A 50 anni dello Statuto dei lavoratori

di Eliana Como.  I segretari di CGIL e CISL auspicano partecipazione. Io sogno la lotta.

Soyez realistes! Demandez l’impossible!

Tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70, l’Italia fu attraversata da una forte ripresa del conflitto e da un rafforzamento della capacità contrattuale del sindacato che non ha precedenti nella storia del paese. Le rivendicazioni dei lavoratori diedero voce e sbocco a molti bisogni sociali, ben oltre il salario, l’organizzazione del lavoro e i diritti. A partire dalle lotte operaie e studentesche, quella stagione cambiò profondamente la società italiana, investendo la scuola, la sanità pubblica, persino la cultura e i costumi. Furono quelle lotte la condizione affinché fosse approvata in Parlamento la legge 300. Era il 20 maggio del 1970.

Domani, saranno passati 50 anni da allora. Quasi all’unisono, oggi, sui giornali, il segretario della Cgil (su Repubblica) e la segretaria della Cisl (su Avvenire) scelgono di ricordare quella stagione e quelle conquiste in quello che, per me, è il peggiore dei modi. Non invocano la spinta propulsiva e la carica di dignità che le lotte di quegli anni hanno rappresentato. Tutt’altro. Nei 50 anni dello Statuto, sognano entrambi il patto sociale fondato sulla partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese.

La segretaria della Cisl lo fa, per dirla tutta, con una qualche coerenza, essendo questo uno dei principi della cultura storica di quella organizzazione. Meno lineare, il segretario della Cgil, tanto più se non si ha la memoria così corta da aver dimenticato gli anni (relativamente recenti) in cui lui stesso portò avanti la linea dello scontro con le imprese (ben rappresentata dalla contrapposizione con Marchionne), fino agli accordi separati con FIM e UILM. Se ne compiace la Furlan che infatti scrive quanto le faccia “piacere che anche la Cgil parli oggi di forme di partecipazione dei lavoratori, un tema fondativo per la Cisl”.

Fa eco, d’altra parte, l’intervista di qualche giorno sul Manifesto di un segretario nazionale della Fiom, che di fronte alla sfacciata richiesta di FCA che lo stato garantisca un prestito da 6,3 miliardi di euro, con la stessa leggerezza parla, direi a nome dell’intera segreteria, di “capitale privato, capitale pubblico e sindacato come attore delle scelte strategiche”. Affermando, anche, per me incredibilmente, che, in tutto questo, a lui non interessa che la sede legale di FCA sia in Olanda.

A riprova che la maggioranza della Fiom è allineata al segretario generale della Cgil e non rappresenta davvero più una anomalia nemmeno su questi temi. Temi che un tempo erano prerogativa soltanto di una parte dell’organizzazione, quella più “conservatrice”, e quasi un tabù nella categoria dei metalmeccanici e delle metalmeccaniche. D’altra parte, prima di convertirsi a Metasalute e ai buoni spesa, un tempo era un tabù anche la sanità integrativa.

Sia chiaro, io diffido di chi non cambia mai opinione. A volte però penso che, a cambiarla così in fretta, si rischia di passare per opportunisti…

Così ora sarebbe l’epoca della partecipazione. E possiamo archiviare il conflitto. Addirittura auspicando di utilizzare i risparmi dei lavoratori e delle lavoratrici confluiti nei fondi pensione per “sostenere l’economia reale del nostro paese e per modernizzare il capitalismo italiano” (lo scrive Furlan oggi, ma, da tempo, è un cavallo di battaglia dello stesso Landini).

Io non sono mai stata d’accordo con questa impostazione. Ma tanto meno la condivido oggi. Come si fa a auspicare partecipazione con un sistema imprenditoriale che mai come ora ha mostrato il suo volto feroce, anteponendo senza alcuno scrupolo i propri profitti alla salute del paese? Non che non lo sapessimo prima, ovviamente: con una media di tre morti sul lavoro al giorno. Ma in queste settimane di Covid è stato plastico.

Anche un bambino capisce che cultura imprenditoriale c’è dietro le mancate chiusure durante la pandemia, nella fretta di riaprire a tutti i costi, in ogni deroga al prefetto, in ogni imprenditore che richiamava i lavoratori dalla malattia, nella ferocia delle dichiarazioni del presidente di Confindustria, nella pretesa di non pagare l’IRAP tagliando ulteriori fondi alla sanità pubblica, nell’arroganza di FCA che, sostanzialmente venduta a Peugeot, piange miseria al governo chiedendo tanti di quei miliardi da far impallidire chiunque. Cosa altro devono fare le imprese italiane perché il sindacato alzi la testa e pretenda conflitto, altro che partecipazione!

