Sciopero! Per riaprire le scuole in sicurezza.
Servono risorse per rafforzare organici, stabilizzare i precari, ristrutturare gli spazi: per difendere la salute e l’impianto pubblico della scuola.
La scorsa settimana la scuola è tornata in piazza. Nelle piazze di tutta Italia abbiamo visto protestare tutte le sue componenti: i docenti, il personale tecnico amministrativo e assistenziale, gli educatori e gli assistenti di mensa, il personale di ruolo e quello precario, qua e là anche alunni e studenti. Nelle piazze di Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli come in tante altre città, portati da comitati per la scuola pubblica, coordinamenti precari, autoconvocati, sindacati di base e in alcune realtà anche da FLC e FILCAMS (come Milano e Genova). A protestare, infatti, non è solo chi vuole difendere il suo lavoro, ma anche e soprattutto chi vuole riaprire in sicurezza, difendendo l’istruzione pubblica ama anche la salute.
La scuola infatti è un’istituzione che deve garantire diritti individuali e collettivi: deve garantire il diritto sociale fondamentale dell’istruzione, ma deve assicurare anche uno spazio pubblico di socializzazione e crescita. In un contesto in cui, negli ultimi decenni, si è dovuto difendere la scuola dalla subordinazione alla logica e agli interessi dell’impresa, con ripetuti assalti in questa direzione (Berlinguer, Moratti, Gelmini e Buonascuola). Questi mesi, per una giusta precauzione sanitaria, sono stati segnati da una didattica di emergenza svolta on line, che è stata necessaria per mantenere il filo con gli studenti, ma che ne ha raggiunto solo parte e che nel corso dei mesi ha mostrato i suoi limiti e la sua inefficacia.
Riaprire le scuole, riaprirle in sicurezza, è allora un obbiettivo imprescindibile per chi voglia difendere i diritti sociali universali. L’istruzione e la ricerca, come la sanità, devono esser messe al centro degli sforzi e degli investimenti pubblici, per difendere tutti e tutte in questa lunga emergenza e in questa immane crisi economica, per cambiare direzione rispetto a decenni di politiche neoliberiste che hanno favorito proprio il disastro di questa epidemia. Serve quindi riaprire la scuola il prossimo settembre, in sicurezza, senza caricare ansiosamente studenti e docenti di improbabili percorsi estivi di recupero o riallineamento dopo questi difficili mesi di didattica di emergenza. Soprattutto, senza introdurre soluzioni ibride: il coinvolgimento del terzo settore e altri soggetti nel processo di riapertura, durante l’estate o in autunno, minaccia il ruolo pubblico e nazionale della scuola, da una parte distorcendone lo spazio per il perseguimento di interessi privati, dall’altra dirottando parte delle risorse pubbliche a questi interessi privati. Soluzioni ibride che sono particolarmente pericolose nella scuola dell’infanzia, dove già oggi ci sono molti istituti paritari, che è minacciata sia dai tempi della Legge 107 di esser travolta dal sistema integrato 0/6. Lo spazio della scuola è uno spazio pubblico (senza improprie intrusioni da parte di interessi privati), in presenza (per garantire un tempo scuola, con relazioni sociali complessive, in grado di attutire e contrastare disuguaglianze sociali), collettivo e universale (di tutti e tutte, non solo di una parte ridotta o selezionata degli studenti).
Per farlo servono risorse: quelle che il governo ha stanziato sono assolutamente insufficienti. Per quanto sia terminata questa lunga quarantena sociale, infatti, sappiamo che non è terminato il rischio del covid19, il rischio di possibili nuove onde epidemiche, che ci potrebbe accompagnare ancora per molti mesi. Decine di documenti hanno segnalato con evidenza quello di cui che ci sarebbe bisogno: classi o gruppi di apprendimento molto più piccoli, spazi che garantiscano le distanze, insegnanti e personale per far funzionare questa nuova organizzazione scolastica, dispositivi e infrastrutture di supporto (dai DPI alle mense, dai trasporti ai controlli sanitari su personale ed alunni). Per farlo servono imponenti investimenti sulle strutture e sugli organici. Nello scorso mese, proprio degli esponenti del governo le quantificano in almeno 3,5 miliardi, solo per la scuola, prima di settembre. Oltre a quello che servirebbe per l’università (almeno un miliardo e mezzo di euro) e per rilanciare una ricerca pubblica, di cui proprio oggi è evidente l’utilità sociale.
