Diario di una insegnante ai tempi del Covid
È dal 21 febbraio che non entro a scuola. Era il periodo delle vacanze di Carnevale e dell’inizio dell’epidemia. Ero molto preoccupata e quando è arrivata la decisione del governo di chiudere le scuole di ogni ordine e grado, ho pensato che si stesse prendendo la decisione giusta; data la situazione era una scelta sensata. Peccato non sia stata fatto lo stesso per le fabbriche e che qui la chiusura si sia dovuta imporre a suon di scioperi. Col passare del tempo ho capito anche il perché: la produzione viene prima della formazione, la Confindustria ha più peso della scuola, i profitti valgono più delle nostre vite.
All’inizio della pandemia la mia preoccupazione è stata ritrovare una forma di relazione con i miei alunni perché avevo immaginato che l’emergenza non sarebbe rientrata presto e mi dispiaceva interrompere il lavoro che stavo facendo in classe. Come tanti insegnanti mi sono affidata alla didattica a distanza e anche se nutro molte riserve su questa modalità di fare didattica, questa mi ha permesso di ritrovare le mie studentesse e i miei studenti.
Mentre aumentava il numero dei ricoverati e dei morti e si diffondevano le prime notizie di casse integrazioni e perdite di lavoro soprattutto nel settore privato, mi sentivo male. Ero a casa pagata in una condizione di sicurezza che non avrebbe dovuto essere solo degli insegnanti ma di tutte le lavoratrici e i lavoratori. Ho percepito il risentimento delle persone, pronte a gettare ancora una volta veleno su una categoria di lavoratori e lavoratrici che in questi anni ha subito una campagna mediatica feroce e tagli … numerosi tagli … al salario, ai diritti e per i precari come me all’assunzione a tempo indeterminato dopo aver contribuito per anni a reggere tutta la baracca. Poi ho capito che siamo anche dentro una controffensiva ideologica che ancora una volta punta alla disgregazione del mondo del lavoro in particolare e della società più in generale: pubblico impiego versus lavoro privato, famiglie contro insegnanti; insegnanti precari contro insegnanti di ruolo, personale ATA contro insegnanti, educatrici e educatori contro insegnanti e via dicendo … le divisioni che attraversano il mondo della formazione sono numerose e su molte di queste hanno gravi responsabilità anche le burocrazie sindacali.L’emergenza e la difficoltà di gestire la chiusura a casa hanno acuito le distanze e approfondito i solchi.
In questi mesi di sospensione delle attività la scuola è tornata al centro del dibattito perché nella fretta delle riaperture, in tanti si sono accorti che manca un pezzo, un pezzo importante senza il quale neanche si capisce il disegno del puzzle che si sta provando a ricomporre.
La scuola occupa un posto di primo piano nella vita di 8 milioni e mezzo di persone nel nostro paese: la sua chiusura prolungata ha messo in difficoltà le famiglie, sta provocando problemi di ogni sorta (da problemi fisici e psicologi fino alla dispersione scolastica) tra infanti e adolescenti, sta mettendo a dura prova il corpo insegnante che pur essendosi speso generosamente nell’attivazione della didattica a distanza, oggi fa i conti con una forma di smart working non normata e lasciata al libero arbitrio delle scuole dell’autonomia.
In questi mesi ho visto aumentare i carichi di lavoro e i tempi di lavoro degli insegnati;
– ho visto mandare definitivamente in soffitta quel che restava dei programmi scolastici;
– ho visto prevalere la decisionalità discrezionale dei dirigenti a scapito delle procedure democratiche che ancora regolano alcuni aspetti della vita di lavoratrici e lavoratori della scuola;
– ho visto aumentare la distanza sociale tra chi ha disposizione tecnologie e luoghi adatti a continuare a studiare e chi ne è privo;
– ho visto i docenti mettere a disposizione risorse materiali proprie;
– ho visto aumentare la dispersione scolastica e il senso di smarrimento di studenti e studentesse spingendo fuori chi era ai limiti, chi viveva già situazioni familiari complesse;
– ho visto svilito ancora una volta il lavoro di tante e tanti precari per i quali ad oggi, nonostante l’emergenza, non è previsto un piano serio di assunzioni. Anzi, sulle loro teste si sta giocando la complicata partita a scacchi del governo e delle opposizioni, impegnati a cercare una soluzione che salvi loro e tanti saluti a tutti quei precari che in questi anni ci ha messo la vita, evidentemente non abbastanza da meritarsi il ruolo;
– ho visto sospendere l’aggiornamento delle graduatorie di terza fascia, dall’alto e in nome di un’emergenza che non permette di mantenere una procedura che in parte era già on line ma permette di tenere un mortificante concorso a crocette che non metterà in cattedra il numero di docenti necessari alla ripartenza in sicurezza;
– ho visto il tentativo di far passar la didattica a distanza come la panacea di tutti i mali quando i mali, si sa, vengono da lontano e hanno i nomi e i cognomi di chi ha presieduto governi che negli ultimi vent’anni hanno deciso di tagliare risorse materiali e umane alla scuola;
– ho assistito a dibattiti assurdi sulla necessità di valutare comunque perché se la scuola è stata trasformata nella palestra delle competenze, l’orizzonte dell’insegnante è questo e l’unica domanda che si pone è “come faccio a promuovere, in base a quali parametri?”;
– ho visto all’orizzonte i peggiori spettri della Buona Scuola renziana tornare come nuvole all’orizzonte, pronti a prendersi quel che non gli è stato concesso nel 2015 e far rientrare dalla finestra ciò che qualcuno illusoriamente pensava di aver allontanato definitivamente con qualche accordo sindacale pastrocchiato;
– ho visto famiglie, soprattutto donne e mamme in difficoltà nella gestione del proprio lavoro, della casa e dei figli;
– ho visto un pericoloso ritorno a politiche familiste in nome della produzione, tanto le spalle delle donne sono larghe;
– ho visto la retorica della “scuola non si ferma” realizzata scaricando il peso su famiglie e insegnanti, quando quel che resterà di questo periodo è un grande vuoto e una grande povertà culturale e formativa di un’intera generazione che è il futuro di questo paese;
– ho visto dare soldi a fondo perduto a imprese e padroni che non pagano le tasse in Italia, stanno licenziando, stanno utilizzando i lavoratori e le lavoratrici come carne da macello. Per loro i soldi ci sono sempre, si trovano in un fiat … per la scuola si propongono soluzioni fantasiose, si stanziano poche risorse perché non ce ne sono e bisogna stare attenti ai parametri economici;
– ho visto amplificati i tanti problemi che la scuola aveva anche prima dell’emergenza sanitaria e da parte del governo la stessa non volontà di porvi rimedio e di continuare a battere la stessa strada dei governi che lo hanno preceduto.
Tuttavia, vedo oggi che la scuola sta tornando al centro del dibattito pubblico, che si stanno moltiplicando le iniziative e le manifestazioni, che intorno ad essa sta nascendo un nuovo protagonismo da parte di chi la vive. Auspico una nuova stagione di mobilitazioni che veda ricomposte tutte le divisioni agite in questi anni; auspico un impegno forte del sindacato in questo senso, auspico un cambio di priorità dalla produzione alla formazione delle giovani generazioni, auspico una scuola sicura per chi ci lavora e per chi la frequenta … e spero che questo non resti solo un auspicio.
Chiara Carratù – docente precaria Torino
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