Per una iniziativa del lavoro pubblico oltre il 9 dicembre
Lo sciopero generale del settore pubblico del 9 dicembre 2020 dichiarato dalle sigle confederali, e quindi dalla FP Cgil, è una iniziativa di lotta che va sostenuta e valorizzata dalla nostra area sindacale, ma di cui vanno colti i limiti e certamente alcune contraddizioni evidenti.
L’iniziativa è stata accolta dalla discussione pubblica, in particolare da settori storicamente tutt’altro che amici del lavoro pubblico, ma purtroppo anche da aree non omogenee a questi atteggiamenti di pregiudizio verso di esso, come si trattasse di un affronto all’Italia che soffre e che vorrebbe lavorare ma non può farlo.
Questo dato segnala quanto sia necessario un lavoro politico-sindacale di ricomposizione delle prospettive e degli interessi dei lavoratori salariati, poiché continua ad essere forte, e con tutti gli strumenti a disposizione, l’azione dei poteri dominanti che in questi anni hanno suggerito e promosso con ogni strumento, la fittizia contrapposizione tra lavoratori pubblici e privati, tra presunti interessi dei lavoratori giovani contro i lavoratori anziani, tra le classi popolari del sud e quelle del nord Italia, come dei salariati autoctoni contrapposti alle masse migranti. Anche grazie a questa strategia che non cessa di essere declinata, sono passate le peggiori controriforme del lavoro, delle pensioni, le riduzioni del sostegno al reddito ed i tagli al welfare, oltre al passaggio di interi settori di garanzia di diritto universale (mobilità, sanità, scuola) ad esercizio di profitto privato.
Dal punto di vista della ricomposizione delle lotte e della costruzione del consenso il coinvolgimento diretto dei lavoratori è sempre necessario. Anche nel momento di costruire e condividere le piattaforme e le rivendicazioni, come nella capacità di trasformarle in parole d’ordine e vertenzialita’. Spiacevolmente le piattaforme per il rinnovo del pubblico impiego, per il quale il 9 dicembre i lavoratori sono chiamati alla mobilitazione, sono state formalizzate a febbraio 2020 e, complice la pandemia, non sono state presentate e discusse con i lavoratori che oggi dobbiamo invitare a mobilitarsi.
C’è inoltre in questo Paese un evidente problema salariale; c’è per il lavoro dipendente privato come per il lavoro pubblico. Dopo un rinnovo atteso per quasi 10 anni, quello 2016-2018 che ha restituito ai lavoratori una parte minima di quanto perduto nella quasi decennale vacanza contrattuale, e che su questo versante noi all’epoca criticammo con forza, siamo all’ultima possibilità di finanziamento del rinnovo 2019-2021in legge di bilancio, e la proposta del governo, oltre a non operare alcuna controtendenza alla logica della compressione salariale, dissemina la proposta di trappole ed incantamenti per la pubblica opinione, disvelando il ruolo di comprimario del lavoro pubblico rispetto agli interessi della impresa privata e al modello di sviluppo per il paese di cui questo governo è portatore.
La proposta contenuta in legge di bilancio e gli atti di indirizzo del ministro parlano di 400 milioni stanziati per il rinnovo. Un aumento del 4,07% (nel 2016 fu del 3,48%). Ma è un abbaglio perché in questa cifra è contenuto sia l’elemento perequativo sia l’indennità di vacanza contrattuale. Inoltre è una media che comprende la dirigenza, e vi sono 210 milioni che riguardano direttamente il comparto sicurezza. Quindi a differenza degli 85 euro medi del 2016, che non riallineavano i salari a quanto perduto con i mancati rinnovi di quasi 10 anni perché per il solo riallineamento sarebbero stati necessari 300 euro medi lordi, qui parliamo di 35/40 euro medi lordi. Inoltre nessuno dei macrotemi, legati al potenziamento dei settori pubblici e al piano straordinario di assunzioni viene indicato nell’atto di indirizzo del ministro. In tutta evidenza la risposta dello sciopero è una risposta di dignità a fronte di proposte così squalificanti. Ed è una risposta che va condivisa e sostenuta da tutti.
