Domani tutti/e a Prato!
7 maggio. Sciopero e presidio a Prato
Trasmissione di Eliana Como su Radio Quarantena, 6 maggio 2021. Ascolta qui. Sotto la trascrizione in articolo della trasmissione.
Domani saremo a Prato, al presidio in sciopero convocato da Cgil Cisl Uil territoriali dopo la morte di Luana, la giovanissima operaia tessile di cui tutti/e abbiamo sentito parlare in questi giorni. Esserci domani è importante, perché non so come, ma finalmente una goccia ha fatto traboccare il vaso.
Possiamo star fermi a pontificare come mai il vaso si sia riempito fino all’orlo, oppure seguire la goccia che lo ha fatto traboccare e provare finalmente a rovesciarlo tutto. Per questo saremo lì domani e per questo alcune RSU di fabbrica, come Electrolux e GKN, hanno deciso di sostenere lo sciopero convocandolo a loro volta.
Luana aveva 22 anni, faceva l’operaia tessile ed era mamma di un bimbo piccolo. Luana era anche bella. Ma lo dico francamente: a me fa rabbia continuare a sentire la narrazione che insiste sul fatto che fosse una mamma e ancora di più vedere le sue fotografie sui social. Da un lato mi chiedo se sia rispettoso usare la sua immagine, pur certamente con le migliori intenzioni. E francamente, non credo lo sia. D’altro, vorrei che non ce ne fosse bisogno. Vorrei che ogni morte sul lavoro rimbalzasse tra stampa, televisioni e social senza bisogno di essere confezionata ad hoc per essere telegenica e sufficientemente commovente dal destare una attenzione sopita da sempre.
Giovedì 29 aprile, due giorni prima del 1 maggio, e pochi giorni prima della morte di Luana, sono morti cinque operai sul lavoro. In un solo giorno, sono morti contemporaneamente a Taranto, Vicenza, Potenza e in un cantiere Amazon a Alessandria, dove sono rimasti feriti anche altri tre operai. Li conoscete i nomi? No, ve li dico io: Mattia, Flamour, Natalino. Degli altri non sono riuscita nemmeno a trovare i nomi.
E anche senza conoscerne i nomi, ne avete sentito parlare il 1 maggio? No, non ne avete sentito parlare. Mattia aveva 23 anni, è morto in un cantiere di Montebelluna, in Veneto. Il sindacato non si è neppure preso la briga di scioperare.
Nelle notizie che si trovano in rete non si dice se avessero figli. Immagino di sì, ma in questo caso non viene considerato importante, forse perchè sono uomini e non funziona la stessa retorica paternalista.
Il giorno prima ne erano morti altri due, Pierluigi aveva 55 anni. L’altro è morto cadendo da un tetto, ne aveva 34. Non so che nome avesse, di che colore fossero i suoi occhi, se avesse figli, sogni, ideali.
Anche ieri, è morto un altro operaio, a Busto Arsizio, si chiamava Christian. Oggi a Pagazzano, in provincia di Bergamo, poco distante da dove vivo, un altro, caduto da una impalcatura in un cantiere edile.
Da gennaio, sono morti 218 lavoratori e lavoratrici, 57 solo ad aprile. Sono 435 se si contano anche gli infortuni in itinere. Altri 88 se contiamo il personale medico morto a causa di covid (per la cronaca, 358 da iniziò pandemia). Un bollettino quotidiano di guerra. Perché di loro non si parla mai?
Abbiamo passato un intero 1 maggio a parlare di Fedez, invece che di questo. Sia chiaro, per me Fedez ha detto cose giuste, sul DDL Zan e anche sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del suo settore, quello dello spettacolo dal vivo, di cui non parla quasi nessuno. Non ho niente in comune con un influencer miliardario, ma se dice cose condivisibili sono contenta. Il problema casomai è che si è trovato a colmare un vuoto siderale, colpevolmente lasciato da altri. E il problema non è nemmeno se il 1 maggio si debba parlare di diritti sociali o diritti civili. Da quando in qua gli uni sarebbero in contrapposizione agli altri, o occuparsi dei secondi distoglierebbe dal lottare per i primi. Non è vero, siamo seri. Chi lo dice molto probabilmente ha problemi ad ammettere che in fondo in fondo è contrario al DDL Zan e quindi si nasconde dietro ad altro.
Il problema non è quindi cosa abbia detto Fedez. Il problema è cosa non hanno detto gli altri. Il problema è che nemmeno il 1 maggio si riesce a parlare di sicurezza e morti sul lavoro, nemmeno se due giorni prima ne sono morti 5. Per parlarne serve che la notizia sia accattivante, che finisca sui social o sulla stampa, come scrive il Secolo XIX, per “un bel volto dagli occhi da cerbiatta, i capelli lunghi e il fisico perfetto”. Parole testuali, che mi fa orrore persino riscrivere.
Il problema per qualcuno non è finire stritolata da una macchina, a 22 anni come a 60. Il problema è se sei abbastanza fotogenica e se la tua storia è abbastanza commovente da finire nel tritacarne del grande fratello. Non immaginate quanta rabbia mi faccia questa ipocrisia e questa maledetta spettacolarizzazione di un dramma. Perdonaci Luana, perdonateci tutti quelli di cui non sappiamo nemmeno il nome.
