Coordinamento nazionale. Il documento approvato. Andiamo avanti!

Il documento politico approvato dal coordinamento del 14 giugno 2016 a Bologna

In questi ultimi due anni…

In questi ultimi due anni, nel quadro di una compressione progressiva dei saggi di profitto e di una crescente sovrapproduzione, la Grande Crisi è proseguita riproponendo tensioni commerciali e monetarie, ma anche conflitti militari che portano con sé la tragedia dei profughi e il moltiplicarsi dei nazionalismi. Un quadro che difficilmente potrà permettere l’uscita dalla lunga depressione italiana, minacciando piuttosto la stessa tenuta politica e economica dell’integrazione europea. Ne è prova il consolidarsi di un’altissima disoccupazione strutturale, in particolare giovanile, e l’approfondirsi delle divisioni sociali, una crescita spaventosa della disuguaglianza e un’amplificazione impressionante dei differenziali tra nord e sud.

In questi ultimi due anni, il governo Renzi ha rappresentato gli interessi dell’impresa e del capitale e ha condotto una feroce offensiva contro il lavoro, il sindacato e gli interessi popolari: Jobs Act; diritti sindacali; smantellamento del sistema contrattuale; tagli del salario sociale e privatizzazione dei servizi; trasferimento di risorse all’impresa, aziendalizzazione della scuola. Un governo che ha progressivamente assunto un profilo autoritario, con un utilizzo spregiudicato di regole, regolamenti e prassi istituzionali e che ora cerca con il referendum costituzionale (di fronte al quale la CGIL mantiene un basso profilo, non dando una chiara indicazione di voto) una legittimazione per imporre il suo comando e rilanciare le sue politiche.

In questi ultimi due anni, la CGIL ha riproposto la sua strategia di cogestione della crisi e delle sue conseguenze, cercando persistentemente un nuovo grande accordo con il padronato. Prima con il TU del 10 gennaio, per imporre esigibilità e disciplina (cioè bloccare preventivamente ogni espressione dell’autonomia di classe); poi tratteggiando uno scambio tra contratti nazionali (livelli salariali omogenei) e assunzione degli obiettivi padronali nel secondo livello (competitività, produttività, efficienza). Uno scambio che evidentemente ancora non basta e che Federmeccanica, in nome della totale flessibilità salariale, sta rifiutando. La CGIL ha ritenuto quindi di sfiancare l’offensiva del governo ritirandosi da ogni conflitto, circondandolo di inerzia e sperando che inciampasse da solo. Sacrificando definitivamente l’art.18, ha sospeso nel vuoto la mobilitazione contro il Jobs Act, evitando ogni possibile generalizzazione delle lotte e mantenendole rigorosamente divise fra loro (scuola, pubblico impiego, commercio, metalmeccanici, ecc). Infine, con la conferenza di organizzazione ha avviato un processo di centralizzazione burocratica, per limitare l’autonomia delle categorie e il pluralismo interno. Una linea coerente, ma inconcludente e con una progressiva involuzione autoritaria.

In questi ultimi due anni, la FIOM ha ricomposto le sue differenze dalla CGIL. Ha chiuso un ciclo durato più di vent’anni e segnato, pur tra contraddizioni, da una linea parzialmente discordante da quella confederale, più attenta al protagonismo dei delegati/e, alla democrazia, alla difesa del potere d’acquisto e dei diritti. Una linea che non ha mai contrastato l’impianto burocratico e riformista della CGIL, non ha mai criticato esplicitamente il modello concertativo del 1993 e ha comunque sempre trattato con diffidenza ogni articolazione programmatica in FIOM. Una linea che ha comunque rappresentato un argine, la cui espressione più significativa è stata forse lo sciopero di Melfi nel 2004 e la partecipazione al movimento di Genova nel 2001. Una linea che, ancora nel 2010, sembrava potesse rappresentare una resistenza generale contro Marchionne, ben oltre la FIAT e gli stessi metalmeccanici (nonostante le grandi incertezze e le profonde titubanze, nei referendum di Pomigliano e Mirafiori, a schierarsi come organizzazione sindacale contro gli accordi proposti da FIAT). Una linea che però è entrata progressivamente in crisi, prima con la capitolazione a Grugliasco e poi con la sua focalizzazione sul piano politico e giudiziario, invece che sulla resistenza in fabbrica.

