L.Scacchi. Per conquistare il sole di York: una nuova stagione per la scuola.

Intervento di Luca Scacchi all’Assemblea Generale della FLC del 14/15 gennaio 2021.

Viviamo in un inverno di scontento. Non solo cioè in un tempo straordinario, ma in un tempo straordinario in cui si rischiano di perdere le coordinate di quello che è giusto e quello che è sbagliato, di quello che si ha da fare e quello che si ha da evitare. Non sto parlando di Capitol Hill o della nostra crisi di governo (anche se è parte del quadro): sto parlando proprio della scuola.

Oggi siamo infatti impantanati, con una sola certezza: questo sarà il secondo anno scolastico in cui la pandemia peserà come un macigno sulle nuove generazioni, con effetti di lungo respiro sui percorsi di sviluppo e sugli apprendimenti, con la scuola che diventa moltiplicatore delle disuguaglianze invece che fattore di loro contenimento (come ha detto Francesco nella relazione).

Le condizioni per una scuola in presenza, infatti, non si produrranno a breve, tenendo conto della curva pandemica, delle nuove varianti e di quanto poco oggi è stato messo in campo. Anzi, a rischio sono chi oggi è a scuola, infanzia primaria e superiori di primo grado.

Francesco ha ricordato l’articolo di Zunino su Repubblica: a pesare sono state le scelte dell’ultimo anno. La scelta del CTS dello scorso agosto di confermare gli spazi (il metro statico tra rime buccali, l’80% nei trasporti pubblici): una scelta non neutrale, perché la scienza non è mai neutrale ma sempre soggetta ad un suo uso da parte del potere (a partire proprio dalla sicurezza: per questo la CGIL ha costruito nei decenni un modello di difesa della salute partecipato, centrato sulle RLS e sul punto di vista del lavoro. Forse, purtroppo, in questi mesi ce lo siamo dimenticato). La scelta del governo è stata di non smezzare le classi, di non investire sugli organici (si era valutato sino a 120mila docenti in più, ricorda Zunino, invece si è prodotto il disastro di precari e supplenze). La scelta è stata di comprare banchi a rotelle (arrivati a scuole chiuse). La scelta è stata di puntare tutto sull’autonomia delle scuole (ognuno si arrangi come può, non sulla base di criteri condivisi ma in piena libertà, sulla base della propria discrezionalità). Guardate, io credo che è stato questo principio, l’assenza sin da subito di un quadro nazionale forte, che ha permesso poi il dispiegarsi dell’autonomia differenziata regionale. E’ stata anche la scelta di dicembre di rilanciare tutto su una data: con i prefetti (con poteri commissariali contro CCNL e contro le prerogative degli organi collegiali, in una logica di stato di eccezione) e con turnazioni senza senso didattico (un tempo scuola purchessia, con adolescenti e preadolescenti che fanno lezione saltando pranzo e passando sopra i propri tempi di vita).

Il punto oggi è cosa facciamo, come riconquistiamo una scuola in presenza e in sicurezza. Per cercare di non perdere completamente quest’anno, cercare di avviare il prossimo, provare a sviluppare prima possibile interventi di sostegno e supporto. Perché per noi è chiaro che non si risolve nulla barcamenandosi ora e aprendo le scuole a luglio e agosto (perdonatemi il termine, l’ennesima stronzata senza capo né coda). Servono DPI e serve rimettere in discussione gli spazi (per creare distanze), quindi nuovi protocolli; servono tracciamenti e vaccini, quindi presidi sanitari reali; servono trasporti; servono organici per creare bolle. Servono cioè risorse, ora.

Le risorse ci sono. Basti dire che si spendono altri 25 miliardi nelle prossime settimane, dopo che se ne sono spesi 130 negli ultimi mesi. Solo che queste risorse stanno andando ad altri e ad altre priorità. Allora la domanda è come cambiare queste politiche e queste priorità: se siamo capaci di agire come soggetto di massa, di partire dagli interessi di una parte (il lavoro e le classi subalterne) per riunire intorno ad essi un blocco sociale complessivo.

Se siamo cioè capaci di esser un sindacato generale, punto di riferimento di docenti e ATA, studenti e famiglie, a partire proprio da quelli che stanno pagando di più questa emergenza e questa crisi.

