Alitalia: la giostra dei criceti

Diciamo NO all'ipotesi di accordo sottoscritta nella notte del 14 aprile!!

Contro un accordo che, come al solito, scarica i costi dell’ennesima ristrutturazione su lavoratori e lavoratrici, per garantire i profitti dei soliti noti.

Nella notte di venerdì 14 aprile azienda e sindacati, con la mediazione del governo, hanno sottoscritto un’ipotesi di accordo per il nuovo piano industriale Alitalia. Ai dipendenti viene chiesto l’ennesimo sacrificio, per salvaguardare il futuro dell’azienda.

Alitalia, sia quando era pubblica sia ora da privata, produce perdite su perdite. Nel 2008 per questo Berlusconi impose la privatizzazione. Con il consenso, alla fine, di tutti i sindacati presenti in azienda (confederali, autonomi e di base), eccetto la Cub. Sindacati che, per di più, si impegnarono tutti attivamente (di nuovo, eccetto la Cub) per bloccare gli scioperi e le proteste autorganizzate da un’assemblea praticamente permanente di migliaia di lavoratori e lavoratrici nello scalo romano. L’azienda fu divisa in due parti: all’erario pubblico furono accollati debiti e settori in perdita attraverso una società commissariata; a banchieri e padroni amici (la Cai) fu venduto marchio, aerei e parte produttiva dell’azienda. Nel 2014 precipitò però una nuova crisi: la compagnia fu salvata dall’ingresso, col 49% delle azioni, di Etihad (azienda di Stato degli Emirati Arabi Uniti). In questi due passaggi, furono tagliati quasi la metà dei dipendenti (da 23mila a 12mila), con piani di lacrime e sangue anche su salari e condizioni di lavoro (turnistica, equipaggi, ecc). Tutto questo però non è servito a nulla: invece degli utili, nel 2017 si è passati da 199 milioni a ben 400 milioni di perdite annue previste.

Queste crisi sono colpa dei privilegi dei suoi dipendenti? No. Non era così prima, quando Alitalia era pubblica, non lo è tantomeno oggi dopo che ben due crisi (2008 e 2014) hanno tagliato radicalmente diritti e salari. La colpa delle perdite è sempre stata di una direzione industriale pasticciata e fallimentare. Una direzione sempre attenta ad interessi politici e di sistema (sia quando era pubblica, sia quando è diventata privata), che ha inanellato nei decenni una serie infinita di scelte strategiche sbagliate o irrazionali (ma che sempre favorivano amici degli amici e soliti noti): lo sviluppo di due hub per dare un senso a Malpensa2000, il mega centro direzionale alla Magliana, la focalizzazione sulla tratta Roma-Milano anche con l’entrata in servizio dell’Alta velocità, la gestione inefficace di Linate, un’amplissima diversificazione della flotta, gli alti costi di handling e manutenzione per foraggiare imprese amiche, la focalizzazione sul corto e medio raggio, ecc. Ciclicamente quindi, per raddrizzare i costi, viene proposto un piano industriale dalle mirabolanti prospettive, talvolta con nuovi assetti proprietari, che inevitabilmente prevede licenziamenti, riduzione dei salari, aumento dei ritmi e peggioramento delle condizioni di lavoro. Piani industriali che sin dall’inizio rivelano fragilità di fondo, ma che sempre sono sostenuti dal solito coro di editorialisti, commentatori, e politici di turno, “in nome dell’efficienza e della gestione privata”, al solo scopo di farci guadagnare i soliti noti.

Così è anche questa volta. Per recuperare velocemente cassa (l’azienda ha una radicale crisi di liquidità che minaccia la sua funzionalità) si taglia come sempre sul lato del lavoro.