Un patrimonio è stato progressivamente dissolto. Con un atteggiamento ambiguo e ammiccante nei confronti dei primi passi di Renzi. Con una coalizione sociale di vertice, incapace di mobilitazioni e cortei significativi, limitata all’associazionismo compiacente e a ristrette aree dei centri sociali. Con una condivisione di fatto del TU del 10 gennaio. Con l’accettazione della nuova linea contrattuale e il tentativo (agognato ma non ancora raggiunto) di perseguire l’accordo unitario. Con una protratta gestione leaderistica tesa a cancellare ogni voce di dissenso nell’organizzazione. Certo, rimangono diffidenze e contrasti con la direzione confederale: ma non è più una differenza di linea, è solo uno scontro interburocratico per la conquista del comando nei vertici del sindacato.

Esiste una vasta platea di militanti, perlopiù delegati di base e trasversali a tutte le categorie, che credono e vogliono una CGIL diversa e ogni giorno toccano con mano la sorda stasi di questa Organizzazione che scivola drammaticamente nel grande sonno politico e ideologico attuale.
A tutti questi compagni/e  noi dobbiamo avere la forza di parlare.

In questi ultimi due anni sono mancati grandi movimenti sociali. La mobilitazione contro il Jobs Act si è esaurita nel nulla. All’improvvisa primavera della scuola, con lo sciopero più grande dal dopoguerra e l’intenso mese di lotte contro Invalsi e Buonascuola, ha fatto seguito un autunno gelido, senza scioperi significativi né una mobilitazione generale contro l’offensiva padronale del governo. Non ci sono riuscite le aree antagoniste, in crisi e divise tra loro dopo il primo maggio milanese, né i sindacati di base, frammentati in percorsi e scioperi di posizionamento tutt’altro che ricompositivi, ma spesso in competizione tra loro. Un bilancio disastroso, di cui hanno responsabilità in primo luogo le direzioni CGIL e FIOM, che hanno disperso ogni disponibilità (più volte emersa in questo periodo), per paura di non controllare una dinamica dispiegata di scontro con il governo.

In questi ultimi due anni abbiamo anche visto la diffusione di tante lotte. Certo, senza grandi mobilitazioni di piazza, né movimenti con un respiro nazionale. Eppure dentro le aziende, nelle fabbriche, nei diversi settori si sono moltiplicati conflitti e vertenze: nella grande distribuzione; nella logistica, nei ripetuti scioperi dei ferrovieri; nel contrasto scuola per scuola alla riforma di Renzi; alla Castelfrigo e in UPS; a Termoli e a Melfi; alla Gkn; alla Thyssen di Terni; alla Bormioli e in Almaviva; all’Ilva di Genova e Taranto; al Petrolchimico di Gela; alla SAME e alla AZ Fiber di Treviglio; alla Piaggio e nel suo indotto. Lotte segnate dall’unità, ma anche da aspre divisioni. In alcuni casi, sconfitte. In ogni caso esempi di resistenza che rivelano la forza che la contraddizione tra capitale e lavoro mantiene anche oggi, anche in questo difficile contesto.

… abbiamo provato a resistere!

