Alcune note sugli ITS e Draghi
Nel suo discorso programmatico in Parlamento, tenuto il 17 febbraio, Mario Draghi ha indicato negli ITS il “pilastro educativo”, cioè il punto di riferimento delle politiche del governo.
# Che cosa sono gli ITS?
Scuole di Istruzione Superiore introdotte nel nostro paese una dcina di anni fa, gli ITS sono scuole post-diplona che promuovono corsi altamente professionalizzanti e tecnici. I corsi degli ITS possono durare fra quattro e sei mesi e un terzo delle ore si svolge in azienda. Gli stessi insegnanti provengono per metà dal mondo del lavoro. Gli studenti possono svolgere le loro ore nelle imprese anche come apprendistato (quindi con una parizale retribuzione e inquadramento giuridico). Alla fine del percorso viene rilasciato il “Diploma di Tecnico Superiore”.
# Dunqe è positivo avere una ulteriore specializzazione dopo la maturità?
In realtà dobbiamo ragionare. Offrire un percorso breve super specializzato significa dire allo stesso tempo che gli istituti tecnici e professionali non sono sufficienti e che non lo sono neppure i percorsi universitari successivi Perciò gli ITS possono essere visti come uno strumento di delegittimzione del percorso tradizonale di studi. Forse è per questo che Draghi punta molto su di loro? Lo vedremo fra poco.
# Ma allora che cosa si sarebbe potuto fare per aumentare la professionalità dei tecnici italiani?
Molte cose differenti che avrebbero rafforzato – e non indebolito – il percorso di studi. Per esempio non si sarebbero dovute tagliare tutte quelle ore di laboratorio e discipline tecniche, che sono state ridotte ed eliminate nel giro di vent’anni. Se si taglia l’insegnamento tecnico nei cinque anni di studi, è chiaro poi che serviranno degli ITS forse (dico “forse” perchè poi bisognerebbe vedere il valore dei singoli programmi sul campo), per recuperare il terreno professionale che è stato cancellato. In secondo luogo si sarebbe potuto aggiungere un anno professionalizzante più specifico e tecnico dopo il quinto e prima dell’eventuale università, oppure si sarebbero potuti offrire corsi speciali e specifici paralleli, si sarebbero dovuti eliminare gli stages nelle imprese (alternanza), che sottraggono tempo prezioso all’apprendimento e trattano gli studenti come “risorse” gratuite per le aziende e la stessa autonomia scolastica che crea differenze enormi fra istituti a parità di diploma… La prima azione da compiere sarebbe dunque stata di ripristinare le reali condizioni del percorso di studio tecnico – professionale, abrogando le riforme applicate e restituendo le ore e i laboratori soppressi (e potenziandoli).
# Però il titolo di studio deli ITS ha un valore importante.
Gli ITS forniscono un titolo di studio riconosciuto nel Quadro Europeo delle Qualifiche. Il Quadro Europeo delle Qualifiche o European Qualifications Framework (EQF), è un sistema di riferimento che confronta e collega le qualifiche dei diversi Paesi dell’Unione Europea, permettendo di interpretarle secondo un codice condiviso. Più precisamente questo titolo di studio si colloca al V livello europeo. Il Quadro Europeo delle Qualifiche, si basa su una griglia di 8 livelli. Il V è questo:
Conoscenza: Conoscenza pratica e teorica, completa e specializzata in un ambito lavorativo o di studio e consapevolezza dei confini di tale conoscenza. Abilità: Gamma esauriente di abilità cognitive e pratiche necessarie a dare soluzioni creative a problemi astratti. Competenze: Saper gestire e sorvegliare attività in contesti di lavoro o di studio esposti a cambiamenti imprevedibili. Saper controllare e sviluppare le prestazioni proprie e di altri.
Infine le certificazioni ITS sono considerate dalla UE come certificazioni fondamentali per il cosiddetto LongLifeLearning, cioè per apprendere nel corso di tutta la vita. Ecco dunque il quadro: a certificati professionali precisi si sostituisce tutta la chiacchiera delle cosiddette “competenze” (sapete che non ci sono due “esperti” in questo campo in grado di mettersi d’accordo su che cosa sia una competenza e, inoltre, la butto lì: vi fareste operare da uno “competente” o da un chirurgo?). Questi certificati, non valendo nulla nei fatti, portano il soggetto ad abituarsi all’idea di doversi formare per tutta la vita.
