missione sei, per la sanità (l’8% nel PNRR), è dedicato un solo milione di euro. Lo 0,1% del piano valdostano. Lo 0,1%! Anzi, meno. Per di più, a fronte delle diverse e numerose criticità della sanità valdostana diventate evidenti in questi mesi, non solo per la pandemia (ospedale, sistema territoriale, ecc), su cui anche molto recentemente sono uscite le categorie e su cui immagino parleranno a breve i compagni e le compagne della Funzione Pubblica. Meno di uno 0,1% delle richieste, dedicate solo al fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina. Sono senza parole. Una scelta incomprensibile, al di là del bene e del male, ma che credo esemplifichi con chiarezza proprio l’assetto e le priorità dell’attuale giunta regionale. Il 63% delle richieste (722 milioni) è invece dedicato alla missione 2, quella relativa alla transizione ecologica (nel PNRR è il 30%): 300 milioni, in particolare, sono dedicati al sistema idrico valdostano (acqua potabile e irrigazione della Valle). Trecento milioni di euro: quasi quattro volte quanto è dedicato all’intervento che più a richiamato l’attenzione in questi mesi e che forse avrà il maggior impatto sulla vita della Valle, l’elettrificazione della ferrovia. Ma se si prosegue nell’analisi, si scopre che 120 milioni sono dedicati alla struttura stradale, 60 milioni agli edifici scolastici, 220 milioni ad un vago e imprecisato piano Green per i Comuni della Valle. Come ci sono molti altri elementi di cui sfugge il senso: Simona ricordava la scelta di dedicare 3,5 milioni di euro ad una piattaforma di apprendimento delle lingue (3,5 milioni di euro!), dedicata solo a tre idiomi (francese, patois e tedesco), ma se volessimo entrare nello specifico sono diversi gli interventi di cui non si capisce la ratio a partire dagli stessi obbiettivi indicati nelle schede (sempre per stare sulla piattaforma per l’apprendimento delle lingue, il suo scopo sarebbe quello di impattare sull’elevata dispersione scolastica della Valle, che ha complesse ragioni sociali: davvero ci domandiamo quale sia la connessione tra le due cose).

C’è però una logica in questa apparente irrazionalità. Se si guarda con attenzione i documenti della Regione, si percepisce che dietro queste scelte non c’è semplicemente improvvisazione o inadeguatezza, ma ci sono precise scelte politiche. C’è un documento approvato in Giunta lo scorso 8 febbraio, l’allegato C della delibera 98/2021, che riporta i risultati dei lavori preparatori per il quadro strategico regionale per lo sviluppo sostenibile 2030. Io credo che i gruppi dirigenti sindacali delle strutture valdostane, tutti i compagni e tutte le compagne, dovrebbero leggerlo. Sono una cinquantina di pagine che danno il senso e l’impianto di quelle schede per il PNRR, oltre che prevedere numerose specifiche sovrapposizioni. Quelle pagine propongono per la Vallée uno sviluppo sostenibile [un termine oramai iconico e sostanzialmente privo di reale significato] basato sostanzialmente su tre direttrici economiche: un’agricoltura di tradizione [vorrei qui ricordare che l’agricoltura copre l’1,2% del PIL della Valle e circa il 3% di lavoratori e lavoratrici, intorno ai 1600 su 50mila], il turismo responsabile e uno sviluppo (tutto da costruire) di un tessuto produttivo green. Una strategia declinata su 5 aspetti (una Valle intelligente, verde, connessa, sociale, vicina ai cittadini), che si focalizza sul sostegno alle PMI tramite lo sviluppo di servizi (in particolare la ricerca), gli aiuti finanziari e il public procurement.

