Carlo Carelli e le sue bandiere di tutti i sindacati in Europa

di Eliana Como

Carlo era un amico sincero e un compagno indispensabile, di quelli che non puoi sostituire, perché come Carlo c’era solo Carlo.

Era un punto di riferimento. Sempre calmo e paziente, sempre pacato, sempre disponibile a mediare, sempre ragionevole, sempre pronto a trovare una soluzione. E mai compiacente. Se doveva dirmi che qualcosa non funzionava, lo faceva, con schiettezza, non ci girava mai intorno. Ed era una delle ragioni per le quali sapevo che potevo affidarmi ciecamente a lui.

Nell’area era un punto di equilibrio. Conosceva tutto e tutti e rappresentava un elemento di continuità nella nostra storia. C’era sempre stato e sapevamo tutti che, qualsiasi cosa fosse successa, lui sarebbe sempre stato lì. Era uno dei fondatori di questa nostra storia, fin dai tempi degli autoconvocati, passando per la Rete28aprile, fino all’ultimo congresso, nonostante fosse già provato dalla malattia.

Carlo era la nostra colonna portante. Anche in mezzo ai terremoti, c’era, dritto e altissimo, come era lui. Fermo e stabile. E ti ci potevi appoggiare.

Io mi ci sono appoggiata tante volte. E lui mi ha sempre sostenuta. In Lombardia, quando ero a Bergamo e lui era coordinatore regionale. Anzi, in realtà prima ancora di arrivare a Bergamo, perché quando arrivai, spaesata come ero, Carlo fu il mio primo e unico contatto e fu lui a presentarmi ai bergamaschi. E poi, anni dopo, a Roma, soprattutto quando mi cascò addosso improvvisamente la responsabilità di diventare portavoce nazionale. Senza di lui non so come avrei fatto.

Quando un paio di anni fa ha iniziato a stare male è mancato a me personalmente e all’area collettivamente un vero e proprio punto di appoggio. Lui aveva una autorevolezza unica nel suo genere, sia al nostro interno che con i compagni della maggioranza della Cgil, per i quali, penso di poter dire, sia sempre stato un interlocutore capace, nonostante la diversità sempre esplicita di opinioni.

Carlo era affidabile Era un compagno pratico, concreto, che non si perdeva in discussioni o in polemiche. Badava ai fatti più che alle parole. Non gli interessavano le discussioni sui dettagli. Coglieva il senso generale delle decisioni e piuttosto lavorava per realizzarle, concretamente e attivamente. Sapeva tenere insieme e sapeva costruire l’area. Tutti noi sapevamo di poter contare su di lui, come abbiamo fatto, fino all’ultimo, nonostante non potesse più da tempo partecipare alle nostre discussioni e alle nostre riunioni.

La malattia che ha colpito Carlo è una malattia infame. La più infame di tutte. La stessa che si portò via mio padre tanti anni fa. Così infame da rendere il corpo una bara, lasciando al cervello e all’anima tutto il tempo e il modo di capire la degenerazione a cui è costretto. È da tempo che non vedevo Carlo, ma lo sentivo regolarmente. E so dalla moglie Carla che ha affrontato con dignità e forza questi ultimi anni. Immagino con la stessa calma e la stessa concretezza con cui affrontava tutto il resto. Da eroe perché, in fondo, la cosa più dura di questa malattia è non rassegnarsi ad essa e liberarsene. Ora Carlo, nonostante il nostro dolore, è libero.

Lo avevo sentito appena due giorni fa. Avevo capito dalle sue parole che aveva consapevolezza che era arrivata la fine. Ho fatto in tempo a salutarlo, discretamente, per rispettare la sua riservatezza. Sono convinta che, senza bisogno di tante parole, lui sapesse, nei fatti, quanto è stato importante per me.

Di lui conservo tanti ricordi e una borsa che mi fece arrivare alla assemblea nazionale del 15 marzo 2019 in Cgil. Dentro ci sono tutte le bandiere dei sindacati chimici europei che via via negli anni aveva raccolto nella sua attività del Cae per la Unilever. Quando alla fine della assemblea, un compagno di Lodi si avvicinò per darmi la borsa che Carlo gli aveva chiesto di consegnarmi, scoppiai in lacrime. Come ho fatto oggi pomeriggio, quando ho saputo della sua morte. Sapevo già allora, quando ho ricevuto quella borsa, che non lo avrei più rivisto e considerai quelle bandiere una sorta di eredità che voleva lasciarmi. Le conserverò con cura. Insieme al ricordo di un compagno  onesto, rigoroso e infaticabile. E un amico, sincero.

Purtroppo, non sarà possibile un funerale pubblico. Ma appena potremo, faremo in modo di ricordarlo come merita, tutti e tutte insieme. Intanto un abbraccio pieno di affetto alla moglie Carla e al figlio Claudio. Sarò lì con voi con il cuore, come tantissimi compagni e compagne.

Riposa in pace Carlo, noi tutti non ti dimenticheremo mai. Quanto a me, avrei ancora tanto bisogno di appoggiarmi a te. Quando ne sentirò più forte il bisogno, mi porterò dietro una delle bandiere che mi hai lasciato.

Grazie di cuore, per tutto.

Eliana Como

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