Detto questo, quanto sta accadendo sui mezzi di informazione in questi giorni, piaccia o meno, non puoi lasciarci indifferenti. Per questo saremo a Prato domani. Proviamo a pensare a Luana come alla goccia che fa finalmente traboccare il vaso. Indipendentemente da quanto possa essere ipocrita che il vaso trabocchi solo perché la sua morte fa più notizia di un operaio qualsiasi morto a 50 anni. Quando il vaso trabocca, è il momento di rovesciarlo per intero. Adesso! Perché domani non si parlerà più nemmeno di Luana.
Certo, quattro ore di sciopero sono poche e il sindacato ha sbagliato a non estenderle a tutto il paese sull’onda della rabbia e della commozione che si è creata per questa vicenda. Lo sciopero lo hanno convocato solo CGIL CISL UIL di Prato, con un comunicato che era meglio perderlo che trovarlo, dove il problema sembra essere che manca la formazione ai giovani ma non si dice niente sulla mancanza di investimenti e di controlli, o sulla precarietà e sul ricatto costante di chi accetta qualsiasi condizione pur di tenersi il posto di lavoro.
Avrei voluto un altro comunicato e soprattutto avrei voluto che Cgil Cisl e Uil avessero avuto il coraggio di proclamare sciopero in tutto il paese. Comunque, domani ci sarò e spero che saremo in tante e tanti. Perché sulla sicurezza sul lavoro non si può più rimandare, non si può più fare finta di niente, non si può più tollerare che si costruisca la notizia solo quando si vende bene.
E’ il momento di rovesciare il vaso. Un vaso pieno di morti sul lavoro che non sono mai solo incidenti dovuti al caso, ma eventi determinati dal fatto che la sicurezza è una variabile dipendente dal profitto. Le ragioni delle morti, che mi rifiuto di chiamare incidenti, sono la scarsità di investimenti da parte delle imprese, i tagli alle istituzioni di sorveglianza, a partire dalla costante riduzione del personale ispettivo, l’allungamento dell’età pensionabile (che a 60 anni sei a rischio covid ma fino a 67 puoi tranquillamente arrampicarti su una impalcatura). Le ragioni sono anche gli arretramenti sul piano normativo, non soltanto il lavoro nero come è ovvio ma anche la precarietà, la catena degli appalti e subappalti, in generale la ricattabilità, persino, sempre più spesso, degli rls, tanto più dopo il Jobs act e la cancellazione dell’articolo 18. Circostanza che rende difficile pure denunciare il mancato rispetto delle norme.
La ragione è anche lo smantellamento del sistema industriale del paese. A proposito di Luana, avete presente quali sono le condizioni di lavoro nel settore tessile? A cosa ha portato il disinvestimento da decenni in questo settore, la chiusura e lo spostamento della produzione all’estero, il fiorire di laboratori frammentati, sotto scacco di brand che dettano le condizioni con contratti unilaterali, che favoriscono – soprattutto tra le donne e i migranti – lavoro poco pagato, con poche tutele, pochissima sicurezza, spesso in nero o in mano alla criminalità.
E guardate non è solo questo, perché sotto alle morti sul lavoro c’è uno stillicidio quotidiano, fatto di impianti obsoleti lasciati a inquinare interi ecosistemi, ma anche un mare di infortuni e malattie professionali, dovuti, oltre che al mancato rispetto delle norme, all’esposizione a sostanze o ambienti nocivi, ai movimenti ripetitivi e all’aumento dei ritmi. Alla base di questo c’è la stessa ragione delle morti sul lavoro: il crescente disinteresse per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, considerate un costo, né più né meno di qualsiasi altra voce di spesa.
Per tutto questo non possono certo bastare quattro ore di sciopero e solo a Prato. E non basterà nemmeno l’ennesimo tavolo che già immagino apriranno aperto con il prefetto e le parti sociali per ripetersi ancora quanto è importante la formazione e lavarsi così, in qualche modo, la coscienza.
Non voglio sottovalutare, ma basta con questa retorica della formazione. Se le imprese non fanno investimenti in sicurezza e se non rispettano le norme perché tanto sanno che non rischiano i controlli, tutta la formazione del mondo non serve a niente. Tant’è che a morire spesso non sono operai alle prime armi ma persone che conoscono meglio di chiunque altro il loro lavoro. Il problema non è quasi mai la loro competenza o la loro disattenzione ma quanto è sicura una macchina o quanta fretta viene fatta loro per svolgere quel lavoro.
Nel 2021, in uno dei paesi più industrializzati del mondo, non si dovrebbe morire sul lavoro nemmeno, lo dico per provocazione, se ci si volesse suicidare buttandosi dentro una macchina. Perché se si investisse in tecnologia, se si rispettassero le norme, la macchina si fermerebbe da sola, anche in questo caso. Per questo, la magisttratura farà il suo corso e mi auguro che il sindacato si costituisca parte civile, ma comunque vada nessuno osi parlare di incidenti, disattenzione, errore. Perché non è così.
Ecco perché domani saremo a Prato. Per Luana, ma anche per Mattia, Flamour, Natalino, Mauro, Antonio, Pierluigi, Gianni, Maurizio, Emanuele, Lidio, Luca, Roberto, Michele, Guglielmo, Salvatore, Francesco, Massimo, Hamid, Ruggero…
Eliana Como – portavoce nazionale di #RiconquistiamoTutto
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