  1. Licenziamenti. Come al solito, tagliando teste. Alitalia ha proposto inizialmente la scomparsa di 2.037 posti. Alla fine, l’ipotesi di intesa non prevede solo 980 esuberi (come riportato da titoli e servizi di stampa), ma 980 posti a tempo indeterminato (con la cigs per due anni e poi il licenziamento) + il mancato rinnovo di 538 a tempo indeterminato + l’uscita dall’azienda di 141 dalle sedi estere. Totale: 1660 (cioè vengono confermati più dell’80% dei licenziamenti richiesti).
  2. Riduzione del salario. La richiesta aziendale era di una riduzione radicale per il personale di volo (28% per i piloti a medio raggio, 22% per quelli a lungo raggio, 32% per assistenti di volo). Viene invece trovato un accordo per il superamento di una serie di indennità in busta paga (Ivr, Ivia e Ivi) e per la riparametrazione delle fasce di indennità di volo oraria per il personale part time, con un abbattimento significativo del salario variabile. Inoltre, si prevede “con riferimento alla riduzione del valore delle tabelle Ivo, ..una riduzione pari al 21,6% che corrisponde ad una riduzione complessiva della retribuzione (per tutti) pari a circa l’8%”. Gli scatti di anzianità, ancora, sono bloccati sino al 2020 e da lì in poi si rinnoveranno triennalmente, mentre in caso di avanzamento di carriera (promozioni) l’incremento retributivo sarà, in ogni caso, al massimo del 25%.
  3. Non solo. I nuovi assunti avranno per 5 anni un salario di ingresso ridotto della metà, attraverso l’applicazione a tutti loro dei livelli retributivi Cityliner (il vettore del breve raggio), indipendentemente dall’aeromobile d’impiego. I nuovi assunti? Già: nonostante mille lavoratori e lavoratrici in Cigs, nonostante l’applicazione da tempo e fino al 2018 dei contratti di solidarietà, all’azienda viene permessa l’assunzione di nuovi dipendenti, perché chi viene licenziato dovrà esser in parte anche sostituito. Cioè, si firma di fatto lo sostituzione di una parte del personale con lavoratori pagati molto, ma molto, meno.
  4. Non è finita. Non solo vengono tagliate teste e salari. Si interviene anche sulla cosiddetta “produttività”: per il personale navigante è prevista la riduzione di un’assistente di volo negli equipaggi a lungo raggio, nuovi compiti al termine dei viaggi e saranno ridotti anche i riposi (12 giorni di lavoro in più).

Cioè questo accordo, in piena aderenza con il piano approvato dal CdA che prevede “una significativa riduzione dei costi di cui circa 1/3 sarà riferibile al costo del lavoro”, prevede quindi che si debba lavorare di più, più intensamente e con meno salario. Tutto questo viene scambiato almeno con qualche reale prospettiva di rilancio? Non crediamo. Gli investimenti previsti sono il minimo indispensabile per parare la crisi attuale. E nonostante qualche aeromobile in più, la strategia di fondo rimane focalizzata sul corto e medio raggio, in competizione con low cost e similia. Ethiad infatti non ha particolare interesse a rilanciare strutturalmente una compagnia che non possiede a maggioranza (e che non potrà mai farlo, per non perdere i suoi diritti sui cieli dell’Unione Europea), se non come ancella del suo sviluppo. La strategia industriale di Alitalia rimane quindi incerta e perdente. Non a caso si parla di già, nei corridoi come sulla stampa, di una soluzione ponte di due anni, in attesa di una possibile (ennesima) vendita a Lufthansa. La quale, ovviamente, porrà a sua volta le proprie condizioni d’acquisto in fatto di tagli al lavoro e ai salari.

L’Italia è il terzo paese dell’Unione Europea (post-brexit). Ha il peso, per popolazione ed economia, per avere una propria compagnia di bandiera. Il controllo del trasporto aereo (tratte, servizi, indotto commerciale) è infatti un elemento strategico per un paese come il nostro. Se è un servizio strategico, però, non ha senso sostenere gli interessi di privati o di aziende statali straniere. Ha senso nazionalizzare Alitalia, senza indennizzo, investendo con razionalità sul suo rilancio, sul controllo pubblico dei suoi fondamentali servizi di trasporto. Smettendo anche di sostenere con fondi pubblici la concorrenza privata: i tanti low cost competono infatti non solo applicando una competizione selvaggia sul costo del lavoro, ma anche grazie a consistenti sussidi pubblici dispersi sul territorio (quelli di aeroporti e enti locali che puntano a far sopravvivere una rete di scali diffusa nel paese, spesso senza alcun senso).

Susanna Camusso secondo diverse fonti di stampa avrebbe dichiarato, sedendosi al tavolo di trattativa, che questa volta non si era disposti a ripetere l’esperienza di Almaviva. Non si sarebbe cioè accettato nessun accordo, senza prima sentire i lavoratori e le lavoratrici interessati. Questa volta infatti è stato previsto un referendum vincolante, prima dell’accordo definitivo, che coinvolge tutti i dipendenti Alitalia. Giusto! Formale ed insufficiente, però, se nel “verbale di confronto” le organizzazioni sindacali di categoria “concordano..e s’impegnano a condividere un accordo coerente a tale verbale”. Ancora una volta si concorda con le inaccettabili soluzioni proposte dall’azienda e quindi si scaricano le responsabilità sui lavoratori. Speriamo allora che i lavoratori e le lavoratrici, nonostante le pressioni ed i ricatti di un’ennesima crisi radicale dell’azienda, respingano l’accordo.

Al referendum vincolante invitiamo infatti i lavoratori e le lavoratrici a votare No all’ipotesi di accordo! Basta svendere diritti e salari, sperando nella sopravvivenza dell’azienda, correndo per l’ennesima volta in un’infinita ruota dei criceti che sempre riporta al punto di partenza. Perché l’unica vera prospettiva, per lavoratori ed utenti, è riportare sotto controllo pubblico tutti i servizi di trasporto, al servizio degli utenti e non alla ricerca dei profitti, dei soliti noti o di altri.

Sindacatoaltracosa-OpposizioneCgil

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