P.Trivero. Nel mondo dello spettacolo
Buongiorno compagne e compagni,
sono una lavoratrice dello spettacolo, rsu al Teatro Regio di Torino. Come già sapete lo spettacolo dal vivo è stato uno dei più duramente colpiti in questi mesi di crisi sanitaria. Cerco di dare un quadro generale di questo settore estremamente eterogeneo che comprende circa 570 mila lavoratori e lavoratrici, la maggior parte dei quali caratterizzati da precarietà, con contratti di intermittenza o atipici, quando non in nero. Troppo lungo l’elenco delle professioni, parliamo di un contesto che comprende il cinema, il teatro, la musica, la televisione, la radio, l’intrattenimento e lo sport.
Questo settore era in crisi ben prima della pandemia, ma il fermo totale delle attività di spettacolo ha generato una forte mobilitazione dei lavoratori, probabilmente creando qualcosa di abbastanza simile alla coscienza di classe, elemento fondamentale per dare a qualunque gruppo la capacità di rivendicare istanze di categoria. Dico “abbastanza” perché nella realtà mi pare talvolta di riscontrare un certo corporativismo e devo dire che la scarsa attenzione della segreteria nazionale nei confronti della mia specifica categoria non ha favorito il superamento di logiche corporative.
La prima riflessione che voglio portarvi è sul ruolo della Cgil in questi mesi. Ebbene, mentre nascevano gruppi auto organizzati e numerosi coordinamenti, mentre già da giugno questi gruppi riempivano le piazze italiane, la slc nazionale ragionava sulla possibilità di fare una manifestazione, realizzata poi il 30 ottobre, praticamente arrivando con 5 mesi di ritardo rispetto alle necessità dei lavoratori. E non voglio dire che non abbia fatto nulla, perché indubbiamente ha recepito le istanze delle categorie più esposte, ma ad esempio per il mio settore, che è quello delle fondazioni lirico sinfoniche che conta 5000 lavoratori e un migliaio di iscritti cgil, le risposte alle nostre preoccupazioni non sono arrivate.
Allora vi parlo del mio settore a titolo esemplificativo, e mi scuso di questo perché vorrei invece essere in grado di parlare dell’intero settore dello spettacolo, ma non ho le competenze.
Le fondazioni lirico sinfoniche in Italia sono 14, con Scala e Santa Cecilia che godono di un regime particolare. Da sempre la nostra segreteria nazionale ci considera tutelati, persino privilegiati. Certamente siamo tutelati, siamo probabilmente i più tutelati dello spettacolo dal vivo. Siamo fortemente sindacalizzati, abbiamo un CCNL, un integrativo, la mutua, la tredicesima, la quattordicesima e tutto ciò che dovrebbe ritenersi normale. Abbiamo anche gli ammortizzatori sociali, cosa che ha suscitato un’infinità di conflitti tra i lavoratori e le sigle presenti nei nostri teatri, ma ci arrivo in un secondo momento a questo.
Devo però anche dirvi che il nostro CCNL è fermo dal 2000; che da un anno aspettiamo il completamento di una legge che dovrebbe stabilizzare colleghi che lavorano anche da vent’anni, centinaia di precari che rischiano di restare fuori dal loro mondo del lavoro a luglio del 2022.
Devo dirvi che il Petruzzelli di Bari un integrativo non ce l’ha e che ci sono 11 lavoratori stabili sospesi per esubero di personale che, dopo 3 anni di cassa integrazione e qualche risicato contratto, sono senza assolutamente niente dal primo gennaio di quest’anno e che rischiano di essere licenziati alla fine di dicembre.
Devo dirvi anche che nel 2016 uno degli ultimi corpi di ballo stabili in Italia, quello dell’Arena di Verona, è stato licenziato in blocco. E devo dirvi che al momento c’è una legge che, se portata a compimento, comporterà il declassamento di alcune di queste fondazioni liriche. E vorrei capire per quale ragione la segreteria nazionale Slc ha rassicurato noi lavoratori in diverse occasioni dicendoci che questa legge non sarebbe stata applicata, per poi ricordarci, in pieno lockdown, che gravava su di noi come una spada di damocle.
Allora vi chiedo se questa segreteria non avrebbe il dovere di dare risposte anche a noi lavoratori “privilegiati”, anziché liquidarci con la scusa dell’emergenza e del “c’è chi sta peggio di voi”. Perché se il problema fosse solo l’emergenza Covid c’è da chiedersi perché dal 2016 noi lavoratori e lavoratrici delle fondazioni liriche abbiamo chiesto con forza di scendere in piazza, e nel 2018 la manifestazione nazionale ce la siamo organizzata noi, con i gruppi auto organizzati dello spettacolo e della cultura.
