AG FLC. L.Scacchi: rispondere ora all’offensiva padronale e alle politiche neoliberali nell’istruzione.

Care compagne e cari compagni,
lo dico subito ho apprezzato particolarmente il taglio e l’impianto delle considerazioni analitiche della relazione di Francesco [segretario generale della FLC]. L’ho apprezzata nei confronti del quadro di crisi generale del sistema capitalistico nel quale il mondo vive. L’ho apprezzata, come altre volte, sulla sottolineatura dell’uso dello stato di eccezione nell’emergenza e sui rischi che questo comporta. L’ho apprezzata sull’offensiva padronale e il rischio neocorporativo che questa offensiva padronale sta portando. Anche se, sinceramente, penso che in realtà la proposta che la CGIL sta avanzando in questi mesi e in queste settimane, di defiscalizzazione degli aumenti contrattuali, oltre che esser in realtà regressiva da un punto di vista puramente economico, rischia di esser proprio la base per tessere un nuovo patto neocorporativo in cui gli aumenti salariali, il mantenimento dei livelli salariali, è pagato in questa fase dallo Stato, dalla collettività. Ho apprezzato anche la sottolineatura del fatto che è in corso un’offensiva che ci interessa direttamente, sui settori dell’istruzione e della conoscenza, per lo sviluppo e la radicalizzazione di un sistema di classe, al servizio dell’impresa, in questo paese. Ho apprezzato la sottolineatura del rischio che il recovery fund, tutte le risorse di cui si favoleggia e si parla, oltre che esser incerte possono esser utilizzate per questi scopo (e quindi in sé possono anche non esser positive, in quanto la loro valutazione dipende dal loro uso e dalle condizionalità a cui sono soggette).

Ho apprezzato queste considerazioni perché io penso e ritengo che in questi mesi non ci sia stato solo un problema di insufficienza delle politiche di governo. Insufficienza che pure c’è stata e lo vediamo in queste ore, con la curva pandemica che risale e le tante scuole costrette a chiudere. Lo vediamo con il fatto che ad oltre un mese dall’inizio della scuola non c’è ancora l’organico completo, con decine di migliaia di cattedre vuote. Lo vediamo nella difficoltà dei traposti e nell’imballamento organizzativo che attraversa tutto il sistema di istruzione e in particolare la scuola. Io penso che il problema principale sia però che in questi mesi il governo ha agito usando l’emergenza per riproporre e rilanciare politiche di quasi mercato, per proporre e rilanciare quegli impianti di controriforme che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, dalla Moratti alla Gelmini.

Lo abbiamo visto nella scuola. In cui il piano nazionale di riapertura di giugno è centrato sull’autonomia degli istituti e su una radicalizzazione di questa autonomia, lasciando ampi gradi di libertà su orari, impianti didattici e scelte organizzative. Lo abbiamo visto con i patti territoriali, cioè con una gestione dell’emergenza che ha enfatizzato le autonomie regionali, il ruolo delle USR ma poi anche articolazioni diverse nelle diverse regioni. Lo vediamo ora in queste ore, quando nel Nadef viene inserito come collegato il DDL Boccia, e quindi si rilancia anche su un piano normativo, l’autonomia differenziata tra le regioni anche per la scuola. Lo vediamo nel ruolo antisindacale, francamente antisindacale, su tutta la vicenda del precariato e del concorso.

Lo abbiamo visto nelle università, con l’enfatizzazione dell’autonomia da parte del ministro Manfredi, lo abbiamo visto con l’assenza di un protocollo nazionale di sicurezza (uno dei pochi settori in Italia), con protocolli ateneo per ateneo molto diversificati. Lo abbiamo visto con il rilancio nel DL Semplificazione, in maniera improvvisa, dell’autonomia differenziata tra atenei, con la generalizzazione delle normative previste dall’articolo 1 comma 2 della legge 240. Lo abbiamo visto con il passaggio, come dire, straordinario di questi mesi, in cui la CRUI è stata trasformata nel luogo di coordinamento e di indicazione per il sistema nazionale universitario, addirittura facendo assumere dal MUR e poi anche dal governo (DPCM del 7 agosto), sic et simpliciter documenti CRUI. Ricordo alle compagne ed ai compagni che la CRUI non solo è un’associazione privata, ma non comprende neanche tutti i rettori delle università italiane (molti, la gran parte, ma non tutti). Lo sottolineo anche sull’unica indicazione nazionale che è arrivata agli atenei, che è quella sullo streaming o la registrazione che è contenuta nell’allegato 18 del DPCM del 7 agosto.