Diversi elementi colpiscono in questa strategia. La ricerca è pensata unicamente come diretto sostegno alle imprese, funzionalizzata alle sue esigenze come nel PNRR nazionale. Però, come negli astratti ed ideologici tentativi degli anni novanta (pensiamo ai Parchi Scientifici e Tecnologici allora diffusi in varie realtà), è promossa in modo estraneo ed ultroneo rispetto alle strutture pubbliche che realmente fanno la ricerca (presenti anche in Valle: pensiamo all’Università, all’ARPA, all’Osservatorio astronomico, all’Institut Agricole, ecc), senza neanche reali agganci con le realtà produttive della Valle. Così, nel documento strategico e nelle schede, si propone una Zona Franca della ricerca [ma di cosa stiamo parlando, tanto più in una stagione segnata dai superbonus 4.0 e i finanziamenti pubblici alla R&S??] e si concentrano risorse importanti (80 e più milioni di euro) sullo sviluppo (in capannoni oggi inutilizzati, perché sempre l’attenzione prioritaria è su quello, gli spazi e gli edifici) di laboratori di ricerca e didattica avanzata [qualunque cosa significhi questa cosa, a me abbastanza misteriosa] in un polo della meccatronica in bassa Valle (dopo che per vent’anni l’attuale realtà di Polito ha semplicemente accompagnato, senza alcun impatto, il progressivo spegnersi del comparto industriale ad alta tecnologia presente in VdA), un centro green con CVA in media Valle, il centro per la Medicina Personalizzata, Preventiva e Predittiva ad Aosta (che ha recentemente fatto parlare di sé per il diniego all’unanimità del comitato etico sulla sua ricerca, legato ad IIT e lunga sarebbe la discussione su questa realtà, mi basti qui richiamare quanto hanno detto su esso ROARS e la senatrice a vita Elena Cattaneo). Progetti, percorsi, risorse astratte dalla realtà e da una reale progettualità sul territorio.
Il public procurement invece è un termine inglese un po’ misterioso. Il suo significato invece è chiaro: identifica quella parte di spesa pubblica destinata all’acquisto diretto di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione. Promossa in generale come strumento anticiclico di politica keynesiana, chez nous si sostanzia più prosaicamente in un ruolo inossidabile della RAVA nel sostenere i settori professionali e imprenditoriali del territorio, che in sostanza esistono e si sviluppano solo attraverso una gestione direzionata dell’imponente bilancio regionale. In sostanza, cioè, si propone di replicare quel sistema para-clientelare che ha per alcuni decenni sostenuto ha sostenuto il ceto politico e affaristico che ha dominato la Regione. Un sistema che, tra l’altro, ha fornito un perfetto ambiente di cultura, se non un attrattore, per la ‘ndrangheta e la criminalità organizzata, come dimostrano le recenti inchieste (e il perdurare del commissariamento di un Comune della Valle). Alla luce di questa strategia, allora, si comprendono forse meglio alcune sproporzioni e alcune direttrici delle schede valdostane per il PNRR, centrato su vaghi ma diffusi lavori ambientali, stradali e idrici, che possono sostenere quel terzo del sistema industriale regionale basato su piccolissime imprese di costruzioni che vivono di appalti e subappalti pubblici.

Quello che colpisce, però, è soprattutto quello che manca, in quel documento e nelle schede di proposta per il PNRR. Manca infatti, quasi totalmente, una politica sociosanitaria, come si relega l’assistenza sociale ai casi cronici ed alla logica dei voucher (l’imprenditorializzazione della gestione della disoccupazione). Soprattutto, però, sono assenti dalle strategie di questa Giunta e dall’intervento del PNRR alcuni nodi centrali di questa Valle.
Pensiamo, ad esempio, ai rifiuti: negli ultimi vent’anni la Valle ha più volte discusso, e si è divisa, sulla gestione dei rifiuti e l’eventuale sviluppo di un’economia circolare. Basti pensare all’inceneritore/termovalizzatore, alle indagini e le polemiche sulle discariche di Pompiod e Chalamy, alla saturazione di quella di Brissogne, alle discussione sui piani di riciclo. Eppure, su questa questione non c’è alcuna riflessione ed alcun intervento, al di là di una scheda (da 10 milioni) focalizzata sugli scarti dell’industria agroalimentare.
Pensiamo alla politica industriale: nella (presunta) centralità dell’agricoltura di montagna e del turismo, ci si dimentica, che in Valle d’Aosta l’industria pesa ancora intorno al 20% del PIL, che è stata e rimane uno dei suoi principali pilastri economici. Così, nulla di reale si dice sul problema di un tessuto frammentato su piccole e piccolissime imprese, dopo che tra il 2001 ed il 2017 si è praticamente esaurito quel tessuto elettronico e tecnologico presente in Valle, cresciuta nell’indotto e nella filiera dell’Olivetti (come sottolinea un recente rapporto Bankitalia).
Di più, si cancella che Aosta è una città-fabbrica, segnata nel suo paesaggio produttivo, sociale e fisico da un’acciaieria: basta andare a guardare Aosta da un qualunque punto nei suoi dintorni, in quota, per vedere quanto impatti la Cogne nel suo profilo; basti guardare i dati scomposti sul valore aggiunto o sull’occupazione, per vedere quanto pesa sull’economia e sulla società (a partire dai suoi oltre mille dipendenti diretti, in una città di 35mila e una Valle di 125mila). Così, nulla si dice e si pensa sul problema dell’inquinamento industriale ad Aosta (eppure la procura solo un anno fa denunciava “la silente rassegnazione della Regione” e la mancanza di “gravosi esborsi per fronteggiare interventi strutturali a tutela dell’ambiente”).