Quello che centinaia di migliaia di lavoratori dello spettacolo stanno chiedendo è un reddito di continuità, tutele previdenziali, di malattia, di maternità, riconoscibilità professionale, accesso alla Naspi e molte altre cose su cui i nostri nuovi compagni Aura e Giorgio potranno darci un quadro più ampio.
Sono convinta che questi colleghi sarebbero stati molto sollevati di poter avere un ammortizzatore sociale che non hanno. Perché da noi nelle fondazioni liriche invece l’accesso al fondo di integrazione salariale è risultato tanto indigesto? Ovvio che il dimezzamento dello stipendio è una misura pesantissima, ma in tanti teatri è stato integrato in modo più sopportabile.Il punto è che i lavoratori di questo settore non sanno se devono considerarsi pubblici o privati e anche qui ritengo che la segreteria nazionale avrebbe dovuto fare chiarezza. Perché se una decina di anni fa proprio la Slc aveva cominciato a percorrere la strada della consulenza o vertenza per dirimere la questione pubblico/privato nelle fondazioni liriche, poi abbandonandola per incapacità a coinvolgere i soggetti interessati, mi chiedo perché questa motivazione non sia diventata ancora più necessaria nel momento in cui si è posto il problema degli ammortizzatori sociali sì/no.
A me pare che la questione che sia emersa con l’emergenza sanitaria sia quella di un Paese segnato da una profonda disuguaglianza, che ha diviso il mondo dei lavoratori in garantiti e necessari da una parte e tutti gli altri dall’altra. E da questo scenario l’emergenza è stata o il lavoro o la salute. E sulla necessità della cultura mi ricollego anche un momento a ciò che ha detto Eliana all’inizio, sulla difesa del sistema pubblico. Il nostro patrimonio culturale deve tornare ad avere la sua vocazione pubblica, non è possibile continuare a sostare in una zona ibrida tra pubblico e privato. E non aiuta in questo un presidente del consiglio che riferendosi allo spettacolo dal vivo ha solidarizzato con gli artisti “che ci fanno tanto divertire”. Lo spettacolo dal vivo può anche essere intrattenimento, ma è perlopiù cultura e patrimonio culturale. Proviamo a immaginare la Boheme di Puccini, o Novecento di Bertolucci. Non credo che ci abbiano fatto così divertire.
Io credo nelle piazze non come obiettivi, ma come strumenti per rivendicare l’autorevolezza delle parti sociali, le quali dovrebbero stabilire un’interlocuzione forte con le varie figure ministeriali o datoriali. Ho sentito molte volte condannare dalla nostra organizzazione, e sono d’accordo, i principi della democrazia diretta; ma la latitanza della Slc sulle istanze di alcuni settori dello spettacolo, la cronica motivazione che ci si deve muovere con Cisl e Uil ecc ecc, hanno di fatto incoraggiato l’autorappresentatività delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. Ho grande ammirazione per tutti quei gruppi di lavoratori che hanno presidiato gli uffici di Regioni, Ministeri e Inps fino a farsi ricevere. Sono stati veramente in gamba e hanno ottenuto anche dei risultati. Ma possibile che un’organizzazione come la Cgil non sia in grado di recepire le istanze di una categoria e di declinarle secondo i principi della rappresentanza? La democrazia rappresentativa la si deve esercitare con le azioni, non con le parole e tantomeno denigrando altre forme di democrazia, magari più imperfette ma sentite come urgenti in assenza di altro.
Sono stati mesi difficilissimi per tutti e non credo di essere l’unica ad aver messo in discussione l’appartenenza a questa organizzazione. Ma Eliana, le compagne e i compagni del mio teatro, mi hanno trattenuta, sostenuta, mi hanno espresso una fiducia che non riuscivo più ad avere nell’impegno sindacale. E la fiducia è diversa dal consenso, perché si crea con l’ascolto e con il tempo. L’esempio che ricavo dall’area, e che cerco di portare tra i miei colleghi Cgil, è quello di dare centralità a noi lavoratrici e lavoratori, attraverso la partecipazione e lo spirito critico, anche verso la nostra organizzazione, quando necessario.
Pierina Trivero, rsu Slc Teatro Regio di Torino
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