Un bilancio. Non è il 2020 che porta sfortuna…

Intervento di Eliana Como al direttivo nazionale CGIL del 16 dicembre 2020

Inizio dalle dichiarazioni del presidente di Confindustria di Macerata: “se qualcuno morirà, pazienza…”. Parole che a me, passatemi il termine, fanno schifo e non me ne frega niente delle scuse. Se fosse per me, io con quello non ci avrei più a che fare, non mi ci siederei più a un tavolo. Se Confindustria vuole discutere con la Cgil, lo faccia dimettere dopo parole così gravi, altro che patetiche scuse. Perché va bene qualunque discussione, con qualunque interlocutore, anche il meno presentabile, ma non può essere che un esponente di Confindustria dica una cosa simile, senza che ci sia alcuna conseguenza. Le parole pesano. E queste sono pietre.

E sono tanto più gravi perché non sono isolate. Tutt’altro, sono solo la punta di un iceberg. Saranno magari sfuggite, nella loro gravità, ma rappresentano un modo di pensare molto più ampio. Sotto la punta dell’iceberg ci sono i padroni a bergamaschi che tra febbraio e marzo hanno fatto pressioni per non chiudere la Val Seriana, il loro #bergamoisrunning, Bonometti che al telefono con Fontana, di fronte alla possibilità che si prendano misure più gravi, risponde: “ma io devo rifornire la Jaguar…” Ci sono tutte le pressioni fatte a luglio, per allentare i controlli, affinché il turismo non si fermasse. Compreso chi pretendeva di riaprire le discoteche, perché “il virus era morto”. E ci sono le pretese di oggi, che è ripartito lo shopping natalizio, mettendo le basi per una terza ondata, mentre non siamo ancora usciti dalla seconda. C’è la decisione scellerata di far tornare gialla la Lombardia, permettendo che le vie dei negozi e i centri commerciali si riempissero di nuovo, con conseguenze pericolose, prima di tutto per chi lì ci lavora.

Venendo al merito della discussione, faccio fatica a interloquire con la lettura che il segretario generale ha dato nella introduzione, sul fatto che ci sia stata una prima e una seconda fase, una meno complicata dell’altra (la prima!), perché siamo stati coinvolti ai tavoli. Perché il punto per me è se siamo in condizione o meno di cambiare le condizioni date, non i tavoli o i documenti che scriviamo.

Vedo casomai una prima fase disastrosa, con un DPCM, quello del 22 marzo, arrivato in straordinario ritardo per i territori del nord, in particolare della Lombardia. Ritardo che tuttora ci consegna il triste primato mondiale del tasso di mortalità per Covid. Vedo un protocollo sicurezza che è servito sì, ma dopo, ora forse. Ma che in quelle settimane è cascato addosso a delegati/e e Rls. Allora non avevamo nemmeno le mascherine! Altro che protocollo. Non le avevamo nelle fabbriche, ma non bastavano nemmeno negli ospedali più colpiti, a partire da quello della città in cui vivo.

E nella seconda fase, se non siamo stati coinvolti come diciamo, dovevamo dirlo quando si discuteva delle risorse, alla fine della prima andata, nel momento in cui il covid ci ha lasciato un minimo di pace. Quando si dovevano mettere le basi per evitare di arrivare di nuovo del tutto impreparati, a una seconda ondata, che era certa e prevista, non probabile. Dovevamo dirlo quando si discuteva, anzi quando “non si discuteva”, di risorse per la sanità, per la scuola, per il trasporto pubblico locale. Dovevamo farlo, prima di arrivare a ottobre, con le scuole di nuovo da sacrificate e le metropolitane che scoppiavano.

Io non vedo una prima e una seconda fase. Ma un’unico disastroso anno, in cui noi, nonostante l’impegno e le buone intenzioni di tutti, avremmo dovuto dare risposte molto più forti, tanto più quando eravamo coinvolti ai tavoli e quando i lavoratori in alcuni settori hanno iniziato a scioperare, perché, forse, allora potevamo fare la differenza, anche nel porre le basi di quello che sarebbe accaduto dopo.

Certo, il blocco dei licenziamenti lo abbiamo ottenuto noi ed è ovviamente un elemento importante. Ma non è bastato, non poteva essere soltanto quello il nostro obiettivo, quello su cui si puntava tutto, compreso, giustamente, spendere la minaccia dello sciopero. Il blocco dei licenziamenti è importante, ma non risolve il tema del rischio sanitario (e se c’é una cosa che ho imparato da questo 2020, è che non c’è niente che possa venire prima della salute e della sicurezza). Ma anche sul piano economico, non basta. Perché purtroppo, lo sappiamo, tanti precari/e non hanno nemmeno saputo che c’era il blocco dei licenziamenti.

Quindi per me questa discussione oggi e soprattutto la proposta è sfasata e insufficente. Non basta avere una nostra idea di modello di sviluppo e rivendicare di essere coinvolti nel MES per come verrano usate le risorse. Il punto è come ne otteniamo una o anche mezza delle nostre proposte. Su risorse che, a me pare, sono in larga parte già state decise e che comunque ripagheremo per intero, perché sono a debito, oltre che condizionate alle politiche europee di austerità.

Esco da questo direttivo senza sapere cosa facciamo nei prossimi mesi. Di fronte a tutto quello che sta accadendo, la proposta non può essere che a gennaio facciamo un paio di iniziative di approfondimento e un giro di assemblee generali per parlare di una idea che abbiamo sulla carta, ma che non diciamo come faremo vivere. Per questo voterò contro a documento che viene proposto. Mai come adesso, avremmo bisogno di uscire da questo direttivo con una idea chiara e determinata di cosa vogliamo, in termini di analisi, certo, ma soprattutto di iniziativa e di mobilitazione. Mai come ora ce n’é bisogno. Come ce ne era a marzo e questa estate e di nuovo in autunno e quando si decidevano le riaperture di Natale.

Ce n’è bisogno, perché non è il 2020 che “porta sfortuna”, tanto che, passatemi la battuta nemmeno il sangue di san Gennaro si scioglie. Cosa non si inventano per farci pensare che sia una fatalità. Eh no, ci sono responsabilità politiche, presenti e passate. A partire dal fatto per decenni si sono tagliate risorse alla sanità pubblica, dirottandole verso il privato. Se a marzo il paese era impreparato, se la sanità lombarda è crollata come un gigante dai piedi d’argilla, non è colpa del caso ed è – anche – soltanto in parte causata dall’imprevisto del covid. Se non si fossero fatte alcune scelte, anche nei decenni precedenti, avremmo affrontato una epidemia, non una catastrofe. E non avremmo il tasso di mortalità più alto al mondo.

Eliana Como – portavoce nazionale #RiconquistiamoTutto

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