L.Scacchi. Sicurezza, PNRR, patto e CCNL: serve la mobilitazione del sindacato.
Grazie Renato [Comanducci, presidente dell’AG FLC],
care compagne e cari compagni, io credo che noi teniamo questa Assemblea Generale in un momento molto particolare, in cui si intrecciano, si accavallano, si amplificano l’un l’altro diversi elementi: la riapertura delle scuole in presenza e la questione della sicurezza (ora e a settembre, con il prossimo anno scolastico); il patto del pubblico impiego, l’atto di indirizzo [il documento del governo di indicazione all’Aran, l’agenzia che poi svolgerà materialmente la contrattazione con i sindacati] e l’avvio del rinnovo dei contratti nazionali; la ridefinizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e quindi in qualche modo l’avvio, credo a tambur battente, non solo di intervento ma credo anche di riforme dei nostri sistemi e non solo [interventi legislativi di modifica delle strutture pubbliche, del loro funzionamento e anche delle loro funzioni].
Io credo che al centro di tutto questo, in realtà ci sia un unico elemento: il governo Draghi, il suo profilo e anche la sua azione, che io ritengo sempre più preoccupante. Sia nella dinamica oggettivamente molto più confusa e molto meno efficiente di quello che si credeva [tutta la vicenda Astrazeneca e tutta la vicenda del piano vaccinale grida vendetta, e le incredibili dichiarazioni della sera del Presidente del Consiglio lo confermano]; sia con la sua stessa composizione [che comprende la destra reazionaria della Lega come settori iperliberisti, da Brunetta a Giavazzi]; sia infine nella sua azione, nei fatti, a partire dal DL Sostegni con il ritorno dei condoni e un intervento tutto schiacciato sulle imprese [come dichiarato dallo stesso Draghi]. Il problema che abbiamo di fronte è esattamente questo, il governo e la sua azione. Particolarmente nei nostri settori.
In primo luogo, la questione della scuola, della loro riapertura e del rapporto con il ministro Bianchi. Guardate, lo ha detto Monica [Ottaviani, segretaria FLC Emilia Romagna], i problemi non sono i suoi discorsi [o meglio, questi discorsi saranno da affrontare, lo inizia a fare Monica Grilli nel suo intervento], il problema sono i fatti. Lo hanno sottolineato anche diversi compagni e compagne negli interventi prima di me.
Si è rifatto esattamente lo stesso decreto sulla mobilità della ministra Azzolina, esattamente negli stessi modi e con la stessa modalità antisindacale (un atto unilaterale). Si riapre ora in presenza larga parte della scuola, anche in zona rossa, nella stessa identica situazione di sicurezza con cui qualche settimana fa si era trasferito le attività a distanza, senza nessun cambiamento. È un problema di distanze: l’Istituto Superiore di Sanità poco tempo fa ha detto almeno due metri quando si mangia, opportuno un metro e mezzo negli spazi chiusi in cui si permane a lungo. Oggi nelle scuole abbiamo ancora il metro statico fra rime buccali definito la scorsa estate. Come ci sono ancora le stesse mascherine [chirurgiche e di comunità], gli stessi identici trasporti [affollati] di prima. Una situazione di sicurezza letteralmente immutata.
Guardate, a proposito della sicurezza, una parentesi e solo una battuta sul piano vaccinale generale. CGIL CISL e UIL hanno firmato nella giornata di ieri un accordo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro. Io non sono così sicuro, come hanno detto altri, che sia un buon risultato da parte nostra. Anzi, io ho molti dubbi, vedo molti problemi. Sono sostanzialmente contrario: perché rischiamo di creare un canale privilegiato e preferenziale di vaccinazione per i dipendenti delle grandi imprese [visto che i costi logistici e di organizzazione di questi piani aziendali di vaccinazione sono a carico delle stesse aziende]. Cioè, alla fine, ci saranno velocità di vaccinazione diverse nella popolazione, indipendentemente da età o condizioni di rischio, solo e semplicemente sulla base dell’azienda di appartenenza [in sostanza, si mutualizza la vaccinazione, legando almeno parzialmente questo servizio universale alle proprie condizioni occupazionali].
Una situazione di fatto, quella della scuola, che è identica nell’università. Non si è raggiunto ancora nessun protocollo nazionale di sicurezza, anzi. Ferruccio Resta, il presidente della CRUI, in una serie di dichiarazioni ha rilanciato proprio in queste settimane una serie di prospettive e ipotesi [basti considerare il recente istant book che ha pubblicato in merito], esattamente di ulteriore valorizzazione dell’autonomia universitaria e diversificazione dell’università italiana [rilanciando anche modelli di gerarchizzazione dell’offerta formativa, in presenza a distanza, e più in generale degli atenei, a secondo delle loro dimensioni e della loro vocazione, internazionale, di ricerca o didattica].
In questo quadro, io credo che il problema per scuola e università, il confronto con Bianchi [e con Messa], sia soggetto in particolare ai tempi. Lo hanno già detto anche altri. Siamo già all’8 aprile. Se si vuole avere una dinamica ed uno spazio per poter incidere sulle decisioni e sulle cose che poi saranno realmente contenute in questo eventuale patto [sulle politiche e le proposte del governo], se ci sarà la necessità di costruire una mobilitazione e di agire sindacalmente nei confronti di quello che succede, bisogna avere il tempo di farlo [evitando di arrivare, come lo scorso anno, a proclamare uno sciopero l’ultimo giorno di scuola, dal carattere solo politico e dimostrativo, con una partecipazione risibile che alla fine indebolisce l’azione sindacale stessa]. Anzi, alla luce dei fatti già delineati [la riapertura volontaristica di aprile, la conferma della mobilità, la conferma degli organici per il prossimo anno scolastico che rendono evidente l’intenzione del governo di non ridurre il numero di studenti per classe, per la sicurezza e per un reale miglioramento di apprendimenti e relazioni sociali], la mobilitazione sarebbe necessaria da subito.
