AG FLC: nell’emergenza e oltre, difendere salute, lavoro, istruzione e ricerca

Risoluzione presentata da RT! all'AG FLC 22.23 aprile 2020

Risoluzione conclusiva Assemblea Generale FLC CGIL 22/23 aprile 2020
[qui per scaricare il testo in pdf]

NELL’EMERGENZA E OLTRE L’EMERGENZA: DIFENDERE SALUTE, LAVORO, ISTRUZIONE E RICERCA

Dai primi di marzo a è stata sospesa l’attività in scuole, università, enti di ricerca e formativi di tutta Italia. Il personale ha ridotto la presenza alle attività indifferibili, in seguito a diversi provvedimenti ma soprattutto all’azione di RSU e sindacati. Una sospensione che ancora prosegue e che, nell’attuale pandemia, è possibile si ripeta. L’attenzione sanitaria, in ogni caso, durerà ancora a lungo, quest’anno e forse anche una parte del prossimo.

Nelle scuole e nelle università, pubbliche e private, quasi 9 milioni di studenti e oltre un milione di lavoratori e lavoratrici sono a casa. I docenti ed il personale tecnico amministrativo hanno profuso un impegno straordinario, con modalità e impatti diversi a seconda delle età e dei cicli. Comprendendo l’enormità di ciò che stava accadendo, si sono sentiti investiti della responsabilità di sostenere, in un contesto così complicato, la prima funzione del proprio servizio pubblico: l’inclusione di tutte/i e il supporto ai diversi percorsi di crescita.

Oltre novecentomila docenti di ruolo e precari hanno sviluppato una didattica d’emergenza, dalla scuola d’infanzia all’università, cercando di tessere un filo educativo e/o formativo, coi limiti della distanza: palesi diseguaglianze, anche tra contesti familiari e sociali; problemi di connessione; una modificazione improvvisa del lavoro, che ha spesso comportato un sostanziale incremento dI un’attività condotta da casa con mille problemi tecnici e organizzativi.

Quasi duecentomila lavoratori e lavoratrici dei servizi tecnici, amministrativi e di assistenza, hanno continuato a garantire la funzionalità essenziale di oltre ottomila scuole pubbliche, un centinaio di Atenei, decine di enti di ricerca, un’infinita pletora istituti privati. Una larghissima parte è coinvolta nel lavoro agile, continuando a svolgere attività nelle proprie abitazioni, spesso oltre i normali orari e la classica settimana lavorativa (senza disconnessione).
Oltre duecentomila lavoratori e lavoratrici dei settori privati, o instabili e precari, vivono anche nella paura per il proprio salario e la propria occupazione. Molti hanno oggi forme ordinarie o straordinarie di ammortizzatori sociali, con una riduzione dei propri stipendi e il rischio di futuri licenziamenti. Molti sono oggi semplicemente senza lavoro, coperti per la sussistenza dagli strumenti straordinari, incerti ed insufficienti, attivati dal governo.
Quando finirà l’emergenza sarà necessario, e doveroso, ricostruire le ragioni che hanno portato il covid19 a colpire così duramente l’Italia. Anche denunciando le relative responsabilità con intransigenza. In ogni caso, sono emersi con evidenza limiti istituzionali e incapacità del governo: l’organizzazione regionalista dello Stato, a partire dal SSN, ha reso contraddittoria l’azione di contenimento; il governo ha evitato di chiudere alcune aree, nonostante l’esplicita indicazione dell’ISS (vedi la Val Seriana), subendo le evidenti pressioni padronali; le comunicazioni sono avvenute in modo cialtronesco, con anticipazioni o di videomessaggi prima della definizione dei provvedimenti.

Anche le prossime fasi rischiano di esser segnate dalla stessa incertezza e dalla stessa pressione padronale. Nonostante la cosiddetta fase uno non sia terminata (ci sono ancora oltre 500 decessi e 2700 nuovi casi al giorno), decine di migliaia di imprese non essenziali sono aperte, grazie a Prefetture e un DPCM segnato da Confindustria. Oggi si chiedono ulteriori riaperture, nonostante i modelli epidemiologici e le preoccupazioni degli esperti. Così si moltiplicano le pressioni per riaprire anticipatamente scuole e università, puntando in realtà a permettere ai genitori di rientrare a lavorare. Come nella prima settimana di marzo, si rischia di riavviare il contagio in nome della produzione. Per questo è fondamentale prolungare l’attuale sospensione sino alla pausa estiva, garantendo salute e sicurezza per tutti/e.

