Non autosufficienza e RSA
Foto di Alessandra Tarantino AP.
Il grado di civiltà di un paese si rivela anche dal livello di autonomia della sua popolazione anziana e non certo dal suo abbandono.
Il distanziamento sociale produce oggi invece danni profondi, e non solo materiali, in tutti/e ma soprattutto nelle soggettività più fragili, degli/le anziani/e come dei giovani, di cui nei fatti viene sacrificata la vita. Civiltà quindi è anche garantire il rispetto del diritto alla salute e alla non discriminazione dei/lle malati/e cronici/che non autosufficienti, ma anche l’individuazione delle responsabilità della strage avvenuta e che sta ancora avvenendo, dentro e fuori le RSA, nel corso della pandemia. Responsabilità diffuse a tutti i livelli, anche locali, nei ritardi nell’adottare misure preventive e tempestive atte a proteggere la dignità delle persone. Oggi neanche viene presa in considerazione l’idea di inchieste territoriali con le quali informare, con dati completi, cittadini e cittadine sulla realtà della situazione: questo è un bisogno diffuso e naturale di conoscenza. Le RSA sono luoghi chiusi allo sguardo, oggi ancora più chiuse se non si riesce a conoscere le cause di tanti morti.
Ci stiamo rassegnando al fatto che nella pandemia abbiano incontrato e incontrino la morte delle persone?
Possiamo accettare che i familiari non possano vigilare o denunciare quello che è successo?
Il diritto alla salute è principio costituzionale assoluto, non sottoposto ad alcuna limitazione, nemmeno di ordine economico (Costituzione art.32). Riferimento fondamentale è anche la legge nazionale 833/78 di riforma del SSN, . Ma l’emergenza sanitaria ha acuito problemi sistemici da tempo esistenti: privatizzazione, aziendalizzazione, accentramento, appalti, precarietà contrattuale…. frutto dei drammatici tagli alle risorse, nel tempo progressivamente perpetrati, in ossequio alla idea preconcetta del pareggio di bilancio. Costituzione e legge oggi tranquillamente messe da parte.
La pandemia ha evidenziato l’abbassamento del livello della qualità della prevenzione, della cura e dell’assistenza.
Dove sono finiti i tanto sbandierati LEA (Livelli Assistenziali di Assistenza) garantiti dalla legge?
Le stesse condizioni di lavoro degli/alle operatori/trici sono state caratterizzate troppo spesso da precarietà, stress fisico e psichico oltre naturalmente i gravi rischi legati al covid.
Alcuni dati sugli ordini di grandezza: gli/le anziani/e disabili, non autosufficienti, in Italia, sono il 18% nell’età fra i 75 e i 79 anni e il 45% degli/lle 80enni. 2.500.000 sono le persone non autosufficienti in Italia, di cui 2 milioni di anziani/e. Gli/le assistenti familiari, troppo spesso non contrattualizzati/e, arrivano a circa 1.000.000. Solo 1/5 delle persone non autosufficienti usufruisce dell’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), con distribuzione ineguale fra nord e sud, a svantaggio del sud, dove vive la maggior parte degli/le anziani/e non autosufficienti.(Redattore sociale)
Occorre allora garantire quel servizio sociosanitario gratuito, a livello domiciliare e territoriale, la strage di migliaia di decessi nelle RSA ha drammaticamente dimostrato la carenza strutturale. Un servizio che abbia nella prevenzione la sua linea di azione coordinando ASL e Comune secondo l’art.1 della 833.
Essere curati il più a lungo a casa è infatti un diritto delle persone e un dovere delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli. I sindaci per responsabilità e dovere costituzionale devono farsi carico del rispetto del diritto alla salute.
Vanno quindi aumentate le cure domiciliari, per una presa in carico integrata, coordinata e continuativa, attiva tutti i giorni nelle 24 ore, in un percorso personalizzato che garantisca la qualità della vita al paziente e ai suoi familiari.
La centralità dell’azione di prevenzione e cura sul territorio è nel Distretto Sanitario dotato di risorse, strutture, professionalità adeguate e personale stabile pubblico. Le cure domiciliari si avvalgono della medicina territoriale.
Oggi le RSA sono diventate indispensabili per la mancanza di corrette alternative, con un conseguente quasi raddoppio di strutture private volte principalmente al profitto.
Servono allora con urgenza RSA pubbliche e gratuite, appartenenti al SSN, un controllo forte su quelle private, controlli troppo spesso solo formali e amministrativi.
Le RSA devono essere strutture aperte al territorio e trasparenti,nel pieno rispetto delle condizioni di sicurezza degli ospiti e degli operatori, devono avere un responsabile sanitario, un numero limitato di posti letto e spazi adeguati alle diverse attività di cura e riabilitazione. Il personale dipendente stabile, professionalmente formato e in quantità corrispondente ai molteplici e profondi bisogni della popolazione anziana non autosufficiente. All’interno devono essere previsti comitati di partecipazione dei familiari, riconosciuti dalla direzione. Questo significa procedere da subito alla revisione, secondo una linea nazionale, di tutti gli istituti di accreditamento, garantendo seri e periodici controlli pubblici da parte delle ASL.
Fino ad oggi le RSA sono state considerate meno prioritarie degli ospedali a tutte le amministrazioni, anche quelle locali; eppure sono uno snodo a tre vie fondamentale per l’equilibrio del sistema, dovendo relazionarsi con l’ospedale ma anche con la medicina territoriale e il sociale comunale: con l’abbandono sono state appaltate di fatto al privato.
Sono necessarie quindi iniziative diffuse mobilitanti di denuncia, approfondimento, di costruzione e di consapevolezza, per chiedere investimenti pubblici nei relativi bilanci, in strutture e personale dipendente pubblico, stabile, su tutto il territorio nazionale.
La pandemia ha finito per alimentare ed evidenziare le disuguaglianze patrimoniali, le spese militari non sono diminuite. Le risorse finanziarie ci sono!
#RiconquistiamoTutto – SPIdiArea



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