Ccnl chimica: restituzioni o rivendicazioni?
Le apripista sono Farmindustria e Federchimica, da cui l’attuale presidente di Confindustria proviene, e il motivo del contendere è la rigida applicazione di un articolo contrattuale del CCNL chimica che permette, dopo il primo biennio, di riaprire il confronto sulla parte salariale in caso di scostamenti significativi dell’inflazione.
Manco a dirlo l’inflazione è quasi a zero e le due federazioni chiedono ai lavoratori di restituire ben 79 euro!
Se la richiesta non fosse grottesca verrebbe da fare battute sull’unico euro di differenza tra la mancia di Renzi e la richiesta degli industriali chimico-farmaceutici.
La richiesta, invece, è seria ed ha portato alla rottura del tavolo di trattativa, ma le prospettive sono tutt’altro che rassicuranti; infatti il settore è tra i più tristemente noti per aver introdotto alcune novità, estremamente negative in tema di diritti, spesso riprese ed aggravate perchè applicate a tutti i contratti con accordi interconfederali; ci basta ricordare l’inserimento delle deroghe nel contratto dei chimici del 2006, divenuto poi un grimaldello per tutti i contratti grazie all’accordo firmato dalla Cgil il 28 giugno 2011 ed infine degenerato nel successivo rinnovo contrattuale dei chimici (2012), con cui si dava la possibilità di derogare e di modificarle a livello aziendale tutte le materie del CCNL nazionale.
L’articolo contrattuale oggi agitato dai confindustriali appariva, ai tempi della sua introduzione (dicembre 2009), una sorta di salvaguardia per tentare di arginare eventuali eccessivi scollamenti tra inflazione prevista e reale, difficili da controllare a causa della triennalizzazione dei contratti, e permetteva la riapertura della verifica sugli aumenti a partire dai primi mesi del terzo anno. La classica toppa che non affrontava di petto il male maggiore e che, anche in anni di crisi non ancora a i livelli di oggi, fungeva più da foglia di fico che da vero strumento contrattuale; infatti la Cgil rifiutava i parametri imposti dall’accordo separato del 2009 e poi le federazioni di categoria facevano altro.
L’accettazione dell’IPCA applicato tecnicamente – secondo i voleri delle controparti – e non gestito politicamente, blocca la contrattazione, la ingessa e la depotenzia, e concede incrementi salariali incerti e non duraturi, tra l’altro soltanto dove una relativa ricchezza di comparto e rapporti di forza ancora positivi per i lavoratori lo permettono. Se quelle stesse controparti, in epoca di deflazione, chiedono la restituzione di parte del salario e la non erogazione delle due tranches restanti, chi ha accettato regole troppo svantaggiose per i lavoratori si trova con le armi spuntate.
Oggi occorre ragionare della perdita del potere di acquisto dei salari negli ultimi venti anni e della necessità di far ripartire i consumi, dell’impossibilità di far stringere ancora la cinghia sempre agli stessi lavoratori e di evitare che comparti ancora competitivi e non troppo impoveriti dalla crisi diano un’ulteriore stura alla contrattazione di restituzione.
L’accenno che si fa, in una delle missive tra le parti, a pratiche innovative non fa diminuire l’attenzione, anzi la aumenta: qualcuno già accenna alla possibilità di spostare la riduzione economica sul salario accessorio, sui turni, sulle maggiorazioni e sugli altri emolumenti non compresi direttamente nei minimi. O peggio, già si accenna all’anticipazione della contrattazione per il rinnovo del CCNL, ovviamente partendo da “meno 79 euro”, misura che sarebbe incomprensibile in un comparto ancora trainante per l’economia.
La deflazione che tanto sembra preoccupare l’Italia e l’Europa si combatte rimettendo in circolazione salario per permettere la ripresa dei consumi e per riattivare la fiducia dei consumatori, e non certo applicando anche ai contratti norme recessive che arrivano perfino a togliere altre speranze per il futuro. Dobbiamo respingere al mittente la richiesta e riaprire una vera rivendicazione salariale con le politiche dell’austerita e della competizione al ribasso.
Roma, 12 gennaio 2015
“Il sindacato è un’altra cosa” nella Filctem-Cgil
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