Guardate anche qui ho apprezzato le considerazioni che Francesco [segretario generale FLC] ha fatto. Non è solo un problema di videosorveglianza, che guardate c’è da un punto di vista sindacale, e su questo si è speso in questi giorni e in queste stesse ore Marco Barbieri [docente universitario, già dirigente della nostra categoria, esperto di diritto del lavoro, che credo conosciamo tutti/e]. Elementi su cui credo sia naturale per un sindacato intervenire. Però, voglio anche sottolineare un’altra cosa: l’argomentazione che il diritto allo studio sia garantito dalle lezioni in streaming, o dalla registrazione delle lezioni, penso sia falsa. Questo strumento non funziona e piega l’università alla logica di mercato. Dal 1992 si fa didattica a distanza nelle università, tutta l’esperienza di Uninettuno come delle codifiche formale nei regolamenti universitari, sottolineano che la didattica erogativa deve esser affiancata, per funzionare, dalla didattica interattiva (con una serie di strumenti, tutor, discussioni tra studenti, prove settimanali). Tutto questo ci dice che la videoregistrazione non funziona. Pensare che questo aiuti il diritto allo studio è un’illusione. In questi mesi questa strategia ha esentato gli atenei da prevedere duplicazioni dei corsi, tutor, strumenti reali di didattica a distanza. Gli ha permesso di dire non c’è nessun problema, sta tutto funzionando come prima anzi meglio di prima, con la videoregistrazione e lo streaming. Non funziona, perché come ha sottolineato Francesco [nella sua relazione] e Gotor [articolo citato nella relazione], nei sistemi universitari anglosassoni, americani o inglesi, è non a caso diffusa perché è alla base di sistemi di mercato dell’istruzione.

Detto tutto questo, io credo che sia mancata in questi mesi, in queste settimane, una nostra capacità di dare indicazioni. Nelle scuole, nelle università, a docenti, a ATA, a PTA, a RSU, su come affrontare questa situazione di emergenza, gli interventi e le forzature ministeriali (dai PIA alle fragilità, dalla didattica digitale ai piani di sicurezza). Dobbiamo recuperare queste incertezze e questi ritardi, tornando a coinvolgere lavoratori, lavoratrici e RSU, soprattutto dando indicazione su come resistere a una serie di processi e di provvedimenti che hanno subito in queste settimane.

Il problema poi è certamente cosa fare. Anche qui, sono d’accordo con Francesco e la sua relazione. È necessaria oggi una mobilitazione, e sono proprio d’accordo [standing ovation] la forma centrale del conflitto rimane quella dello sciopero (che poi può esser articolato e sviluppato in forme diverse): tutte le cosiddette nuove forme di mobilitazione sono in realtà insussistenti. Lo sciopero però è necessario ora. Anche per evitare la deriva di un’organizzazione sindacale che rischia di diventare sussidiaria al ministero [anche qui, molto d’accordo con Francesco].

Ed allora, se tutto questo è vero, io credo che il problema sia come costruire uno sciopero. Non uno sciopero politico come abbiamo fatto a giugno, ma uno sciopero sindacale capace di raccogliere intorno a sé studenti e famiglie, di dare un segno e un orientamento sociale diverso. Però, rispetto alla situazione oggi nella scuola, rispetto alla curva pandemica, rispetto alla dinamica di formazione della Legge di Bilancio, non può esser uno sciopero spostato verso Natale. E’ uno sciopero che deve esser costruito e discusso nelle scuole ora. Ed allora, anche in relazione con le dinamiche di resistenza all’offensiva padronale di altre categorie, collegate al quadro complessivo che dobbiamo affrontare anche nei nostri settori, io credo che noi dovremmo uscire da questa assemblea generale con un’indicazione di sciopero collegato a quello FIOM del 5 novembre. Io cui la conoscenza, per esempio il venerdì 6 novembre (o in un periodo simile), sappiano dimostrare a padronato e governo, a chi conduce l’offensiva sul lato dei contratti e sul lato del cambiamento dello stato sociale e della distruzione dei servizi universali, che oggi c’è una risposta di massa.

Luca Scacchi

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