Un contratto in alto mare, un sindacato alla deriva?
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del settore marittimo e dell’armamento privato è scaduto il 31/12/2017. Tuttora persistono le trattative a Roma per il suo rinnovo. Procedono a rilento, mentre il costo della vita sale.
La spaccatura del fronte padronale in due associazioni di categoria, Confitarma e Fedarlinea-Assarmatori, ed i recenti o prossimi passaggi di proprietà delle aziende italiane del settore hanno condotto ad un tentativo di unificazione dei due CCNL di riferimento, quello facente capo a Confitarma (da cui nel frattempo sono fuoriuscite molte aziende verso l’attuale Assarmatori) e quello applicato finora nelle aziende aderenti a Fedarlinea (Tirrenia, GNV, ecc.). E’quindi in atto, innanzitutto, un tentativo di “armonizzazione” dei due contratti, che giudichiamo di per sé stesso positivamente.
Non si può però tacere che le bozze su cui le associazioni sindacali hanno lavorato fin da subito non siano il frutto di un preventivo ascolto diffuso della base lavoratrice. Tutti i lavoratori andavano ascoltati dalle segreterie come prima cosa, mentre ciò è avvenuto molto raramente; addirittura a volte neppure dopo esplicita richiesta da parte di alcune RSA si è riusciti ad ottenere un confronto diretto tra lavoratori e segreterie sindacali locali o nazionali!
Questo atteggiamento inaccettabile continua tuttora. Addirittura alcune sezioni del contratto sono state ufficiosamente chiuse al ribasso quasi subito e senza consultazione coi diretti interessati, come ad esempio la parte normativa del personale amministrativo, evidentemente sindacalmente più debole e quindi “sacrificabile” per una contropartita comunque negata, come vedremo.
Entrando nel merito delle novità in discussione filtrate dalle “segrete stanze”, infatti, vi è da preoccuparsi. Sono ancora ufficialmente in divenire, ma danno un’idea della posta in gioco. Balza all’occhio che:
1) Vi è una netta chiusura padronale sulla riduzione dell’orario di lavoro (senza riduzione di salario); è curioso poi che la segreteria nazionale FILT metta con orgoglio sull’altro piatto di questa bilancia la richiesta – tutt’altro che accettata, peraltro – di un incremento annuo di 32 ore dei permessi, di cui 8 legati a nascite/decessi familiari e 24 a visite mediche specialistiche. Noi parliamo di mele e la segreteria ci risponde pere. Le due cose non sono paragonabili né per natura (la riduzione d’orario dà diritto costante ad una prestazione lavorativa minore mentre il permesso è sporadico e va chiesto e ottenuto dall’azienda, sulla base delle sue esigenze), né per qualità (la riduzione dell’orario non è condizionata, mentre questi permessi lo sono, eccome: se non incorri in una nascita/decesso familiare o in una visita specialistica non ne puoi usufruire) né per quantità (32 ore all’anno significano mediamente circa 8 minuti in meno al giorno, mentre una riduzione dell’orario di lavoro che dia un beneficio in termini di qualità della vita e di allargamento della base occupazionale deve cominciare con almeno 1 ora al giorno).
2) Vi è un grave (a nostro avviso inaccettabile, tanto più dopo la dura lezione del Coronavirus) attacco padronale all’istituto della malattia, il cui diritto viene amputato, scaricandone i costi sulle spalle del lavoratore malato: dal 4° evento di malattia annuale gli si andrebbe a decurtare almeno metà della retribuzione dei giorni non lavorati, inducendo così anche una presenza sul luogo di lavoro di personale in precarie condizioni di salute.
3) Vi è un grave attacco padronale all’istituto delle ferie, il cui godimento viene subordinato quasi completamente alle esigenze dell’azienda, e non più ad un contemperamento delle esigenze di azienda e lavoratore. In questo modo, le aziende utilizzerebbero le ferie come uno strumento di flessibilità del lavoro, mettendo a riposo il lavoratore quando ritenuto poco necessario, trascurando l’obbiettivo sotteso alle ferie, ossia il recupero psico-fisico della persona; esigenza che per definizione è avvertita esclusivamente dall’individuo lavoratore stesso.