Bisogna però esser consapevoli che il recovery non è in sé una risposta. Ne parleremo con l’odg specifico. Non solo per il suo quadro di insieme (reali risorse, condizionalità e politiche del debito), ma perché questo piano porta pesantemente il segno di un rilancio e di una cristallizzazione di quella scuola di classe delineata nell’ultimo decennio. Lo ha detto anche Francesco nella relazione. Centralità dell’impresa nei programmi, PCTO e curricula, competenze e certificazione: dalla riforma di tecnici e professionali alle lauree professionalizzanti, sino alla formazione continua pensata come occupabilità [non per imparare a suonare il clavicembalo come le 150 ore degli anni settanta, come detto in una famosa trattativa sindacale]. Una nuova gerarchizzazione dell’istruzione, sempre più multidisciplinare nei livelli alti [licei e collegi d’eccellenza], sempre più focalizzata sulle microcompetenze in istituti professionali, ITS e lauree professionalizzanti. Come, non nascondiamocelo, piano di resilienza e atto di indirizzo mettono al centro del rinnovo del CCNL ipotesi di diversificazione e accelerazione di carriera per spezzare unitarietà del lavoro docente. La risposta, quindi, non può essere quella che si configura come una rivoluzione passiva che ci concretizza in protocolli, intese e progetti calati dall’alto, che provano a guidare in modo tecnocratico le sorti magnifiche e progressive del mondo.

Per esser un sindacato generale e di massa, bisogna cioè fare il sindacato generale e di massa. La riposta cioè è parlare, attivare e coinvolgere l’insieme di lavoratori e lavoratrici. Attivarli e farli scendere in campo. Abbiamo visto che è possibile proprio in queste settimane, a Roma. Dai documenti del Tasso e del Mamiani all’appello di RSU cha sta raccogliendo centinaia di firme in tutta Italia.

Lo ha detto Francesco all’AG di ottobre, ed allora ero perfettamente d’accordo con lui: l’unico modo che un sindacato ha di farlo in termini generali è costruendo uno sciopero. Certo, so che noi stessi, come dirigenti, funzionari, attivisti, RSU, siamo travolti dalle cose e dalle maree. So che pesano le incertezze e i timori del futuro, a partire dalla valutazione dei rischi che a questo governo ne segua uno peggiore o che si apra la strada alle orde traumpiane ed alle destre de noaltri. So che pesa la tentazione che proprio a fronte di questa individualizzazione e di queste orde, sia proprio l’azione sui tavoli e nei ministeri a contenere i danni ed evitare la frana (una tentazione che credo ci abbia guidato, sbagliando, sul CCNI sulla didattica digitale). So che pesa un lungo ciclo, in cui abbiamo progettato i piani del lavoro nei seminari a corso Italia più che facendoli vivere nei posti di lavoro e nei quartieri. So che ci trattiene la propensione a cogestire le crisi più che a usarle per ribaltare i rapporti di forza, l’eredità di una tradizione sindacale centrata sulla concertazione e sul patto dei produttori. So soprattutto che oggi lavoriamo nella pandemia, che a prevalere è isolamento, impotenza, paura, spesso ansia e depressione. Appunto, siamo in un inverno di scontento. Però non credo che la risposta possa essere, come ho sentito in questa AG, che non c’è il clima, che nel disastro totale dobbiamo tener aperto la scuola, rinunciando a prender parola collettivamente e piegandoci allo stato di eccezione.

Per conquistare il sole di York e la sua sfolgorante estate, infatti, bisogna avere la determinazione di guardare attraverso la nebbia e oltre le nubi. Se le condizioni per portare lavoratori e lavoratrici ad attivarsi non ci sono ora, se le condizioni dello sciopero non ci sono, il primo problema di un sindacato è allora quello di costruirle. Non basta una generica indicazione di assemblee RSU e nei territori. Bisogna andare scuola per scuola, istituto per istituto, far discutere nelle scuole e con le famiglie priorità e soluzioni, porre il problema delle vaccinazioni e delle risorse, definire rivendicazioni e quindi farli scendere in campo. Produrre appelli, prese di posizione e risoluzioni delle RSU, delle assemblee, dei consigli di istituto, dei collegi docenti, delle assemblee degli studenti medi, dei comitati e delle associazioni della scuola. E su queste prese di posizioni, stimoli, proposte, far lievitare piattaforme e mobilitazione, arrivare allo sciopero per ottenere quello che serve, per cambiare politiche regressive che rischiano di imporsi nella pandemia e fiorire nel recovery plan. Davvero, e davvero lo penso, mai come oggi il destino della scuola, del lavoro, delle classi subalterne sono nelle nostre mani e nella nostra azione.

Luca Scacchi

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