In questi ultimi due anni, noi abbiamo provato a resistere. Nonostante le manipolazioni congressuali e i brogli, ci siamo formati nel 2014 come area congressuale di opposizione, ritenendo che un sindacato debba in primo luogo organizzare lavoratori e lavoratrici per difendere i loro interessi, contro quelli del capitale. In primo luogo nei posti di lavoro e poi più complessivamente nella società.
Abbiamo ritenuto fondamentale sviluppare, nel più grande sindacato del nostro paese, un’opposizione di classe e una alternativa sindacale, con l’obiettivo di sostenere esperienze di lotta, attraverso il radicamento che questa organizzazione mantiene sul territorio e nelle categorie.
Abbiamo tentato di fare opposizione in tutte le strutture in cui siamo presenti: intervenendo (anche se accolti con ostilità), votando contro (anche quando eravamo pochi), presentando documenti alternativi (anche quando venivano ritenuti inutili). Abbiamo sostenuto lotte e vertenze ogni volta si sviluppavano. Abbiamo cercato di innescarle ogni volta che era possibile. Abbiamo sostenuto comitati di lotta, a prescindere dalle organizzazioni sindacali di appartenenza ed ogni volta che ce ne era l’occasione, per contribuire allo sviluppo e all’unità delle lotte. Abbiamo partecipato a coalizioni e fronti contro le politiche di austerità del governo e dell’UE.

Certo, non sono mancati i limiti. Abbiamo pochi funzionari e permessi. Subiamo una gestione autoritaria e proprietaria dell’organizzazione. E siamo un’area ancora molto piccola, con grande difficoltà a organizzarci in tutte le categorie e in tutti i territori. Spesso fatichiamo a tenere riunioni periodiche e a coordinare il nostro intervento. E siamo un’area ancora spesso inadeguata, non sempre capace di valutare i rapporti di forza, di comprendere l’importanza di collegare e consolidare le lotte che attraversiamo come le esperienze che conduciamo in molti posti di lavoro, in grandi e piccole realtà di tante categorie: in SAME e in Piaggio, in GKN e in FCA (o Sevel), in Ferrari e in Motovario, nei Musei Civici Veneziani e all’Università di Milano, all’UPS o in Fincantieri, in Marcegaglia e alla Desi Mobili di Ancona, al Comune di Roma e nelle aziende municipalizzare come Farmacap, all’Atac, all’ENI, all’Ikea e all’Esselunga, alla Pirelli di Settimo Torinese, a Trieste, a Parma e in tanti altri posti di lavoro e territori.

Negli ultimi mesi la vicenda FCA ci ha indubbiamente messo a dura a prova. I nostri delegati e le nostre delegate, che hanno organizzato testardamente la resistenza contro il modello Marchionne (a partire dalla lotta contro gli straordinari comandati), hanno subito per questo la repressione di FIOM e CGIL. Prima con l’esclusione dagli organismi (CC FIOM), poi con il tentativo di destituirli dal ruolo di RSA in fabbrica (che abbiamo in parte bloccato); infine con l’improvvisa e ingiustificata revoca del distacco di Sergio. Per questo alcuni compagni e compagne hanno deciso di abbandonare questa lotta, non valutando possibile resistere a questo attacco al pluralismo e ritenendo (secondo loro) conclusa la possibilità di fare opposizione in CGIL.

Andiamo avanti!

Per noi, la scelta di abbandonare l’area è un errore. Sia per chi ha deciso di rivolgere il proprio impegno nei sindacati di base. Sia per chi decide di stare individualmente nella CGIL. Per noi, infatti, proprio oggi in questa difficile congiuntura, è tanto più attuale la nostra opposizione contro l’involuzione della CGIL e l’impegno a riprendere e rilanciare la nostra azione.

1. La battaglia per il pluralismo in CGIL. La repressione di questi mesi ha confermato che sia la segreteria confederale, sia soprattutto quella FIOM, tendono a affermare un’inedita omogeneità dell’organizzazione, un nuovo centralismo neanche democratico. Per questo intendiamo proseguire e perseguire una campagna per il pluralismo nella CGIL, per un sindacalismo democratico e classista, contro l’emarginazione del dissenso. Ribadiamo il diritto di ogni area di autodeterminare i propri dirigenti, con il conseguente diritto di individuare i propri portavoce, indipendentemente dal gradimento delle segreterie. Intendiamo rivendicare, soprattutto, la possibilità di organizzare democraticamente nel sindacato una linea alternativa e di praticarla esplicitando pubblicamente il nostro punto di vista, pur nel rispetto dello Statuto e dell’unicità dell’organizzazione nel rapporto con le controparti.

