Con i lavoratori dell’Ilva di Genova
Stamani alle 6.00 è terminata o, per meglio dire, è stata sospesa, l’occupazione dell’Ilva a Cornigliano. Sospesa perché la guardia resta alta.
Sospesa, come ha deciso l’assemblea dei lavoratori nel pomeriggio di ieri, perché nel corso dell’incontro convocato in mattinata a Roma, alla sede del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), con la cordata Am Investco, guidata da ArcelorMittal, e le Organizzazioni sindacali, la viceministro Teresa Bellanova, che sostituiva il ministro Carlo Calenda, aveva dichiarato che, dopo il successivo incontro del 16 novembre, il Governo si farà promotore di incontri specifici in relazione all’Accordo di Programma di Genova. Un parzialissimo risultato, certo, ma per arrivarci c’è voluta una iniziativa di lotta radicale quale l’occupazione temporanea della fabbrica per 4 giorni.
Il tentativo, infatti, all’interno della vicenda più generale di Ilva, è quello di non riconoscere, o forse è meglio dire scippare, le tutele occupazionali e di reddito contenute nell’Accordo di Programma per Cornigliano sottoscritto nel 2005 tra Ilva (la proprietà Riva), Governo (con la Presidenza del Consiglio e ben 6 Ministeri), Istituzioni locali e Organizzazioni sindacali, confederali e di categoria, nazionali e locali. Un Accordo con cui allora venivano chiuse per ragioni ambientali le lavorazioni siderurgiche a caldo e si prefigurava lo sviluppo di altre lavorazioni, peraltro poi non avvenuto nei termini concordati perché dal 2005 si sono persi oltre 1.000 posti di lavoro.
Quanto ha prospettato Am Investco, controllata dalla multinazionale ArcelorMittal in partnership con il gruppo Marcegaglia (15 per cento) e sostenuta da Intesa Sanpaolo, è totalmente irricevibile. Prospettare il licenziamento per 4.200 lavoratori e la riassunzione ex-novo con contratti Jobs Act per gli altri 10.000, con l’azzeramento di anzianità, accordi integrativi, premi di produttività, ecc., è criminale. Le conseguenze sulle migliaia di lavoratori dell’indotto sarebbero, se possibile, ancor più devastanti.
L’Area “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione CGIL” partecipa alla lotta dei lavoratori Ilva e ritiene fondamentale la combattività e la determinazione dimostrata in questi giorni dai lavoratori di Cornigliano, non solo per lo stabilimento genovese, dove vengono prospettati 600 licenziamenti sugli attuali 1.500 dipendenti, ma anche perché tiene alta la mobilitazione più complessiva sull’insieme della vertenza a livello nazionale, in cui gli scioperi del mese scorso hanno avuto una pressoché totale adesione da parte dei lavoratori in tutti gli stabilimenti e i siti Ilva in tutta Italia. Giudichiamo quindi molto negativamente la dissociazione di FIM e UILM dalla scelta della maggioranza della RSU e dell’assemblea dei lavoratori di occupare lo stabilimento di Cornigliano.
Nel contempo la nostra Area sindacale indica la necessità di porre all’ordine del giorno delle rivendicazioni sindacali la prospettiva della nazionalizzazione di Ilva, senza indennizzi e sotto il controllo dei lavoratori, così come in tutti quei casi di imprese che licenziano dopo aver preso contributi pubblici, a maggior ragione se si tratta di industrie e settori ad alta valenza strategica, o che inquinano e dove occorre una radicale bonifica e una riqualificazione produttiva ambientalmente compatibile, come a Taranto.
Vanno inoltre riunite insieme tutte le RSU del Gruppo Ilva, comprese quelle dell’indotto, per stabilire unitariamente il percorso delle lotte.
A Genova, infine, occorre lavorare a una mobilitazione su una vertenza più complessiva che sappia tenere insieme le lotte di tutte quelle situazioni in cui vi sono o vengono prospettati licenziamenti o comunque perdita di posti di lavoro, da Ilva a Ericsson, da Banca Carige a (è notizia di oggi) la Rinascente, ecc. Senza dimenticare l’inesorabile perdita di posti di lavoro nei servizi pubblici per il mancato turn over.
Genova, 10 novembre 2017
Area “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione CGIL” / Genova e Liguria
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