Almaviva: quel pasticciaccio brutto de via di Casal Boccone.

Prime riflessioni sulla vertenza e sul referendum nella sede romana.

590 SI. 473 NO. 2 bianche. 1065 votanti su 1666 lavoratori e lavoratrici (63% di votanti, 55% di SI). Con questi numeri ieri i lavoratori e le lavoratrici ALMAVIVA hanno approvato la scandalosa proposta dell’azienda e del governo: nei prossimi giorni si cercherà quindi di far rientrare anche lo stabilimento romano nel percorso accettato prima di Natale da quello napoletano. Un tentativo, comunque, il cui esito non è per nulla scontato (le prime dichiarazioni dell’azienda, infatti, non sembrano per nulla promettenti) e che potrebbe portare ad ulteriori peggioramenti delle condizioni di lavoro, se non alla conferma di tutti i licenziamenti nei prossimi 2/3 giorni.

Questo in ogni caso non è semplicemente un pessimo accordo. Il suo testo prevede tre mesi di cassa integrazione (a zero ore gennaio, al 70% febbraio e al 50% marzo), per definire contrattualmente, in deroga al ccnl, una “temporanea” diminuzione degli stipendi (sino al 17%) e meccanismi per aumentare la produttività, tra cui l’utilizzo di forme di telecontrollo individuale. Un accordo quindi che non esclude i licenziamenti, ma semplicemente li sospende per qualche tempo, per arrivare successivamente a diminuire significativamente i salari e aumentare altrettanto significativamente lo sfruttamento.

L’accordo è stato votato, ed approvato, con le lettere di licenziamento in mano a Roma, con l’accordo già operativo a Napoli. Imponendo quindi con il ricatto, con una pistola alla tempia, la deroga su salari e diritti. Si è accettato di implementare per la prima volta, su migliaia di lavoratori e lavoratrici, in un grande gruppo che è punto di riferimento di tutto il settore, quelle forme di controllo a distanza previste nel Jobs Act contro cui ci si era allora scagliati, e che si dichiarava di non accettare mai in nessun contratto. Tutto questo alla vigilia del rinnovo del ccnl, dove queste soluzioni potranno esser estese e consolidate dal padronato, prendendo proprio esempio da Almaviva. Questo quindi non è un pessimo contratto. E’ il modello Marchionne che si rinnova e si estende: ricattare i lavoratori e le lavoratrici, obbligandoli a mettere in gioco anche i propri diritti e ad accettare minor salari per maggior lavoro. Giustamente si era rifiutata questa impostazione allora, giustamente deve esser rifiutata oggi.

Come a Pomigliano e come a Mirafiori, l’accordo è passato di misura. Nonostante i sussurri e le grida raccolti da giornali e Tv in questi giorni, nonostante la supposta rivolta di massa contro le RSU (che giustamente si sono rifiutate di firmare un accordo senza mandato), nonostante i comunicati CISL che annunciavano 700 firme già raccolte per l’accordo e la grande maggioranza per il SI, quasi il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori non ha partecipato alla consultazione, più del 40% ha continuato a respingere una prospettiva incerta, che comprime pesantemente salari già molto ridotti, che incide ancor di più sulle condizioni di lavoro e di vita, che rischia di diventar entro breve la norma di riferimento per tutti. In primo luogo, allora, vogliamo ringraziare questi NO: vogliamo ringraziare chi ha avuto il coraggio di continuare a resistere e contrastare queste imposizioni. Come vogliamo abbracciare tutti i lavoratori e le lavoratrici Almaviva, a Roma e a Napoli, che nei prossimi mesi vivranno ancora l’incertezza sul proprio futuro e la certezza che dovranno comunque lavorare in condizioni molto peggiori.

 Non è (solo) questo però il pasticciaccio brutto a cui ci troviamo di fronte. Il pasticciaccio brutto sta nella divisione tra i lavoratori che segna tutta la vertenza. In primo luogo si è sganciato la situazione di Almaviva da quella di tutto il settore: pur essendo questa l’azienda principale, non si è chiamato ad una mobilitazione generale contro una proposta padronale che comunque inciderà su tutto il comparto. Una mobilitazione generale che avrebbe potuto dare maggior forza alla stessa resistenza in Almaviva. In secondo luogo, si è separato i lavoratori tra le due sedi, Roma e Napoli, accettando di dividere le procedure e quindi mettendole una contro l’altra. Infine, si è isolata la RSU romana: l’unica realtà che aveva dimostrato compattezza e capacità di resistenza davanti al ricatto padronale (votando all’unanimità).

In questi mesi è girato un film sui grandi schermi del nostro paese, “7 minuti”. Racconta di una RSU di un’azienda chiusa in una stanza che discute e si divide, davanti al ricatto di un nuovo padrone (7 minuti in meno in pausa mensa, nessun licenziamento). Alcuni delegati che l’hanno visto l’hanno apprezzato, ma hanno notato subito un’incongruenza: perché la RSU si chiude in una stanza, si divide, ma non coinvolge tutti i lavoratori e le lavoratrici? La realtà supera sempre, in questi tempi di crisi, la fantasia e l’immaginazione: padrone e governo hanno messo le RSU Almaviva proprio in questa situazione, con un ricatto ben più pesante dei 7 minuti. Per di più, gli hanno impedito di consultare i lavoratori e le lavoratrici, imponendole una scelta subito, nel corso della notte. CGIL CISL UIL non hanno voluto sostenere fino in fondo l’ovvia e naturale richiesta di sospendere la trattativa per verificare il mandato in assemblea. Le RSU si sono comunque rifiutate di firmare: con loro determinazione e la loro volontà, hanno imposto di consultare i lavoratori e le lavoratrici. Tutti sono stati chiamati ad esprimersi, in assemblea ed in un voto segreto (referendum). La loro è stata la scelta giusta, quella di rispettare le piattaforme ed il mandato ricevuto dai lavoratori. A loro la nostra piena solidarietà, il nostro ringraziamento e il nostro sostegno. Perché in ogni caso il loro comportamento, la loro determinazione, la loro forza, potranno esser ricordati da tutte le RSU che dovessero trovarsi domani in una situazione simile.

Questo brutto pasticciaccio allora deve esser per tutti di insegnamento. In un’azienda così grande e sotto l’attenzione dei media, questo percorso sarà in ogni caso preso da esempio da altri padroni, nella gestione di altre crisi. E’ una lezione della lotta di classe. Anche dalla nostra parte, da quella del lavoro, dobbiamo trarne esempio. Davanti alla scomposizione che il padronato cerca di imporre, tra stabilimenti e stabilimenti, tra lavoratori e lavoratori, tra RSU e lavoratori, bisogna sempre cercare di contrapporre la massima unità possibile, l’unità del lavoro (non delle sigle o degli apparati sindacali).

Tra tre mesi allora questo brutto accordo dovrà esser implementato, magari con nuovi licenziamenti. Con il ccnl, i suoi contenuti potrebbero esser estesi nelle altre aziende del settore. Proprio per questo è necessario subito allargare la discussione e la mobilitazione attraverso la costruzione di uno sciopero dell’intero settore, che ormai è improcrastinabile. Proprio per questo è necessario mettere in campo iniziative per rinsaldare l’intero gruppo e opporsi al ricatto di Tripi e garantire una prospettiva a tutte le sedi. Per non permettere che questo modello, che la strategia di Marchionne, si estenda senza resistenza a tutto il mondo del lavoro, gruppo per gruppo, azienda per azienda, stabilimento per stabilimento.

Resistere, resistere, resistere.

Esecutivo
Sindacatoaltracosa-OpposizioneCgil

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