# Domanda: ma non è giusto formrsi per tutta la vita?
Non solo è giusto, ma qualsiasi bravo “tecnico” e ogni buon lavoratore, sa quanto è importante restare al passo con i tempi! Questo significa dapprima acquisire un diploma preciso e poi ulteriori titoli, altrettanto precisi e non fumosi, che certificano il percorso di aggiornamento seguito. Il punto, però, è che con LongLifeLearning non si intende questo. Con LonLifeLearning si vuole dire al soggetto che non esistono titoli che diano certezze acquisite e valide, che il percorso della formazione non arriverà mai alla fine, che il soggetto deve considerare se stesso come in formazione permanente. Questa concezione ha una conseguenza pratica: se il percorso di formazione dura tutta la vita ed è intrinseco alla natura stessa del lavoratore, allora sarà cura del lavoratore rispondervi e non del datore di lavoro, il quale potrà benissimo essere esentato dal fornire formazione, permessi, retribuzioni adeguate e scatti di avanzamento dovuti alle rinnovate capacità acquisite dal dipendente.
# Ma che rapporto ha tutto ciò con i contratti di lavoro e con l’iquadramento salariale e di mansioni?
Bella domanda. Essere in formazione permanente certificando solo fumose “competenze” e non precise conoscenze e abilità tecniche, vuol dire che l’impresa per la quale il soggetto lavora potrà cercare di evitare di inquadrarlo in un contratto collettivo,(fondato su precisi titoli di studio e mansioni), proponendo rapporti flessibili, individuali, definiti di volta in volta. In ogni caso non più “collettivi” (e quindi a svantaggio della forza contrattuale, che è sempre collettiva, dei dipendenti). E, dunque, possiamo stabilire un legame diretto tra questa linea di invalidare i titoli di studio, di annacquarli in pretesi riconoscimenti europei, di collocare il lavoratore nell’incertezza permenante di una formazione continua, con i tentativi – in corso da almeno un decennio – di smantellare l’istituto dei contratti nazionali di lavoro in tutti i settori. Inoltre, come non mettere questa linea in relazione al fatto che nelle ultime due occasioni il contratto nazionale dei metalmeccanici (stiamo, appunto, parlando di lavoro in ambito tecnico), ha erogato nel primo caso 1 solo € di aumento retributivo per tutti (proprio così, non sto scherzando), e il secondo rinnovo, di qualche settimana fa, 24€ da qui a tre anni? Come dovremo valutare il fatto che diminuendo il peso specifico della parte nazionale, uguale per tutti, dei contratti, viene invece potenziata la parte locale, parcellizzata, individuale?
Ecco, dunque, un legame diretto fra liquidazione dei titoli di studio (e della scuola pubblica), e abbassamento del costro del lavoro e delle garazie normative che tutelano i lavoratori. Non sono due facce della stessa medaglia?
# Quindi lo scopo di Draghi non è, come ha detto nel suo discorso, di “qualificare” la scuola?
Draghi non è stato inviato dallo Spirito Santo, è un banchiere, ex consigliere di Goldam Sachs, la banca che con lo scandalo della speculazione (le banche speculano nella finanza internazionale), dei subprime del 2008 ha scatenato una crisi di cui viviamo le conseguenze ancora oggi. Egli sa bene che la scuola, con i suoi diplomi riconosciuti nei contratti nazionali di lavoro, rappresenta un ostacolo allo smantellamento dei contratti stessi e all’abbassamento del costo del lavoro. Per questo contrappone il riconocimento europeo dei titoli di studio al loro riconocimento nazionale e nei contratti. Per questo oppone gli ITS agli Istituti tecnici e professionali e all’Università. Per questo propone la chiacchera delle competenze alla reale trasmissione di conoscenze tecniche e professionali. Per questo oppone il LongLifeLearning al compimento di una formzione che abbia un inizio, una conclusione, un titolo effettivo e che poi si potrà riaprire con altri percorsi definiti e altri titoli precisi.
