CGIL ER. P.Brini: il modello è quello imposto dai CCNL, contrastiamolo!
Intervento di Paolo Brini al Direttivo Cgil di Modena, sulla proposta di un nuovo modello contrattuale.
Compagni e compagne,
seguendo i lavori della nostra Confederazione a Lecce nello scorso week end, mi sono imbattuto nella seguente dichiarazione del compagno Baseotto “La stagione della disintermediazione che ha dominato in questi anni ha fallito”. Leggendo queste considerazioni mi sono chiesto in che mondo vive il nostro gruppo dirigente e che percezione ha della realtà quotidiana che si vive sui luoghi di lavoro. Perchè quello che sta accadendo è che non solo padroni e governo non hanno nessuna intenzione di rinunciare a portare avanti questa linea di disintermediazione (ovvero il prevalere sempre maggiore di un rapporto diretto padrone/lavoratore che escluda il sindacato come strumento di organizzazione e rivendicazione) tanto cara al Movimento 5 Stelle e tanto ben applicata e portata avanti dal PD. La disintermediazione è una tendenza che sta dilagando nei posti di di lavoro e i principali responsabili di questo siamo noi, è il sindacato e il crollo di autorevolezza che esso ha ingenerato agli occhi dei lavoratori. La nostra gente preferisce trattare direttamente e singolarmente col padrone illudendosi di ottenere qualcosa, piuttosto che organizzarsi collettivamente attraverso il sindacato. La ragione di questo crollo di autorevolezza è dovuto al fatto che abbiamo accettato il terreno di gioco che i padroni ci hanno imposto. Ciò è ben visibile anche sulla questione delle pensioni. Quale mobilitazione ci illudiamo di poter mettere in campo se non la solita passeggiata testimoniale quanto inutile? Del resto come potremmo pensare seriamente di far scendere in lotta in maniera dura la classe lavoratrice dopo aver accettato sia l’APE che la legge Fornero. Noi ci stiamo limitando a chiedere che non si applichi l’ulteriore scalino della Fornero, non che la si abroghi completamente come sarebbe giusto rivendicare.
Ci si chiede oggi di discutere quale modello contrattuale proporre alla controparte per il prossimo periodo, ma il modello contrattuale c’è già. Si è già definito nell’ultimo anno e mezzo. Lo hanno definito sia i disastrosi Contratti nazionali firmati, a partire da quello dei metalmeccanici, sia gli accordi stipulati in alcune vertenze aziendali di valenza nazionale come quello Almaviva (che è costato la testa del segretario nazionale della SLC-Cgil) o quello Alitalia. Lo hanno definito gli accordi interconfederali del gennaio 2016 ma soprattutto la sua intesa applicativa del luglio 2016 tanto osannata dal Sole24Ore e che ha portato ad accordi regionali capestro come quelli in Lombardia e Veneto. In sostanza per far avere degli sgravi fiscali che oggi ci sono ma un domani, se cambia la legge di stabilità, non ci saranno più si è accettato un modello devastante per i lavoratori e che rimarrà ben oltre le prossime leggi di stabilità! Un modello che non solo scarica il rischio di impresa sui lavoratori ma che si basa su una logica totalmente aziendalista. Sia l’accordo del luglio 2016 che quelli di Lombardia e Veneto prevedono di legare i Premi di Risultato tra le altre cose alla presenza, agli infortuni, alla flessibilità degli orari o all’applicazione dello smart working (cioè del cottimo). Prima che discriminatoria per e tra i lavoratori, una scelta del genere è sindacalmente un suicidio. Come se questo non bastasse il testo aggiunge, cito testuali parole perché non saprei dirle meglio, che l’obbiettivo dell’accordo è “accrescere la motivazione del personale”. Quindi il sindacato adesso come ruolo ha quello di fare il motivatore aziendale? Ma tranquilli che i padroni le loro squadre di motivatori per rendere i dipendenti filoaziendalisti già ce li hanno e non hanno bisogno certo di noi. Ovviamente la logica pratica di questa linea è l’accettazione del Welfare Aziendale e dei cosiddetti “Flexible benefit” ovvero pagamenti in natura che da un lato sono una evasione fiscale legalizzata per i padroni e dall’altro sono un enorme danno contributivo e retributivo per i lavoratori. Per di più, come ormai Confindustria ripete un giorno si e l’altro pure con fior fiore di ricerche e statistiche, questi sono strumenti che fidelizzano enormemente il lavoratore all’impresa e rendono i funzionari sindacali nella migliore delle ipotesi degli impiegati e nella peggiore dei promoter.
In una parola, mentre si distrugge la contrattazione nazionale, si consegna definitivamente quella aziendale nelle mani dei padroni. Infatti se dove sono presenti le RSU e il sindacato, tutto questo crea enormi problemi perché mette in discussione quanto finora acquisito, dove le Rsu e il sindacato non ci sono, i Premi vengono dati a totale discrezione aziendale…alla faccia della fine della disintermediazione!