E’ necessario che tutti i lavoratori, pubblici e dei settori privati, si rendano conto che la polemica sullo sciopero del 9 dicembre è un attacco a tutti i lavoratori, perché si vuole confermare la logica della compressione dei salari; si vuole ribadire che i soldi devono andare alle imprese, e si vuole riaffermare che le promesse di investimento sui settori pubblici; sanità, prevenzione, formazione, e sulla necessità di promuovere una forte rete di infrastrutture pubbliche in grado di sostenere sviluppo ed equità, diritti e redistribuzione del reddito, welfare e giustizia sociale oltre che lotta alla corruzione ed al malaffare legato alla declinazione degli interessi privati, sono in realtà frasi fatte dichiarate nei momenti di emozione, come la pandemia, ma non una reale e coerente idea di sviluppo del paese.
Certamente abbiamo presenti anche alcuni limiti della iniziativa confederale. Il percorso di sciopero e mobilitazione andava sviluppato per tempo. A partire dalla costruzione delle piattaforme. Un ulteriore limite sta nella rivendicazione che si sciopera perché il governo non ha concesso un incontro, un tavolo. Si sciopera perché il governo non incontra le organizzazioni sindacali di categoria. Uno sciopero per potersi sedere al tavolo con il governo. A noi pare una motivazione arretrata rispetto al dato di realtà, che poi è il vero problema. Cioè che il governo non condivide una idea del lavoro pubblico che è quella visione progressiva che invece lo pone al centro dei processi di sviluppo regolati da una centralità che non è solo l’impresa privata. In filigrana si coglie il limite della attuale strategia confederale. La riproposizione di un patto tra produttori, in questo caso che comprenda il settore pubblico. Come se tutte le stagioni fossero utili a riproporre lo stesso schema. Dopo 30 anni di assenza di politiche di redistribuzione possiamo sostenere un processo di questa natura?
In realtà qui l’obiettivo non è neppure il riconoscimento, la riconquista di un ruolo di intermediazione con una contrattazione più avanzata. Qui c’è la proposta di un processo di modernizzazione e sviluppo cogestito. In tal senso la FP è un laboratorio per un modello più ampio. Ma uno dei problemi, al netto di assumere in questa fase questa strategia di politica sindacale, è su quali piani effettivamente possa avvenire la condivisione di responsabilità declinata come ampliamento della contrattazione. A noi pare che il governo sia più interessato a consegnare spazi decisionali al management, sia in termini di prospettiva gestionale che di interlocuzione politica, ed a sovraintendere i margini di manovra della contrattazione, anche attraverso strumenti non diretti.
Questo significa che se al precedente rinnovo il contenuto contrattuale stava nelle pieghe e nelle promesse di un ridisegno dei percorsi professionali e organizzativi, delle carriere di lavoro ma fondamentalmente dei livelli di responsabilità condivisa restituiti alla contrattazione, e come abbiamo visto è difficile mobilitare i lavoratori e costruire vertenzialità su questi temi, tanto che il rinnovo fu un accordo politico, oggi assistiamo ad un passo indietro, nel senso che è in discussione sia la direzione di marcia che il soggetto principale che esercita la responsabilità di controllo ed indirizzo, che il governo vuole restituire in maniera più definita al management ricollocando lo spazio pubblico dentro la prospettiva di gestione classica. Forse avremmo bisogno di coinvolgere i lavoratori su contenuti, e tempistiche, in grado di rilanciare battaglie di largo profilo sul ruolo del lavoro pubblico che ricompongano unità di azione con i lavoratori del privato. In questa direzione bisogna continuare a lavorare dopo il 9 dicembre.
Massimo Demin – Francesca Di Bella – Enio Minervini direttivo e assemblea generale nazionale FP CGIL

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