2. Per una mobilitazione generale, per uno sciopero prolungato contro il governo. Di fronte alla durezza della crisi, al precipitare dei conflitti, al plebiscito d’autunno, ribadiamo la necessità di una ripresa della mobilitazione. Con le nostre forze e nella consapevolezza dei nostri limiti, ci impegniamo a sviluppare ogni possibile occasione di convergenza e di lotta comune, contro il governo e soprattutto a difesa di lavoratori, lavoratrici e classi popolari, sull’esempio della lotta francese di queste settimane. Unificare quindi le tante lotte e vertenze, al fine di ricomporre il frammentato mondo del lavoro, verso un vero sciopero generale anche in Italia che per essere tale deve assumere un carattere dirompente e inserirsi in un piano generale rompendo con le logiche degli scioperi dimostrativi e di routine.

3. Contrasto alla linea contrattuale della Cgil: Il modello elaborato da CGIL CISL e UIL a gennaio e i rinnovi di questi mesi confermano l’assunzione del patto dei produttori in tutte le categorie. Ancora prima che questo impianto sia accettato, sono le diverse strutture che impostano le trattative rinunciando a contrastare il controllo dell’organizzazione del lavoro da parte delle direzioni aziendali. Nonostante questo, in diverse categorie l’intransigenza padronale (o del governo) ha innescato o sta innescando mobilitazioni e scioperi per i rinnovi (a partire in primo luogo dai metalmeccanici, ma anche nel pubblico impiego, nella scuola, nella grande distribuzione e nel turismo). Lotte alle quali abbiamo partecipato, partecipiamo e parteciperemo, con l’obbiettivo di sconfiggere l’offensiva in corso contro lavoratori e lavoratrici; ma senza smetterne di criticarne l’impianto ambiguo delle piattaforme, la dispersione che ne indebolisce significato e partecipazione, l’assenza di ogni determinazione nel condurle e vincerle. Contro la capitolazione rappresentata da questa linea contrattuale, infatti, intendiamo sviluppare un battaglia su condizioni e orari di lavoro, straordinari, welfare contrattuale, composizione del salario, precarietà, salute e sicurezza; una critica puntuale delle piattaforme per i rinnovi dei contratti, sempre più contrassegnati dalle compatibilità e per questo poco comprensibili ai lavoratori e poco mobilitanti, vissute spesso con “indifferenza” o persino con il timore di un arretramento delle condizioni di lavoro. Sono tanti i contratti aperti. Dobbiamo unificare tutte le vertenze e ricomporle attraverso lo sciopero generale.

4. Connettere le lotte nel paese. Le lotte di questi anni sono indicative di una persistenza dell’autonomia di classe, di una soggettività che non si piega alla crisi, alla riduzione dei salari, alla compressione dei diritti. Dobbiamo ricomporre queste esperienze di resistenza, che le burocrazie hanno spesso osteggiato. Dobbiamo farle conoscere, non solo per ridare parola ai protagonisti del conflitto tra capitale e lavoro, ma soprattutto per metterle in rete e romperne l’isolamento. Dobbiamo farle diventare punti di orientamento, metodo e esempio di una pratica sindacale dal basso, intransigente, coerente con i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici.

In questo percorso di difesa delle nostre ragioni e sviluppo della nostra opposizione, dobbiamo quindi anche partire dai nostri limiti, con le difficili discussioni che abbiamo avuto tra di noi in questi mesi e con la decisione di lasciare la CGIL del nostro portavoce, di alcuni componenti del nostro gruppo dirigente (direttivo CGIL e esecutivo) e di delegati e delegate in alcuni posti di lavoro (come FCA di Termoli e Melfi). Una decisione che sembra comunque limitata a singole uscite, con destini diversi, e che non coinvolge la stragrande maggioranza dei nostri dirigenti sindacali nelle categorie e nei territori, dei nostri delegati e delegate, dei nostri attivisti, del nostro consenso in CGIL.

