Milano: contro il numero chiuso, per un università aperta e democratica.

Contrastare il taglio delle risorse e la costruzione di un sistema universitario competitivo. Per un istruzione pubblica, democratica e di massa.

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Nelle ultime settimane, in particolare grazie alla mobilitazione studentesca, si è molto discusso in merito alla proposta (e poi alla decisione) dell’Università statale di Milano di estendere il numero chiuso anche ai corsi di laurea umanistici, sino ad oggi esenti. La questione presenta pesanti ombre sia di metodo che di merito.

Per quanto riguarda il metodo, il rettore Gianluca Vago ha ignorato l’autonomia dei dipartimenti umanistici, che si erano già espressi riguardo al numero chiuso e ha voluto portare la questione direttamente in Senato Accademico. I dipartimenti coinvolti, infatti, avevano deciso di attivare test di valutazione per il prossimo anno accademico, in modo da avere più tempo per trovare la miglior soluzione ai limiti ed alle condizioni imposte da Ministero e ANVUR con le recenti disposizioni sulla valutazione ed il finanziamento degli Atenei.
Quella del rettore è una prevaricazione mai avvenuta prima nella storia dell’ateneo, che ha di fatto spaccato in due il mondo accademico, creando una contrapposizione tra dipartimenti scientifici e umanistici, palesatosi con il voto in Senato Accademico che ha visto 19 voti favorevoli, 6 astenuti e ben 11 contrari (ovvero i rappresentanti del personale tecnico e amministrativo, i 4 studenti e solo 3 docenti).  Addirittura si è arrivati a far votare telefonicamente una ricercatrice, che non era presente. La deriva autoritaria è talmente palese che non occorre neppure soffermarcisi.

Peraltro i favorevoli a questo provvedimento, sia all’interno che all’esterno dell’ateneo, sostengono l’introduzione del numero chiuso come strumento indispensabile per riqualificare l’università, affermando implicitamente il suo decadimento. Lascia particolarmente perplessi il sostegno al rettore da parte del sindaco Sala, che pochi giorni fa era impegnato in iniziative di accoglienza e integrazione dei migranti e che invece giustifica e comprende la non accettazione degli atenei agli studenti che non supereranno il test di ammissione a settembre. Una strana forma di accoglienza selettiva.
Molto ci sarebbe da dire su questa selezione, che ha creato un indotto economico di quanti speculano sulle aspirazioni dei neodiplomati, creando un business legato alla preparazione ai test, spesso a crocette, che sanciscono a priori chi potrà accedere all’alta formazione universitaria e chi no.

Sicuramente oggi qualunque Ateneo pubblico ha grandi difficoltà ad accogliere gli studenti: difficoltà di sedi, spazi, servizi ed anche docenti. E’ la conseguenza diretta di un decennio di continui tagli ai finanziamenti per il sistema universitario, su cui si è sovrapposto il blocco delle assunzioni e del turnover (che ha ridotto il personale, docente e tecnico amministrativo, di quasi il 20%). Negli ultimi anni, inoltre, questa difficoltà è stata amplificata dalla costituzione dell’ANVUR e dalla scelta di finanziare gli Atenei anche con criteri competitivi, sulla base di diversi indici e parametri, che per esempio puniscono gli studenti fuori corso. Il diritto allo studio è quindi sotto attacco dappertutto, dato l’aumento delle tasse d’iscrizione (a svantaggio delle classi sociali più svantaggiate), proprio per conseguenza diretta della decisione dell’ANVUR di penalizzare i Corsi di Laurea in base al numero dei fuori corso. Una decisione classista e incomprensibile, dato che si tratta di studenti che pagano la retta, spesso usano solo parte dei servizi offerti e che con fatica conciliano il dover lavorare per pagare gli studi, con i pochi appelli a disposizione per sostenere gli esami e altre mille difficoltà, quali la mancanza di alloggi, fondi per le borse di studio, ecc. Guardando oltre i confini italiani, poi, scopriamo che il nostro paese è quello con la minore percentuale di laureati a livello europeo: peggio di noi solo la Romania! Quindi l’assurdità dell’introduzione del numero chiuso è pari solo alla pessima gestione dell’alta formazione universitaria e del pubblico impiego attuata dai governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni.

Questo allora è un sistema dalle dinamiche perverse, che va contrastato! La rassegnazione e la mera applicazione dei diktat ministeriali o dell’ANVUR, non possono essere la risposta del mondo accademico e dei rettori. Da un parte, quindi, il biasimo della ministra Fedeli al Rettore Vago, con la parallela rivendicazione dell’autonomia dei singoli Atenei (e quindi della impossibilità di intervento da parte del Ministero, non essendo loro responsabili della scelta) è sostanzialmente ipocrita: sono proprio i continui tagli all’istruzione, l’implementazione di un sistema valutativo e competitivo tra sedi, il progressivo smantellamento dell’unità del sistema universitario nazionale che hanno sospinto questa scelta della Statale di Milano. Dall’altro, se il rettore della Statale avesse fatto valere il suo ruolo per contrastare questa tendenza autolesionista con lo stesso impegno profuso per altre iniziative quali il trasferimento a Rho, forse oggi non avrebbe tra le mani questa vittoria di Pirro, ma sarebbe alla guida di un ateneo più democratico, accogliente, coeso e sano.

Per questo esprimiamo il nostro pieno supporto agli studenti e ai compagni che in statale stanno combattendo questa difficile lotta per un’università libera e aperta.

Sindacatoaltracosa-OpposizioneCgil nella FLC

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