Ieri, abbiamo letto la notizia di un lavoratore a Terracina che è stato preso a calci e pugni e poi buttato in un fosso dal padrone, perché aveva osato chiedere i DPI. Per carità, questo è un estremo, ma per la verità a me non pare tanto meno brutale della proprietà della Sigma, l’impresa di Marghera che è saltata in aria pochi giorni fa, e che, lasciando due operai in fin di vita e un vero e proprio disastro ambientale, invece che tacere, querela i funzionari sindacali per le dichiarazioni fatte nelle ore immediatamente successive all’incidente. Nonostante una loro lettera denunciasse il mancato rispetto delle condizioni di sicurezza appena pochi giorni prima dell’esplosione.

E non mi pare, francamente, tutto ciò distante da quegli imprenditori che si sono detti offesi quando abbiamo osato chiedere più ispettori del lavoro per controllare il rispetto del protocollo sicurezza: “ma come non vi fidate di noi?” E’ quella stessa cultura che sta dietro alle pressioni che la Confindustria ha fatto in questi giorni per manomettere il riconoscimento del Covid come infortunio sul lavoro. La stessa che tenta di aggirare il decreto 81 e si nasconde dietro ai protocolli sicurezza per non aggiornare il DVR. Assicurano che sono rispettare le norme di sicurezza, ma non vogliono responsabilità e soprattutto non vogliono sanzioni. E peggio ancora, quando accade qualcosa o quando qualcuno denuncia, minacciano, mandano contestazioni disciplinari, licenziano, come è accaduto persino al Pio Albergo Trivulzio.

Con questi imprenditori, da FCA al presidente di Confindustria fino a quel delinquente di Terracina, ma come si può invocare la partecipazione! Invece che fare le barricate per imporre il rispetto delle norme di sicurezza, l’aumento di salari vergognosamente bassi e la cancellazione delle leggi sulla precarietà. Mentre ogni singolo imprenditore sbraita per avere denaro dallo Stato, centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici non hanno ancora ricevuto un centesimo di cassa integrazione. E il sindacato che fa: chiede partecipazione!

Francamente preferisco ricordare lo Statuto dei Lavoratori, pensando alle lotte con le quali il movimento dei lavoratori lo conquistò, consentendo alla democrazia di entrare nelle fabbriche, non dal retro ma dal cancello principale. So bene, che 50 anni dopo lo Statuto non è più lo stesso, manomesso via via da riforme e contro-riforme. E so anche che tante nuove forme di lavoro non riescono a essere rappresentate da quegli articoli.

Altrettanto, non possiamo non sapere che, se quelle contro-riforme sono passate e se quelle nuove forme di lavoro sono state , si deve a leggi che il sindacato ha condiviso o a cui comunque non si è opposto. Abbiamo conquistato con la lotta lo Statuto e senza lottare abbiamo assistito al suo svuotamento.

Quindi, no! Non ci credo a un nuovo modello di partecipazione “capitale privato, capitale pubblico e lavoratori”. E non penso che riconquisteremo lo Statuto dei lavoratori con una Carta dei Diritti, ormai chiusa in un sottoscala di Montecitorio da quasi 10 anni. Mentre ci interroghiamo sui diritti che i drivers non hanno, gli operai nelle fabbriche stanno perdendo tutti quelli che avevano. Come se non fossero bastati 25 anni di retorica sulle “nuove forme di lavoro” per capire che i diritti non sono a somma zero e che difendere quelli esistenti è la condizione stessa per conquistarne di nuovi per chi oggi non ne ha.

Qualche giorno fa, alla Electrolux gli operai e le operaie (tra i più tradizionali che ci sono!) hanno dovuto scioperare per il diritto a respirare, a causa delle mascherine. Mai come ora dobbiamo davvero Riconquistare Tutto, dal diritto alle assemblee, al diritto di denunciare il mancato rispetto delle norme di sicurezza, al diritto persino di avere la mensa o gli spogliatoi o le docce, al diritto di fare due parole alla macchinetta del caffè. Fino al diritto a respirare.

E se vogliamo difenderli, dobbiamo farlo con lo stesso modo con cui 50 anni fa questi diritti li abbiamo conquistati. Non sarà un decreto del governo a ridarci ciò che ci hanno tolto. Né tanto meno a ridurre l’orario di lavoro, imporre la patrimoniale e finalmente investire sulla sanità pubblica. Un decreto del governo arriva al massimo alla regolarizzazione usa e getta dei migranti, il tempo necessario a farli sfruttare nei campi per la raccolta agricola.

Se vogliamo riconquistare i nostri diritti, non c’è che un modo. La lotta!

Eliana Como – portavoce nazionale di #RiconquistiamoTutto

 

Ricordiamo i 50 anni dello Statuto dei lavoratori il 20 maggio, insieme a delegati e delegate e all’avvocato Giacomo Summa.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: