Il nostro antifascismo: dalla parte del lavoro, non di queste istituzioni e di questo governo.

di Luca Scacchi, Direttivo nazionale CGIL.

Una riflessione controcorrente sull’appello per una grande alleanza democratica e antifascista lanciato dall’ANPI e sottoscritto dalla CGIL.

In questi giorni sta circolando un appello per una grande Alleanza democratica e antifascista [Uniamoci per salvare l’Italia], promosso dall’ANPI e che ha ottenuto molteplici e significative sottoscrizione da parte di associazioni (ACLI, ARCI, CDC,  Libera, Legambiente, Rete della Conoscenza), di partito (M5S, PD, Articolo 1, Sinistra Italiana, PRC) e anche sindacati (CISL, UIL e anche la nostra CGIL).

Io penso che questo appello sia proprio sbagliato. Io penso cioè che la CGIL, tutte le forze della sinistra e del lavoro, dovrebbero tenere un altro profilo contro le destre ed i movimenti reazionari, un’altra azione contro questa gestione capitalistica della crisi e la sua precipitazione nell’emergenza sanitaria.

Un altro profilo contro le destre e i nuovi movimenti reazionari di massa. La Grande Crisi esplosa nel 2008/09 ha inciso in questo paese, in tutta Europa e in tutti i paesi a tardo capitalismo, moltiplicando le povertà, aumentando le disuguaglianze, incrementando lo sfruttamento nel lavoro (flessibilità degli orari, intensificazione dei ritmi, riduzione del salario diretto e smantellamento di quello sociale: come ha ricordato Draghi nel 2012 si è oramai superato il modello sociale europeo). In queste contingenze, quando il capitale non è più capace di salvaguardare i livelli di vita raggiunti nel passato, la paura e la rabbia della terza classe dei ceti medi e intermedi si rivolge spesso al versante reazionario: il sordo rancore dei declassati diventa odio del presente, paura dell’avvenire, nostalgia di un passato mitizzato. Si guarda quindi agli uomini del destino ed alle svolte autoritarie, ad identità nazionali e comunità immaginate, alla ricerca di un’istanza superiore al di sopra della natura e della storia, al riparo dalla concorrenza, dall’inflazione, dalla crisi e dalla vendita all’asta. Un senso comune che in questi anni abbiamo visto gonfiarsi anche nelle classi subalterne, persino nella classe operaia organizzata: nelle periferie de Pas de Calais e delle borgate romane, in Ohio come a Piombino. A favorire questo sbandamento dei ceti medi e intermedi, a sospingere questa penetrazione reazionaria nelle classi subalterne, è stata proprio la disorganizzazione del lavoro e il ripiegamento della prospettiva di un cambiamento dello stato delle cose presenti [la scomparsa cioè nella percezione di massa di ogni movimento reale che abolisce lo stato di cose presente]. Quando manca il partito della speranza rivoluzionaria, infatti, rimane solo la disperazione controrivoluzionaria.

Questa risposta, allora, innanzitutto non funziona. L’alternativa alle destre non si costruisce sulla difesa delle attuali istituzioni [l’Europa come risorsa, Capitol Hill e un Parlamento del quale sia assicurata la centralità nei processi politici e decisionali] insieme a quelle sinistre liberali e reazionarie (dal PD ai 5stelle) che proprio oggi, proprio da quelle istituzioni, stanno conducendo una gestione capitalistica di questa lunga crisi: la tessitura di un blocco regionale Europeo in competizione con gli altri poli imperialisti [in primis USA e Cina], il dispiegarsi di guerre a sostegno di questa geopolitica [dal pattugliamento del Mediterraneo agli interventi in Libia e Medioriente], l’uso di risorse pubbliche per la ristrutturazione capitalista [vedi la logica ordoliberale della UE e del recovery plan], la riproposizione di politiche economiche e sociali sempre dalla parte di rendita e padronato. Perché così si amplifica ancora di più il senso comune che chi contesta l’ordine attuale, le sue gerarchie e disuguaglianze, chi è fuori dai Palazzi, chi offre l’unica via d’uscita da quelle politiche sociali ed economiche, chi propone un’alternativa alla paura e alla disperazione dell’attuale crisi, è proprio una destra reazionaria e autoritaria oggi sempre più in sintonia con i sentimenti, le espressioni e le culture popolari.

Una contraddizione che diventa ancor più evidente nell’attuale contingenza. L’appello infatti esce [non credo causalmente] proprio nei giorni di una crisi di governo tutta segnata da politicismi ed equilibri di potere nel Palazzo, ponendo il Parlamento al centro dei processi politici e decisionali, coinvolgendo direttamente i partiti dell’attuale maggioranza (eccetto proprio quell’Italia Viva che questa crisi ha innescato]. Al di là delle belle intenzioni e dei concetti aulici presenti del testo [tra le altre cose, a mio parere, in diretta ed evidente contrapposizione proprio con le recenti iniziative referendarie prima del PD e poi del M5S], non sfugge cioè l’impressione che il suo senso politico contingente sia tutto nel sostegno (e riverniciatura democratica) degli ennesimi trasformismi destinati a segnare le vicende politiche del paese.