# Però questo processo rimette in causa anche lo stesso bisgno degli imprenditori (e anche dei banchieri), di avere personale realmente qualificato.
È vero. Ma questa è una contraddizione del sistema in cui viviamo. Un sistema che produce armi di distruzione di massa che potrebbero far scomparire l’intero pianeta, compreso chi le produce, che mina l’esistena e l’equilibrio dell’ambiente e delle sue risorse. Un sistema che abbassando il costo del lavoro abbassa anche il livello di specializzazione e culturale del lavoratorore. In sostanza, un sistema che sopravvive distruggendo forze produttive (l’uomo e la natura). Questo avviene perché l’obiettivo di una società capitalista è semplicemente il profitto (e non la scelta se “produrre burro o cannonni”, per usare una nota metafora). Quindi si, queste politiche conducono a un impoverimento tecnico – culturale dell’umanità e alla fine ne minacciano la stessa esistenza. D’altra parte, per il momento, chi dispone di mezzi può ancora seguire un percorso di alto livello che viene spostato sempre più avanti (oggi un “buon” titolo di studio è rappresentato da un Master).
# Dunque bisogna arrendersi all’evidenza o aspettare una rivoluzione per cambiare le cose?
Niente affatto. Oggi abbiamo una chiave importante in mano. Questa chiave è rappresentata da tutte quelle organizzazioni che si battono per difendere le conquiste e il progresso umano, come molte associazioni, comitati e, soprattutto, i sindacati. Se i sindacati riusciranno, sotto la nostra pressione, a dire no a questi progetti, a battersi per ristabilire la scuola, i suoi titoli di studio, per fermare questa deriva, tutti i cittadini tireranno un sospiro di sollievo e aiuteremo così anche gli operai e i tecnici a difendere i loro contratti di lavoro collettivi e quindi le loro condizioni e quelle delle loro famiglie. Per questo rimango sorpreso quando un’organizzazione sindacale importante come la FLC – CGIL, alla quale sono iscritto, dice che:
“Delle dichiarazioni programmatiche del presidente del Consiglio Draghi abbiamo apprezzato l’approccio al tema dell’ambiente e alle sue connessioni con il progresso e il benessere sociale. Questa è la vera priorità.”
L’uomo di Goldman Sachs e della BCE non è lì né per salvare l’ambiente (sic!), né la scuola. Un sindacato questo lo deve sapere e lo deve dire chiaramente. Un sindacato non deve dare l’idea di voler appoggiare un governo come questo (e non ricordate Gelmini e Brunetta, ora di nuovo ministri?). Un sindacato non può dire che sostiene Draghi quando denuncia le diseguaglianze:
“Condividiamo la denuncia [di Draghi] delle diseguaglianze che la didattica a distanza ha accresciuto fra territori e fra studentesse e studenti provenienti dai vari contesti familiari.”
Perchè il problema lo hanno creato i governi non fornedo gli insegnanti necessari, non fornendo gratuitamente le connessioni e i dispositivi informatici alle famiglie, non fornendo alloggi degni di esseri umani per lavorare e studiare a distanza, aiuti sociali e assistenza alle famiglie in dificoltà, non fornedo una reale formazione tecnologico – didattica ai docenti (LongLifeLearning?), sabotando i trasporti e, insomma, tutto quello che abbiamo tutti constatato in quest’anno. I responsabili non sono gli insegnanti e il personale che ha fatto tutto quello che poteva fare per sostenere la scuola, ma i governi che non hanno fornito alcun mezzo e hanno lasciato la scuola nelle stesse identiche condizioni di un anno fa!
Se i sindacati svolgeranno il loro mestiere potremo salvare la situazione, siamo ancora in tempo. Per questo ci batteremo affinché avanzino le rivendicazioni che tutti ci aspettiamo per salvare la scuola pubblica, i contratti collettivi, la dignità delle persone che lavorano e che studiano.
Alberto Pian
RSU, direttivo Piemontese FLC – CGIL
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