Allora, per chiudere, quello che emerge e risalta è il nostro silenzio. Il silenzio della CGIL. Stiamo parlando di una delibera di Giunta di novembre (quella sulle proposte e le schede per il PNRR) e di una delibera di Giunta di febbraio (quella con la prima traccia del piano strategico 2030). Io credo sia mancata in questi sei mesi (sei mesi!) la nostra capacità, come CGIL, di leggere queste deliberazioni e di agirci, di provare ad intervenirci. Una mancanza grave.
Da una parte perché credo che siamo davanti ad un assetto politico che userà i soldi del PNRR (non saranno alla fine un miliardo di euro, sarà forse la metà e anche meno), per perseguire, proseguire e riprodurre quel sistema para-clientelare di potere che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Un sistema oramai da tempo in crisi strutturale, proprio per la lunga stagnazione e la fragilità del suo pilastro industriale, oltre che per il progressivo prosciugarsi delle risorse esogene su cui si basava (le entrate del Casinò, l’IVA da importazione e i suoi trasferimenti sostitutivi, la tassazione dell’Heineken). Un sistema però che proprio nel PNRR e nelle sue risorse può trovare la forza di una sua limitata riproduzione, su dimensioni più piccole e per qualche anno. E che rischia di tornare pienamente in crisi quando quelle risorse finiranno, mentre proseguirà la desertificazione produttiva del territorio.
Dall’altra parte perché credo che la CGIL sia l’unico soggetto politico e sociale in questa Valle che ha la potenzialità di sottrarsi a questo sistema di potere e a questa dinamica distruttiva, provando a leggere quello che sta avvenendo e soprattutto a proporre una diversa direzione. L’unico soggetto potenziale, a causa delle sue dimensioni, ma soprattutto per il suo radicamento nelle diverse realtà del lavoro, potendo appunto potenzialmente comporre un blocco sociale, quello del lavoro, con una visione e degli interessi alternativi rispetto a quelli che oggi dominano la Giunta regionale o rispetto a quelli, reazionari e regressivi, proposti dall’opposizione raccolta intorno alla Lega.

Per fare questo, però, come CGIL dobbiamo superare i nostri limiti e le nostre fragilità, la nostra divisione “federale” più che confederale (in una struttura come la nostra, che non ha una Camera del lavoro e che è caratterizzata da un livello regionale che mette semplicemente insieme le diverse categorie). Dobbiamo avere il coraggio e la determinazione di uscire dalle semplici rivendicazioni e dall’azione sindacale dei diversi settori, per comporre una visione ed un’azione generale, contrastando la riproposizione in piccolo del sistema di potere di una volta e delineando, al contrario, un blocco alternativo del lavoro.

Perché altrimenti, l’uso del PNRR e delle sue risorse su quelle direttrici, rischia di lasciare fra cinque anni in questa regione macerie sociali e ambientali. Dobbiamo darci una svolta, ora: sta unicamente a noi.

Luca Scacchi

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