Seconda questione, il patto sociale per il pubblico impiego. Io non nascondo alcuni elementi positivi di quell’intesa, che aprono possibili percorsi contrattuali [la formazione come diritto soggettivo nel tempo di lavoro, lo sblocco dei tetti, le risorse aggiuntive per la revisione degli inquadramenti, la possibilità di una contrattualizzazione del lavoro agile]. Però non nascondo neanche l’impianto, io credo profondamente negativo, perché conferma il DL 150/2009: cioè conferma un impianto della contrattazione di secondo livello e delle relazioni sindacali centrato sulla performance e la valutazione individuale della produttività [cioè, sull’espansione di quote variabili e differenziate dello stipendio]. Questa non è un interpretazione, è già la traduzione materiale e concreta di questo patto. Girà già in questi giorni, credo lo abbiate ricevuto larga parte di voi se non tutti, la bozza dell’atto di indirizzo generale del governo sul rinnovo dei contratti pubblici, che traduce esattamente questo tipo di impianto in una serie di indicazioni all’ARAN, valorizzando la performance e sistemi premiali estremamente differenziali negli stipendi (come regolato dal DL 150, nonostante i miglioramenti dei decreti Madia). Ed è così sul welfare [l’allucinante e imbarazzante inserimento di sistemi di welfare contrattuale in chi lavoro nei servizi pubblici universali] e anche sul lavoro agile: nell’atto di indirizzo, infatti, si limiterebbe fortemente la sua contrattazione, come dire precisando che questa forma di lavoro è materia che attiene all’organizzazione del lavoro, e quindi esplicitamente (secondo l’attuale normativa) di esclusiva competenza della parte datoriale. Fuori cioè da ogni spazio di confronto, dialettica sindacale o tanto più contrattazione. Tutto questo, come hanno indicato molti compagni e molte compagne, davanti ad una situazione salariale in cui siamo distanti dalle tre cifre di aumento nei nostri settori. Soprattutto, qui, io dico che davanti a questa situazione noi dovremmo anche articolare una proposta contrattuale (ne parleremo quando discuteremo delle piattaforme), in cui si salvaguardi innanzitutto i salari più bassi [con aumenti uguali per tutti, non proporzionali, o anche più significativi nelle fasce basse], perché nei nostri settori questi sono salari che rasentano o sono sotto la soglia di povertà relativa in questo paese.
Infine, l’ultima questione, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un recovery plan, come con Conte, scritto in segreto. Noi tutt’oggi non abbiamo a disposizione i testi, nonostante sia stato già votato dal Parlamento [incredibilmente e assurdamente, è stato discusso e votato il piano precedente, che già tutti sanno non esser quello reale]. Questo piano credo che si collochi esattamente in quel contesto che ha sottolineato Francesco all’inizio della sua relazione [Sinopoli, segretario generale FLC]. Cioè, siamo in una dinamica di acuta competizione internazionale [nel quadro della Grande Crisi scoppiata più di un decennio fa, oggi approfondita dalla pandemia], con la precipitazione di una contrapposizione aperta tra grandi blocchi economici capitalisti (Cina, Stati Uniti e una sgangherata Unione Europea, segnata dai suoi diversi interessi nazionali). In questo contesto, in ogni formazione sociale è fortissima la pressione per subordinare il sistema della formazione e della ricerca agli interessi delle imprese. La Ministra Messa lo ha detto chiaramente in Parlamento e in qualche modo anche nella nostra iniziativa di ieri: per lei sarà centrale la massa critica [cioè la concentrazione di risorse e attenzione su pochi centri nazionali, sulle eccellenze, disincentivando la ricerca diffusa sostenuta invece per esempio dalla senatrice Cattaneo], la semplificazione [cioè l’evaporazione del perimetro e dell’impianto pubblico degli attuali Atenei ed EPR, come sostenuto ad esempio recentemente da Valditara e altri], il rapporto centrale con il privato e le sue esigenze [che la Messa, nel suo discorso alle Commissioni di Camera e Senato, pone addirittura alla guida di alcuni dei prossimi nuovi centri di ricerca nazionali, nel quadro della centralità del business, secondo le sue stesse parole].
Allora, per andare a chiudere, io credo proprio che rispetto a tutto questo, noi dobbiamo entrare in campo. Per riprendere, con un ultima battuta, il dialogo tra Maurizio [Landini] e Luciana Castellina di qualche giorno fa sul manifesto, già ricordato da Paolo Fanti [segretario FLC della Basilicata], io credo che un sindacato generale come il nostro ha senso se si pone un obbiettivo di grande trasformazione sociale, strutturale. Se è capace di interagire, proprio in un momento storico cruciale come quello che stiamo vivendo, con i movimenti, i diversi soggetti e circuiti sociali, per praticare un reale cambiamento a partire dalle rivendicazioni contrattuali e dalla vertenze che interessano il mondo del lavoro. Se questa è la funzione generale del sindacato, se quella che ho delineato prima è la realtà delle cose (sulla scuola, l’università, la ricerca, la sicurezza, il PNRR, il patto ed il rinnovo contrattuale), allora io credo che su questa realtà oggi noi dobbiamo provare a intervenire. Nello spazio di tempo tra qui e l’estate dobbiamo costruire una grande mobilitazione, contro i fatti che mancano e contro i fatti negativi che ci sono nella politica di questo governo. Il tempo della mobilitazione e della trasformazione sociale, oggi più che mai, sta nelle nostre mani.
Luca Scacchi
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