Ilva,Eni,alimentaristi: la lotta riparte, il sindacato no
Sergio Bellavita.
Con 157 voti a favore e 95 contrari il senato ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto cosiddetto “salva Ilva”. L’Ilva è sul libero mercato dopo un anno di commissariamento, lo stesso libero mercato che già una volta con la banditesca famiglia Riva ha socializzato le perdite ,i veleni e consentito di incamerare profitti esorbitanti. Il futuro dei lavoratori dell’Ilva e della popolazione di Taranto sembra drammaticamente segnato. Sarà il privato a dettare le condizioni per l’acquisto. Quali produzioni continuare, quanti lavoratori tenere e a che condizioni economiche e contrattuali. Ed è certo che un privato, in queste condizioni, non metterà un centesimo per l’ambiente e la salute della popolazione. Perché dovrebbe ? Quello che è mancata sin dall’inizio è la volontà di costruire una vertenza unificante dell’industria siderurgica in nome del ritorno in mano pubblica della produzione di acciaio. La responsabilità principale ricade sul sindacato. La scelta di gestire come singole vertenze le crisi della Lucchini di Piombino, della Thyssenkrupp e dell’Ilva ha precluso la possibilità di costringere ad un radicale cambio di linea del governo rispetto ad un nuovo intervento pubblico in economia. La mancata unificazione è figlia della scelta, tutta politica, di non porre il tema della nazionalizzazione puntando invece su una riduzione del danno. Un tema che riguarda complessivamente tutto il sindacato confederale. A Genova i lavoratori dell’Ilva mettono in campo una lotta straordinaria, al pari dei lavoratori dell’indotto Eni di Gela, ma senza la battaglia su una prospettiva concreta, come quella di un intervento dello stato, tutto sarà indirizzato verso ammortizzatori sociali e la lenta e inesorabile deindustrializzazione del paese. In queste settimane sembra davvero che il mondo del lavoro voglia riprendersi la parola. Lo abbiamo visto nello sciopero riuscito di tante aziende dell’industria alimentare, nei blocchi intorno al petrolchimico di Gela, nella occupazione dell’Ilva di Genova. Quello che manca è però il sindacato come soggetto generale, capace di dare gambe e valore a questa nuova disponibilità alla lotta. Anzi. I sindacati degli alimentaristi hanno revocato lo sciopero già proclamato e si apprestano a riprendere le trattative sul contratto nazionale,mentre la Fiom inizia una serrata trattativa in ristretta con federmeccanica. A Gela i lavoratori chimici dipendenti diretti dell’Eni mai chiamati alla lotta dai loro sindacati, ogni giorno entrano al lavoro passando davanti ai blocchi di quelli dell’indotto, ormai tutti prossimi alla disoccupazione visto l’accordo sindacale del novembre 2014 che ha condiviso lo spegnimento della raffineria. Insomma non c’è nessuna avvisaglia di un cambio di linea sindacale che risponda a questa disponibilità alla lotta. La crisi del sindacato è tutta qui. Andrebbe chiesto alla Cgil, che presenta nelle assemblee la sua proposta per un nuovo statuto del lavoro, come pensa di tenere insieme subito, nel concreto, i diritti dei facchini nelle cooperative e quelli dei diretti della logistica, quelli dei dipendenti Eni e quelli dei lavoratori senza diritti dell’indotto. Questa è la domanda a cui rispondere altro che chiedere agli iscritti se dare il mandato o meno a fare una discussione sui referendum per l’abolizione di parti del Jobs Act mentre si firmano accordi come all’Esselunga che regalano la prigionia domenicale a chi lavora. Una consultazione che ha dell’incredibile!! Fumo a manovella insomma mentre la realtà picchia duro sulla pelle dei lavoratori.
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