In questo quadro, in particolare, hanno purtroppo operato i neoistituiti Ministeri dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca. Nella scuola, con uno spiccato comportamento antisindacale (denunciato anche formalmente da altre OO.SS.), si è usata l’emergenza non solo per perseguire scelte caratterizzanti di questa nuova gestione (l’accordo sulla mobilità ed un concorso selezionante per i precari), ma anche per rilanciare un modello gerarchico centrato sui Dirigenti Scolastici (capitani dei vascelli in tempesta in stile “107”). Nelle università e nella ricerca, enfatizzando l’autonomia e rinunciando alle prerogative ministeriali, si sono rilanciati processi di smantellamento dei sistemi nazionali, indebolimento della contrattazione, disciplinamento del lavoro docente, controllo del lavoro agile.

Oggi sono allora esplosi nodi vertenziali che da tempo interessano il settore: il precariato strutturale di scuola, università ed enti di ricerca; l’estromissione del sindacato dal controllo sull’organizzazione del lavoro; il ruolo enfatizzato della dirigenza; l’autonomia di scuole e università; le fragilità conseguenti a decenni di tagli, con infrastrutture fatiscenti e la cronica mancanza cronica di risorse anche solo per il normale funzionamento.

Il problema non è quindi quello di una ministra con propensioni antisindacali o di un ministro assente. Il problema è una politica senza soluzione di continuità da più di un decennio, anche di questo governo. Il problema, allora, non è tanto quello di far assumere al governo le priorità dell’istruzione e della ricerca, quanto quello di contrastare le sue scelte, che hanno portato ai disastri di oggi. Basti guardare i diversi provvedimenti normativi (sempre in primo luogo a sostegno delle imprese), le assenze sull’università, la ribadita volontà di non prevedere altri oneri per lo stato del DL 22/2020.

In questo quadro, emerge anche la responsabilità della CGIL. Dalla recessione del 2009, la maggioranza della Confederazione ha cercato di sviluppare una cogestione della crisi con il padronato, dalle ultime stagioni contrattuali al patto di fabbrica. Una strategia che ha inteso la funzione generale del sindacato non tanto come difesa degli interessi generali del lavoro, ma soprattutto come supporto agli interessi del sistema paese, e quindi in primo luogo del sistema imprenditoriale. Questa linea si è oggi accentuata e si è intrecciata con le scelte dello scorso agosto: il sostegno alla nascita e al percorso di questo governo contro il pericolo delle destre. Così, in nome della responsabilità, nel corso di tutta l’emergenza la segreteria CGIL ha cercato di evitare che la paura di lavoratori e lavoratrici si trasformasse in rabbia, scegliendo di controllare ed instradare le loro mobilitazioni: si è firmato l’insufficiente protocollo del 14 marzo, si è evitato di dichiarare lo sciopero generale, si è inseguito le associazioni padronali, si evita ancor oggi di focalizzarsi sulla difesa delle condizioni e degli interessi del lavoro.

Per questo, oggi serve una svolta. Serve garantire instabili e precari, a partire dagli appalti; riaprire le scuole con il personale in cattedra (un concorso per titoli, che stabilizzi tutto il precariato storico, ben oltre le 24mila assunzioni previste, per coprire almeno una parte dei 200mila posti scoperti); prolungare, rinnovare e stabilizzare i 20/30mila precari di ricerca e università; proteggere la libertà di insegnamento, prevedendo una diffida preventiva chiara e precisa da inviare in tutti gli istituti (e far conoscere ai docenti), per fermare quei DS che provano ad imporre metodi, videolezioni, orari o forme di controllo sulla DAD; investire su edifici, impianti, personale aggiuntivo per riaprire in sicurezza e tamponare le diseguaglianze prodotte in questi mesi; rinnovare il CCNL garantendo reali aumenti salariali uguali per tutti/e; il ritiro di qualunque progetto di autonomia rafforzata o differenziata, per tornare a sistemi nazionali integrati, nell’università, nella scuola come nella sanità e sulle altre materie. Ribadiamo la nostra contrarietà al finanziamento pubblico alle scuole private: i lavoratori e le lavoratrici di questi settori vanno tutelate/i garantendo i loro salari e consentendogli il passaggio negli istituti pubblici.

Per questo, l’AG FLC decide di convocare nella prima settimana di maggio assemblee in ogni scuola, università ed ente di ricerca, da concludersi con assemblee territoriali e nazionali delle RSU. Un percorso di confronto con tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, per lanciare l’allarme sulle condizioni del settore, per proporre una piattaforma generale di mobilitazione con rivendicazioni concrete, a partire dalle risorse che sono necessarie.

Per questo, l’AG della FLC ritiene importante l’indizione immediata in tutto il comparto dello stato di agitazione e decide di proporre a queste assemblee lo sviluppo di un percorso di mobilitazione, con l’individuazione di forme e percorsi di lotta articolati, che terminino entro la fine dell’anno scolastico nella proclamazione di uno sciopero generale e, se necessario, del blocco degli scrutini e nello sciopero degli esami universitari.

Vicenzo Cimmino, Anna Della Ragione, Monica Grilli, Francesco Locantore, Luca Scacchi

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