Il governo Conte non ha messo queste risorse nel DL Rilancio, come in tutti i precedenti DPCM. Nonostante proclami e grandi dichiarazioni, per la scuola è stato previsto solo un miliardo e mezzo (meno della metà di quanto si dichiarava indispensabile ad aprile). Stesso trattamento è stato usato nei confronti di tutto il comparto dell’istruzione e della ricerca: per l’università solo 290 milioni per il 2020 (le altre risorse, circa un miliardo, sono previste solo per gli anni successivi), per gli enti pubblici di ricerca alcune briciole (50 milioni, a parte qualche centinaia di milioni destinata al trasferimento tecnologico, cioè sostanzialmente al sostegno delle imprese).
Non solo: gli organici della scuola sono lasciati alla deriva. Tutte le assunzioni previste sono stabilizzazioni di posti già esistenti. Non c’è un solo posto in più! Anzi, in diversi territori (come in Toscana), addirittura gli organici si riducono. Da anni, nonostante le parole e le promesse di ogni governo, si è voluto lasciare una parte significativa dei dipendenti della scuola precari, per risparmiare risorse. Così oggi mancano decine di migliaia di quegli assistenti, amministrativi e tecnici che dovrebbero permettere di far funzionare le nostre scuole (come i tragici eventi di una scuola elementare di Milano hanno reso evidente lo scorso anno): assenze che pesano ancor più in questa emergenza. Così oggi ì decine di migliaia di dipendenti sono esternalizzati ed instabili: lavoratori e lavoratrici delle mense, educatori ed assistenti di sostegno (ai limiti della sopravvivenza in questi mesi, incerti nel loro futuro e nella loro disponibilità nel prossimo anno scolastico). Così oggi oltre duecentomila posti di docenza sono vacanti, occupati da precari che vengono assunti e licenziati ogni anno.
Il governo Conte ha promesso da mesi una parziale (molto parziale) soluzione: su 200mila posti, l’assunzione alla fine di 78mila docenti di ruolo. Trentaseimila, solo 36mila, si era pensato di assumerli entro settembre, con un concorso straordinario rivolto ai precari storici, in discussione dall’aprile 2019, selezionandoli tra coloro che avrebbero comunque già maturato il diritto ad essere assunti a tempo indeterminato, dopo aver lavorato per almeno tre anni come supplenti. Con la solita ideologia di questi anni, la neo ministra Azzolina ha voluto in questi mesi testardamente perseguire un concorso selezionante e meritocratico, prevedendo nonostante l’emergenza in corso una prova estiva basata su quiz a scelta multipla (80 domande in 80 minuti). Un concorso che tutti sapevamo improponibile e irrealizzabile. Precari, movimenti (ed alla fine anche tutti i sindacati) da mesi hanno proposto l’unica soluzione possibile: un concorso per titoli, oltre che un sostanziale rafforzamento di organici e investimenti. Noi chiediamo da tempo che vengano stabilizzati subito tutti i precari con tre anni di servizio.
La scorsa notte il governo Conte ha partorito l’ennesima soluzione improponibile, che non risolve la questione. Ne conosceremo nei prossimi giorni i dettagli, ma quello che è già evidente è il suo profilo irreale. Nel quadro di una maggioranza parlamentare instabile e litigiosa, ha infatti delineato una proposta politicista, ambigua e confusa, focalizzata solamente a individuare un punto di mediazione tra i diversi partiti. Una soluzione, in sostanza, che non risolve. I precari non saranno in ruolo dal primo settembre (ma saranno di nuovo assunti come precari), il concorso straordinario è di fatto spostato a non si sa quando, con una prova che si svolge non si sa come (un elaborato scritto da consegnare il cui valore è per il momento sconosciuto). Così, il prossimo anno scolastico si aprirà non solo senza organici aggiuntivi, ma con 200mila supplenti che saranno in ruolo solo nel corso dell’autunno, con i soliti problemi di incertezza ed instabilità degli organici, in un momento delicato e particolare.
Oggi, allora, va segnata l’immediata ripresa di una mobilitazione. L’indizione dello stato di agitazione proprio non basta. Serve l’immediata indizione dello sciopero, per la salute e la sicurezza di tutti, per rimettere al centro diritti sociali e servizi pubblici, per un vero investimento sulla scuola (come sull’università e sulla ricerca). Il governo ha trovato i miliardi per le banche, i 6,3 miliardi per FCA e i 3 miliardi per Alitalia, dimostrando in questo modo che le risorse ci sono! Le risorse per la scuola sono assolutamente insufficienti e per questo è necessario uno sciopero generale di tutto il settore dell’istruzione e della ricerca, contro questo governo e le sue politiche, per chiedere risorse, organici e stabilizzazione, per una reale riapertura della scuola pubblica a settembre.
#RiconquistiamoTutto nella FLC
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