4) Pare fortunatamente tramontato l’iniziale tentativo di un sensibile inasprimento delle sanzioni disciplinari (strumento per futuri ricatti e tagli del personale selettivi ed arbitrari?) e di indeterminatezza delle casistiche che le possano determinare, elemento che spalancherebbe le porte ad una quasi totale discrezionalità dell’azienda su come applicarle e a chi.
5) Lontana sembra ad oggi anche un’accettabile stabilizzazione della posizione dei marittimi, soggetti a periodi di presenza 24 ore al giorno sulle imbarcazioni, intervallati da mesi di formale disoccupazione, con i ben noti ricatti occupazionali, specie in tempi di riduzione degli equipaggi a causa di automazione e gigantismo navale.
6) Le aziende stanno cercando di scaricare definitivamente sul lavoratore marittimo i costi della formazione tecnica, ed il sindacato che fa, invece di respingere l’affondo facendo notare che la competenza tecnica serve ad un maggior profitto dell’azienda? Starebbe pensando bene di chiedere allo Stato (cioè ai contribuenti, ossia, in definitiva, alla classe lavoratrice) di sostenere anche quel costo!
7) Le associazioni padronali premono per la cancellazione anche del contributo a loro carico dello 0,5% in caso di rinnovo a tempo determinato di un’assunzione. E dire che il modo per evitarlo ce l’avrebbero già: assumere a tempo indeterminato! Invece anche qui il sindacato, a parole nemico della precarietà, pare intenzionato a tendere una mano ai cari imprenditori, facendo fronte comune come al solito verso Pantalone, cioè lo Stato.
8) Si parla di un buono pasto minimo di 5,29 € se cartaceo e di 7 € se elettronico, anche se con l’attuale diffusione del lavoro da casa, molti esercenti hanno alzato i prezzi del pranzo e precluso l’utilizzo dei buoni pasto elettronici.
9) Gli aumenti retributivi restano ancora totalmente indeterminati, ma la richiesta della FILT-CGIL è già stata definita esosa dalla controparte e non viene doverosamente sostenuta da FIM-CISL e UILtrasporti. Per non parlare dell’una tantum per una vacanza contrattuale ormai prossima ai 3 anni.
Dopo anni di contrazioni dei salari reali, degli organici e dei diritti, sia per mano direttamente aziendale che legislativa, riteniamo inaccettabile che la controparte padronale richieda un ulteriore aumento dello sfruttamento del lavoro. Rispediamo al mittente le lacrime di coccodrillo imprenditoriali sulla crisi dovuta al Covid-19, se è vero che i profitti dei vettori marittimi di trasporto merci sono tutt’altro che diminuiti in questa fase e che il Governo ha prontamente provveduto a deliberare aiuti economici a tutti gli armatori, indistintamente dai loro bilanci e preventivamente (già a marzo 2020) rispetto ad eventuali contraccolpi negativi. Mentre dall’altra parte, ai lavoratori sono riservati tagli salariali del 40% per cassaintegrazione o addirittura mancati rinnovi dei contratti di lavoro a termine o precari. Per tacere delle condizioni del contesto generale in cui ci si trova ad affrontare la pandemia e dei suoi responsabili. Come se i tagli alla sanità, all’edilizia e al personale scolastico, al trasporto pubblico dei pendolari, fossero figli di qualche classe diversa da quella che per decenni ha chiesto e pagato meno contributi da una parte, mentre dall’altra otteneva incentivi statali alle proprie attività. Non ci sembra proprio che a pagare debbano essere sempre i salariati e i disoccupati.
Che il sindacato la pianti con questo atteggiamento settoriale, remissivo verso l’arroganza padronale e rassegnato ai rapporti di forza attuali! Che unisca i lavoratori marittimi e dell’armamento, portuali e della logistica, anch’essi col contratto nazionale scaduto da tempo, in una grande mobilitazione volta a migliorare le condizioni di vita dei salariati e ad assunzioni di chi è in cerca di reddito e lavoro!
RICONQUISTIAMO TUTTO- OPPOSIZIONE CGIL IN FILT
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