In ogni caso, questo appello propone una strategia: un’alleanza politica e sociale tra le forze del lavoro e quelle liberali. Di fronte alla pandemia, per ricostruire il Paese, urge l’impegno delle forze migliori della società: unire ciò che è diviso e vincere la paura costruendo fiducia. Uniamoci cioè per salvare l’Italia, in una grande alleanza democratica e antifascista per la persona, il lavoro e la socialità. In una Grande Crisi epocale, in un’emergenza sanitaria inedita che precipita una recessione mondiale di dimensioni impressionati [-4,2% nel 2020], lo scontro sociale e politico tra le diverse classi è in realtà inevitabilmente acuito ed amplificato: lo è nella materialità dei processi di produzione (salario, orario, salute e sicurezza, come ben sappiamo in questi mesi), nelle politiche economiche (a chi e come vanno sussidi e sostegni, per quanto e come si articola il blocco dei licenziamenti, come si indirizzano investimenti e interventi pubblici), come sul piano più generale nella stessa sopravvivenza di questo sistema produttivo e delle sue gerarchie sociali [appunto, con la gestione capitalistica della crisi o con lo sviluppo di un reale cambiamento dell’attuale ordine sociale, abolendo lo stato di cose esistenti]. Le destre e i nuovi movimenti reazionari propongono oggi impianti nazionalisti e identitari, accompagnando la crescente competizione internazionale e accelerando le sue contraddizioni interimperialiste: così cancellano i diversi interessi di classe e li imbrigliano in politiche bonapartiste, che lisciano il pelo alle classi popolari ma consolidano le solite gerarchie sociali. Questo appello però gli contrappone un’ampia alleanza politica e sociale, che sulla base della fiducia e della difesa dell’ordine attuale, dovrebbe veder stringersi insieme forze di governo e organizzazioni sindacali, impostazioni padronali e interessi di classe, promettendo genericamente di evitare una restaurazione dei vecchi e fallimentari modelli economici e valoriali, avviando un cambiamento sulla strada tracciata dalla Costituzione. Sarei proprio curioso di sapere cosa intendono con questa frase nel PD e nei 5Stelle, visto che le politiche liberali non sembrano dismesse da nessuno (basta leggersi una Nadef o la Legge di Bilancio). Come sarebbe interessante capire quale strada tracciata dalla Costituzione vedano per uscire da questa Grande Crisi. Ogni strategia concertativa, più o meno basata sui due tempi (oggi i sacrifici, domani…vedremo) produce comunque sempre gli stessi risultati: la conferma delle attuali gerarchie sociali e lo sfruttamento del lavoro. Vediamo infatti quotidianamente come le forze dell’attuale maggioranza parlamentare, firmatarie di questo appello, conducono le loro politiche con un chiaro segno di classe.

Io credo che la paura non si vinca con la fiducia, ma con la rabbia. Siamo in una Grande Crisi, un’emergenza sanitaria epocale. La fiducia non si può sviluppare a fronte del progressivo acuirsi della competizione mondiale e della conflittualità interimperialista, del precipitare del cambiamento climatico e delle migrazioni (in fuga da guerre e carestie), dello sviluppo di una scontro tra interessi di classe diversi e tra loro contrapposti. La dinamica del mondo di oggi è quindi inevitabilmente segnata dalla paura: per vincerla serve trovare la forza e l’energia per cambiare le cose. Per questo serve la rabbia. La rabbia di fronte alle povertà e alle disuguaglianze prodotte da questa crisi, la rabbia di fronte ad intensificazione dello sfruttamento proposta come soluzione per questa crisi. La destra propone di usare questa rabbia contro gli altri: contro gli altri poli in competizione, contro i migranti e contro i disperati, per poter mantenere anche a loro spese l’attuale ordine sociale. Noi dovremmo provare a direzionarla contro chi ha usato e sta usando la crisi per riaffermare le attuali gerarchie sociali, per garantire la riproduzione dell’attuale valorizzazione capitalista, estendendola ed intensificandola in tutti gli spazi della realtà sociale.

La CGIL è un sindacato generale del lavoro. Il suo primo obbiettivo non dovrebbe esser quello di inseguire e sostenere le attuali forze di maggioranza, ma al contrario l’indipendenza e la difesa degli interessi del lavoro. Il primo obbiettivo di una forza antifascista, in questa situazione, dovrebbe esser lo sviluppo a partire da questi interessi di classe di un movimento reale in grado di abolire lo stato di cose presenti.

Per questo, in sintesi, considero sbagliato questo appello e la firma della CGIL a quest’appello.

Luca Scacchi

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