Meglio uno sciopero senza piazza, che una piazza senza sciopero
La storia non ha insegnato niente. Le misure anti-covid e il susseguirsi dei DCPM negli ultimi giorni lo dimostrano. Dopo essere stato travolto in primavera, questo paese è stato, per mesi, fortunatamente in vantaggio sul Covid. Mesi interi in cui si è perso tempo, dando il via libera a una ripresa scomposta e, dove conveniva, senza troppe regole, come nel turismo. Mesi interi durante i quali il governo avrebbe dovuto investire risorse sui settori cruciali, a partire da sanità, screening di massa, controllo degli esercizi pubblici e dei luoghi di lavoro, trasporto pubblico locale, scuole. Mesi in cui invece si è fatto poco o niente, destinando piuttosto la gran parte delle risorse alle imprese, a cui sono andati oltre due terzi dei circa 90 miliardi stanziati da decreto cura e decreto agosto.
Mi auguro, ogni giorno che passa, che nessun territorio debba più vivere la strage che abbiamo vissuto a marzo a Bergamo e dintorni. Ma è evidente che la situazione sta di nuovo peggiorando e a vista d’occhio, con strutture sanitarie in alcuni territori già nel caos. E il fatto ancora più drammatico stavolta è che l’epidemia si sta diffondendo anche al Sud, in particolare in Campania, dove i tagli degli ultimi decenni hanno determinato una strutturale carenza di personale e risorse.
Di fronte a questo andamento, le misure di questi ultimi giorni sono palliativi, tesi a spaventare la popolazione più che a affrontare i nodi irrisolti, a cominciare dal trasporto pubblico locale e dalla mancanza di controlli. Con il rischio però di sacrificare di nuovo la scuola e la didattica in presenza. E ancora una volta superando il ridicolo in Lombardia, con il “coprifuoco” dalle 24 alle 5 della mattina (quando, viste anche le temperature, non c’è già in giro più nessuno), mentre i mezzi pubblici sono presi d’assalto durante il giorno.
A marzo, molte delle negligenze, dei ritardi e delle scelte sbagliate vennero giustificate con il carattere improvviso e straordinario dell’epidemia. Argomento che francamente non mi ha mai convinto. Per decenni, i governi hanno continuamente tagliato sulla spesa sanitaria. Davvero non erano consapevoli che di fronte a una qualsiasi emergenza sanitaria il nostro sistema sarebbe andato in tilt? Non si investono risorse immense in armamenti per essere pronti a un più o meno improbabile scenario di guerra?
Se non mi convinceva allora, tanto meno mi convince adesso. Era scritto nei fatti che l’autunno avrebbe portato di nuovo in crescita i contagi. Si è scelto, di arrivare totalmente impreparati a questa scadenza, distogliendo l’attenzione sui problemi reali, a volte in modo farsesco, come è avvenuto per la scuola.
La verità é che né il governo né le istituzioni locali hanno fatto i conti con le responsabilità che hanno avuto durante la prima ondata e che hanno determinato, allora, che l’epidemia esplodesse incontrollata in Lombardia e diventasse una strage umanitaria.
Ora si procede a tentoni, in un incredibile stillicidio quotidiano di restrizioni blande, incomprensibili e perlopiù inutili, basate sui numeri del giorno prima invece che su un piano di medio periodo. Con il tentativo, di nuovo, delle istituzioni di scaricare le loro resposabilità sui comportamenti individuali.
Una non-strategia, dove l’unica cosa drammaticamente chiara sembra essere quella detta dal presidente del Consiglio, nella conferenza stampa dell’altra sera: le misure prese nei mesi scorsi non possono essere riproposte, perché “dobbiamo tutelare la salute e l’economia”. Tradotto: è escluso ogni possibile ritorno al lockdown, perché l’economia non potrà fermarsi, nemmeno nel caso, sempre più probabile, che le condizioni sanitarie lo impongano. Davvero, non è accettabile rivivere quello che abbiamo già vissuto.
Nel frattempo, in questi giorni, il Governo sta discutendo la legge di bilancio, anche in questo caso, senza dare risposte al mondo del lavoro. Solo 4 miliardi sulla sanità. Nessun passo avanti sulle pensioni (anzi, qualche passo indietro, visto l’annuncio di non prorogare Quota 100 nel 2021). Niente nemmeno sugli adeguamenti per le pensioni già in essere (bloccati da tempo) e solo promesse sulla legge per la non-autosufficienza. Niente soldi per il rinnovo dei contratti pubblici, intanto che quelli privati sono sotto la scure di Confindustria. A monte di tutto questo, il braccio di ferro sulla proroga del blocco dei licenziamenti, che le imprese non vogliono e che il governo sembra deciso a non rinnovare.
Cgil Cisl Uil iniziano solo ora a prendere atto che la prospettiva del coinvolgimento sui tavoli del governo non dà i risultati che speravano. Ma, di nuovo, a fronte di un giudizio negativo del sindacato sulla legge di bilancio, proclamano, nel comunicato stampa di oggi, l’ennesima richiesta di “convocazione da parte del Presidente del Consiglio e attendono l’avvio, in tempi brevissimi, di un tavolo a Palazzo Chigi”.
Visto anche la dichiarazione di guerra di Confindustria contro salario e contratti e il fatto che molte categorie di lavoratori e lavoratrici sono già mobilitate sulle loro vertenze contrattuali (metalmeccanici, appalti, industria del legno, agroalimentare, spettacolo…), quando verrà finalmente l’ora di dichiarare lo sciopero generale invece che chiedere un tavolo?
Siamo già a fine ottobre, in una situazione sanitaria che sta per esplodere. Tra un po’ la legge di bilancio verrà approvata. Il governo ha perso tempo, ma francamente la Cgil ha fatto altrettanto, perché ragioni per mobilitarci ne abbiamo da mesi. Ora è davvero l’ultima possibilità, probabilmente fuori tempo massimo, ma meglio tardi che mai, a patto di fare sul serio e, finalmente, su obiettivi chiari.
Nei prossimi giorni, nostro malgrado, rischia di essere sempre più improbabile organizzare iniziative di piazza, ma questa non può essere l’ultima delle scuse. Dichiarare sciopero si può, basta volerlo. Ma subito, basta tavoli. E se anche la condizione sanitaria rendesse impraticabili grandi manifestazioni di piazza, in fondo, sempre meglio uno sciopero senza piazza, che una piazza senza sciopero.
Eliana Como – portavoce nazionale di #RiconquistiamoTutto
In foto il murales che l’artista curda Zehra Dogan ha donato alla città di Brescia e alla sua resistenza contro il Covid
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