Poste. Tra borsa e ristrutturazione lacrime e sangue

Articolo di Delia Fratucelli - sindacatoaltracosa SLC

Cercherò di fare il punto di cosa sta succedendo in Poste Italiane a poche settimane dalla quotazione in Borsa, e dopo la firma dell’accordo tra organizzazioni sindacali e azienda sulla ristrutturazione del servizio di recapito.
Da una parte abbiamo l’AD Caio, che sta organizzando l’IPO dell’azienda che dovrebbe avvenire a fine autunno, contemporaneamente il progetto di modifica strutturale del settore PCL (recapito e logistica) che si era bruscamente interrotto, quest’estate, per l’indisponibilità della SLP CISL a proseguire la discussione, è stato sottoscritto il 25 settembre, dalle sei sigle sindacali firmatarie del contratto (leggi il testo).
Trovo indicativo che per la presentazione in Borsa di Poste società privata, ma il cui capitale è detenuto al 100% dallo stato italiano, Caio abbia scelto la City londinese, sia per la valutazione dell’azienda sia per stabilire futuri assetti strategici ed economici. Scelta che la dice lunga sul ruolo internazionale dei poteri finanziari, per cui un’azienda che gestisce oltre 450 miliardi di risparmio depositato da diverse generazioni d’ignari cittadini italiani, deve passare il vaglio di Londra.  Ovviamente questo dato non ci stupisce, al massimo possiamo ironizzare su chi nei sindacati, crede nella possibilità di un azionariato diffuso e vincolante, distribuito in parte ai dipendenti.  Il 40% dei circa dieci miliardi di capitale che sarà quotato in borsa, dovrà passare però il vaglio dei grandi investitori che chiedono verifiche certe sulla stabilità del rendimento delle cedole e un dividend yield nel range tra il 3% e il 5%. Difficile con un PIL nostrano che cresce a stento di circa 1%, e con un settore del recapito in contrazione del 7% annuo, anche se i ricavi per Poste, derivano per 88% dai servizi finanziari. Difficoltà che è affrontata nel più classico dei metodi aziendali: parziale inserimento nei settori a più alto rendimento, tagli dei posti di lavoro, e conseguente aumento dei carichi di lavoro, per tutti i dipendenti, ma con una focalizzazione nel settore PCL, in cui lavorano circa 55000 dei 140000 dipendenti di Poste.
È necessario fare una premessa, il vecchio recapito di lettere, giornali, riviste è oggetto di un declino inarrestabile: come mi ricorda sempre mia figlia, sono soggetta all’estinzione (sicuramente non solo come postina). Certo possono esserci progetti che si potrebbero sviluppare, ma che non cambierebbero questa realtà nel medio periodo. Un ridimensionamento del recapito, e del servizio postale “storico” comunque inevitabile, sarebbe però totalmente diverso in una situazione politica, sociale e soprattutto economica diversa. È sicuramente più opportuno rimanere ancorati alla realtà, anche quando ci è nemica e abbiamo tutti i dati per prevedere che le scelte che stanno preparando il governo Renzi e la dirigenza di Poste, avranno ricadute sociali enormi.
Sociali perché il progetto di taglio degli uffici postali e del recapito a giorni alterni (formalmente solo nel 25% del territorio italiano), provocherà una desertificazione d’intere aree territoriali, non solo di zone montane, ma, per i criteri adottati da Poste e validati dall’AG. COM., porterà alla riduzione a pura immagine olografica del servizio in tutto il centro e Italia meridionale. Un ulteriore fattore di distruzione di un’economia da paese in via di sottosviluppo; inoltre l’aumento delle tariffe postali nei prossimi anni determinerà un nuovo calo della corrispondenza classica.
Il progetto presentato in diverse riprese dalla dirigenza di Poste, e sottoscritto dalle organizzazioni sindacali, il 25 settembre, non è conosciuto dai lavoratori del settore; questo perché l’azienda ha deciso di vincolare qualsiasi informazione al segreto aziendale, e le modifiche legislative intercorse in questi anni, hanno permesso anche uno stravolgimento della possibilità di informare chi subirà i progetti organizzativi che sono discussi. Come scriveva Baudelaire all’inferno non ci si arriva con un solo salto, ma un centimetro alla volta, modifica su modifica, arretramento dopo arretramento, per cui i lavoratori passano da soggetti a oggetti passivi e impotenti sulle loro condizioni di lavoro, e i sindacati il cui ruolo dovrebbe essere quello di soggetti contrattuali con mandato dei lavoratori, prima usano “linguaggi cifrati” nelle assemblee informative, poi si erigono a gendarmi che impongono accordi sottoscritti: una degenerazione sostanziale del ruolo sindacale.
Certamente questa fase iniziale della riduzione del perimetro del servizio postale, non prevede degli esuberi del personale, ma “solo” delle eccedenze, un numero che potrebbe realisticamente essere stimato tra 12mila e 15mila tagli di posti di lavoro nei prossimi quattro anni: da una parte questo è possibile perché continua, ed è prevista anche per i prossimi anni, la politica aziendale dell’esodo incentivato.  Dall’altra parte, tagli così consistenti di postazioni di lavoro, avranno diversi impatti facilmente prevedibili per i lavoratori:
Aumento dei carichi di lavoro
Aumento degli infortuni, delle malattie e dello stress
Trasferimenti coatti
Imposizione di sistemi di flessibilità e precarietà lavorativa.

Per ulteriori riflessioni, leggi l’approfondimento

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