Ora, la proposta di modello contrattuale che viene qui proposto alla discussione dalla Cgil Emilia Romagna e che evidentemente ha un respiro che guarda anche al congresso prossimo venturo, mi pare faccia finta che la situazione non sia questa. Prova a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte. Nelle premesse del documento infatti si fanno anche alcune considerazioni condivisibili. Quando si evidenzia che si sta consegnando sempre più all’imprenditore il ruolo di “regolatore sociale”, omettendo però di dire che sono gli accordi firmati anche dalla Cgil a permetterlo. Quando si sottolinea il problema dell’esplosione della bilateralità in cui si traslano le materie contrattuali a costo zero per le imprese, senza dire che la Cgil ha ormai completamente accettato questo modello. Così come quando si afferma che le conclusioni dei singoli CCNL hanno aperto ulteriori contraddizioni e quesiti sul ruolo del CCNL stesso. Sono perfettamente d’accordo con il compagno Giove (segretario della CGIL-E.R.) quando afferma: il fatto che Confindustria oggi prenda a modello non più il contratto dei chimici ma quello dei metalmeccanici rappresenta un problema. Sottoscrivo in pieno! Un aumento mensile di 1,7 euro lordi al mese al 5 livello, come prevede il CCNL dei meccanici, mette la parola fine al ruolo del contratto nazionale.
Poi però quando si arriva alla declinazione delle proposte pratiche da mettere in campo per contrastare tutto ciò in realtà si compie lo stesso errore commesso dalla Cgil nazionale e cioè si accetta di fatto il campo di gioco imposto dai padroni. A partire da quale ruolo deve avere il contratto nazionale e quale rapporto con la contrattazione di secondo livello. Si delinea infatti anche in questo caso per il CCNL un ruolo di cornice vuota che demanda praticamente tutto alla contrattazione di secondo livello. L’unica voce che si dice esplicitamente non può essere derogata è il salario. Un salario la cui individuazione è poco chiara come poco chiara è la “verifica biennale/annuale” che vi si propone. Non è chiaro infatti se ci si riferisce al modello dei chimici che al momento della verifica se va male devono restituire soldi ai padroni o è quello dei metalmeccanici che di soldi proprio non ne danno e basta. Inoltre precisare la non derogabilità solo del salario vuol dire che su tutto il resto si è disponibili a demandare e dunque derogare alla contrattazione aziendale. Ma questa è la negazione stessa del ruolo del CCNL. Come è sempre stato fino a qualche anno fa, il contratto nazionale non deve trattare solo alcune materie o solo il salario, ma su tutti gli aspetti contrattuali deve definire quali sono le condizioni minime sotto cui non si può andare. Così come non c’è alcun bisogno di definire quali temi possono essere materia di negoziazione a livello aziendali e quali no. Tutti i temi possono essere negoziati come è sempre stato ma ad una condizione, non si possono fare accordi “in peius” cioè che peggiorino quanto previsto dai CCNL di riferimento.
La proposta accetta poi in toto la logica del Welfare Aziendale compresa la sanità integrativa. Su questo permettetemi solo dire di smetterla di raccontarci la favola per cui la sanità integrativa che vogliamo è integrativa, e quindi a sostegno, della sanità pubblica. La sanità integrativa innanzitutto colpisce quel diritto universale e uguale per tutti alla salute sancito dall’art.32 della costituzione e poi concretizzatosi nell’ormai sempre più martoriato Servizio sanitario nazionale (ora più che altro Regionale). La logica che si impone è che se uno ha la fortuna di lavorare in un’azienda piuttosto che in altre può usufruire di prestazioni che altrimenti non avrebbe o non potrebbe permettersi (sempre a proposito di strumenti di fidelizzazione dei lavoratori). In secondo luogo tutti i fondi sanitari integrativi hanno come primo obiettivo non garantire il diritto alla cura, ma garantire il proprio bilancio. E’ inoltre noto che i fondi integrativi funzionano se vengono usati contemporaneamente da poche persone perché altrimenti saltano per aria i conti. Quindi non si parli nemmeno di diritto alla cura ma di “servizi” che oggi ci sono e domani magari no. Infine i fondi sanitari, anche quelli che consento i rimborsi dei tiket del pubblico, pongo sempre il proprio “cliente” di fronte alla possibilità di scelta. Se il lavoratore/cliente si trova a dover scegliere tra una prestazione fatta dal pubblico dopo 6 mesi e una fatta da un privato dopo 6 giorni è chiaro cosa sceglierà. Si favoriscono così gli introiti dei privati, si colpisce il pubblico e si derubrica dall’agenda la lotta per avere una sanità pubblica, gratuita e di qualità.
Per concludere, mi pare chiaro quanto il governo e i padroni siano e continuino ad essere all’offensiva, dalle leggi razziste e repressive di Minniti alla volontà di colpire il diritto di sciopero annunciato nelle scorse settimane. Noi dobbiamo decidere se vogliamo continuare ad accettare il loro terreno di gioco oppure no. La CGIL nazionale mi pare abbia palesemente scelto di sì e il fatto di illudersi in un cambiamento del quadro politico, che Gentiloni sia meglio di Renzi o che Pisapia con MDP e soci possa essere una sponda cui aggrapparsi è veramente ridicolo per non dire puerile. La CGIL Emilia Romagna deve decidere cosa vuol fare. Se la linea è quella proposta in questo documento, allora è anche lei dentro quel terreno di gioco. Magari con una proposta meno peggiore di quella della Cgil nazionale e di quelle di Lombardia e Veneto ma che sempre in quel quadro di compatibilità resta e come la politica insegna, il meno peggio porta sempre alla vittoria del peggio.
Dobbiamo avere invece il coraggio di mettere in discussione e rifiutare le compatibilità che vogliono i padroni. Dobbiamo anche smettere di piangerci addosso e lamentarci del fatto che “i lavoratori non ci seguono”, perché al di là delle nostre responsabilità , e sono molte, per la situazione in cui siamo, noi abbia il compito ed il dovere di educare e radicalizzare il pensiero della classe, di cambiare i rapporti di forza e di convincere i lavoratori a scendere in lotta. Appunto, dobbiamo avere il coraggio di iniziare a farlo. Grazie.
Paolo Brini
Rispondi