Sappiamo che in questo percorso ci possono esser tra noi anche visioni differenti. Per questo riteniamo utile affermare una gestione più collegiale di quest’area, riconoscendone, pur in un cammino comune, la pluralità di voci al suo interno.

Infatti siamo un’area sindacale. Non abbiamo forme codificate di appartenenza, né omogeneità di comportamento. Sebbene piccola, siamo un’area plurale, al cui interno convivono e si confrontano sensibilità e strategie diverse che, attraverso un comune denominatore e regole condivise, possono percorrere un cammino collettivo. Anche per questo riteniamo utile pensare alla costruzione di un gruppo dirigente plurale e collegiale.

Il documento è stato approvato con 25 voti a favore, 4 astenuti e 1 contrario

 

Al documento politico segue una parte sul percorso organizzativo che è stata votata in contrapposizione:

1. Testo presentato dalla maggioranza dell’esecutivo – approvato con 19 voti

Certo, per fare questo c’è bisogno di ridefinire insieme anche le nostre strutture e modalità di convivenza. A conclusione del nostro percorso di discussione, da svilupparsi tra tutti gli attivisti, nei territori e nelle categoria, terremo una grande assemblea nazionale in autunno, con una platea definita, composta dal nostro coordinamento nazionale (delegati al congresso e categorie nazionali) e dai territori (componenti delle assemblee generali nazionali di categoria e assemblee generali regionali confederali), pensiamo che:
• siano da individuare i nostri sostituti negli organismi dirigenti confederali;
• sia utile ridefinire un esecutivo nazionale composto da rappresentanti delle categorie e dei territori più importanti e un gruppo operativo in grado di rappresentare le pluralità e le articolazioni della nostra area;
• possano essere valutate soluzioni più collegiali nella gestione politica e organizzativa dell’area.

Da qui al prossimo congresso della CGIL, sulla base dei 4 punti prima individuati, oltre che di una nuova struttura plurale e collegiale, crediamo ci siamo le condizioni essenziali per rilanciare l’opposizione di classe in CGIL, in direzione ostinata e contraria.

 

2. Testo presentato da Paolo Grassi – respinto con 5 voti

La crisi che ha attraversato l’area in questi mesi deve vedere uno sforzo di tutti i compagni perché si persegua la più ampia convergenza nel proseguire uniti la battaglia di opposizione in Cgil.
Per offrire ai lavoratori un’alternativa all’attuale gruppo dirigente della Cgil, e per creare le condizioni per conquistarci il diritto (per nulla scontato) a presentare un documento alternativo al prossimo congresso della Cgil.
Per questo riteniamo che il modo migliore per agevolare l’unità dell’area, sia quello di coinvolgere nel modo più ampio possibile tutti i nostri militanti, un passaggio che consideriamo ineludibile, pena commettere gli stessi errori che ci hanno condotto a questa crisi.
Aprire un confronto capillare di discussione in tutti i territori che sappia entrare nei dettagli con il corpo attivo e militante della nostra area su tutti gli aspetti che riguardano la nostra strategia e il nostro progetto. A due anni dal congresso nazionale dove furono disegnati anche i gruppi dirigenti interni dell’area è evidente che una strategia, quella perseguita dalla maggioranza dei compagni da allora è fallita. Serve rimettere in discussione tale strategia definirne una nuova, dare ai compagni nei territori la possibilità di esprimersi e sulla base delle opinioni raccolte nei territori disegnare la platea di un’assemblea in autunno che prenda le decisioni politiche e organizzative più adeguate.
Si organizzeranno tra luglio e settembre riunioni locali dell’area in cui parteciperanno i rappresentanti dell’esecutivo nazionale uscente e delle proposte che verranno presentate con l’elezione di delegati su base proporzionale da inviare all’assemblea nazionale d’autunno.
Così facendo avremo una platea realmente rappresentativa dei territori legittimata a prendere le decisioni per la continuazione della nostra opposizione in Cgil.
Un dibattito fraterno, costruttivo, possibilmente unitario e realmente democratico, senza nascondere le divergenze è possibile e necessario per prevenire future gestioni autoritarie dell’area che non devono più ripetersi.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: